Non era forse così che stavano le cose? Alvin, l’unico che avrebbe potuto salvarla, non aveva modo di sapere che c’era bisogno di lui. Mentre Peggy, che era del tutto impotente, sapeva perfettamente tutto ciò che stava accadendo, sapeva tutto ciò che sarebbe potuto accadere, sapeva l’unica cosa che sarebbe dovuta accadere se il mondo fosse stato buono. Ma il mondo non era buono. E quella cosa non sarebbe accaduta.
Che terribile dono, quello di essere una fiaccola, di conoscere tutto ciò che sarebbe accaduto, e poter fare così poco per cambiarlo. L’unica sua forza erano le parole che le uscivano dalle labbra, ma nonostante tutto quello che poteva dire a chi le stava di fronte, Peggy non aveva modo di sapere quali sarebbero state le sue decisioni. C’era sempre la possibilità che l’altro decidesse di fare qualcosa che l’avrebbe indirizzato su un sentiero ancor più pericoloso di quello da cui lei aveva cercato di distoglierlo… Tante volte, poi, per malvagità, spirito di contraddizione o semplice sfortuna, l’altro faceva proprio quella terribile scelta, e le cose per lui si mettevano molto peggio che se Peggy non avesse mosso un dito né detto una parola. Preferirei non sapere nulla. Preferirei sperare che Alvin potesse ancora arrivare in tempo. Preferirei sperare che questa ragazza potesse ancora vivere. Vorrei poterle salvare la vita io stessa.
E poi pensò a tutte le volte che anche lei aveva salvato una vita, quella di Alvin, grazie al cappuccio. E in quell’istante nel suo cuore si accese una scintilla di speranza, perché sicuramente, solo per una volta, avrebbe potuto usare un pezzetto del cappuccio di Alvin per salvare quella ragazza, per restituirla alla vita.
Peggy balzò in piedi e corse goffamente verso le scale, con le gambe così intorpidite per essere rimasta seduta sul pavimento che riusciva a malapena a sentire il legno sotto i piedi nudi. Sulle scale inciampò facendo parecchio rumore, ma nessuno degli ospiti si svegliò, almeno da quanto lei potesse capire lì per lì. Si slanciò su per le scale, poi su per la scala a pioli che conduceva in soffitta e che il nonno aveva trasformato in una scala vera e propria nemmeno tre mesi prima di morire. Peggy avanzò cautamente tra i bauli e i mobili vecchi fino a raggiungere la sua camera, appoggiata alla facciata ovest della casa. La luce lunare entrava dalla finestra rivolta a sud, disegnando sul pavimento una fila di riquadri luminosi. Peggy alzò una delle assi del pavimento e tirò fuori la scatola dal nascondiglio in cui la riponeva ogni volta che usciva di camera.
Forse i suoi passi erano stati troppo pesanti, oppure quell’ospite in particolare aveva il sonno troppo leggero… Fatto sta che, quando Peggy scese la prima rampa di scale, se lo trovò all’improvviso di fronte, con le gambe magre e bianche che gli spuntavano dalla camicia da notte, lo sguardo che passava dalle scale alla sua stanza, come se non riuscisse a decidersi se entrare o uscire, salire o scendere. Peggy scrutò nella sua fiamma vitale, per capire se fosse già stato al piano di sotto e avesse visto la ragazza e il bambino; in tal caso, tutti i loro piani e le loro precauzioni sarebbero stati vani.
Ma non c’era stato… Dunque si poteva ancora rimediare.
«Perché siete vestita come se doveste uscire?» le chiese l’uomo. «E a quest’ora del mattino, per giunta?»
Peggy gli posò gentilmente un dito sulle labbra, per farlo tacere. Almeno questa fu la sua intenzione. Ma immediatamente capì di essere la prima donna a toccare il viso di quell’uomo dopo sua madre, tanti anni prima. Vide che in quel brevissimo istante il cuore di quell’uomo si era colmato non di passione, bensì dei vaghi turbamenti di un uomo solo. Era il pastore arrivato la mattina di due giorni prima, un predicatore itinerante: proveniva dalla Scozia, così aveva detto. Lei non gli aveva quasi prestato attenzione, sconvolta com’era per l’imminente arrivo di Alvin. Ma ora l’unica cosa che contava era rispedirlo in camera sua il più presto possibile, e Peggy conosceva un modo sicuro per farlo. Gli gettò le braccia sulle spalle, afferrandolo saldamente dietro il collo, e lo attirò a sé finché non poté baciarlo sulle labbra. Un bel bacio lungo e appassionato, come lui non ne aveva mai avuti da una donna in vita sua.
Proprio come Peggy si aspettava, non appena lei lo lasciò andare l’uomo si precipitò in camera sua. Peggy avrebbe voluto riderci su, ma dalla fiamma vitale del predicatore comprese che non era stato il suo bacio a metterlo in fuga. Era la scatola che ancora stringeva in mano e che gli aveva premuto contro la nuca quando gli aveva gettato le braccia al collo. La scatola contenente il cappuccio di Alvin.
Non appena la scatola lo aveva toccato, lui aveva percepito che cosa c’era dentro. Da parte sua non era un dono, era un’altra cosa… Il puro e semplice fatto di trovarsi così vicino a qualcosa che era appartenuto ad Alvin. Improvvisamente gli era comparso davanti agli occhi il volto di Alvin, scatenando in lui una paura e un odio di cui Peggy non aveva mai visto l’uguale. Solo allora Peggy si rese conto che quello non era un predicatore qualsiasi. Era il reverendo Philadelphia Thrower, già pastore a Vigor Church. Proprio quel tale reverendo Thrower che una volta sarebbe riuscito a uccidere Alvin, se il padre di quest’ultimo non gliel’avesse impedito.
La paura suscitata in lui dal bacio di una donna non era nulla in confronto a quella che provava per Alvin Junior. Un bel guaio, perché adesso era talmente spaventato che stava pensando di andarsene dalla locanda senza perdere nemmeno un istante. In tal caso avrebbe dovuto per forza scendere al piano di sotto e avrebbe visto esattamente ciò che Peggy cercava disperatamente di non fargli vedere. Era proprio quello che le era accaduto tante altre volte… Lei cercava di evitare qualcosa di male, e regolarmente succedeva qualcosa di peggio, qualcosa di così improbabile che lei non l’aveva neppure visto. Come aveva fatto a non riconoscerlo? Non l’aveva visto tante volte in passato attraverso gli occhi di Alvin? Era vero che, nel corso di quell’ultimo anno, il reverendo Thrower era cambiato: sembrava dimagrito, invecchiato, spaurito. E poi lei certamente non si sarebbe mai aspettata di vederlo lì, e comunque era troppo tardi per rimediare al malfatto. Ora l’unica cosa che contava era farlo stare in camera sua.
Perciò aprì a sua volta la porta, entrò nella camera, lo guardò diritto negli occhi e disse: «È nato qui».
«Chi?» chiese il pastore. Era bianco in viso come se avesse visto il diavolo in persona. Ma sapeva benissimo a chi Peggy intendesse riferirsi.
«E sta per tornare. Siete al sicuro solo se stanotte resterete nella vostra camera, e ve ne andrete domattina alle prime luci dell’alba.»
«Non so… non so di che cosa stiate parlando.»
Credeva davvero di poter ingannare una fiaccola? Forse non lo sapeva… Ma no, lo sapeva, lo sapeva, solo che non credeva alle fiaccole, ai talismani, ai doni segreti e via dicendo. Era un uomo di chiesa e di scienza, lui. Un maledetto idiota. Perciò Peggy avrebbe dovuto mettergli di fronte agli occhi ciò che più temeva al mondo; avrebbe dovuto dimostrargli che lo conosceva, e conosceva i suoi segreti. «Avete cercato di uccidere Alvin Junior con un coltello da macellaio» disse.
Tanto bastò. Il pastore cadde in ginocchio. «Non ho paura di morire» sussurrò. Poi cominciò a mormorare il Padre nostro.
«Pregate tutta la notte, se così vi piace» commentò Peggy «purché restiate nella vostra camera.»