Poi uscì dalla stanza chiudendo la porta dietro di sé. A metà delle scale udì il rumore del paletto. Peggy non ebbe nemmeno il tempo di chiedersi se per caso non l’avesse fatto soffrire più del necessario… In cuor suo quell’uomo non era veramente un assassino. Peggy tuttavia non pensava ad altro che a portare il cappuccio là dove avrebbe potuto servirsene per aiutare la fuggiasca, ammesso che in quel modo lei fosse davvero in grado di partecipare dei poteri di Alvin. Quanto tempo le era costato quel predicatore? Quanti preziosi respiri della piccola fuggiasca?
Respirava ancora? Sì. No. Il bambino dormiva profondamente accanto a lei, ma il petto della ragazza non si muoveva più. Peggy le posò le dita sulle labbra, e non sentì più nulla. La sua fiamma vitale però ardeva ancora! Peggy la scorgeva bene, si levava alta e luminosa, perché quella ragazza aveva un cuore davvero intrepido. Perciò Peggy aprì la scatola, prese il pezzo di cappuccio, ne staccò un frammento e strofinandoselo tra le dita fino a ridurlo in polvere mormorò: «Vivi, torna forte». Così facendo, cercava d’imitare Alvin quando guariva qualcuno, sentiva i piccoli posti rotti nel corpo della persona, aggiustava tutto quello che non funzionava. Non gliel’aveva visto fare tante volte? Ma farlo lei stessa era ben diverso. Le riusciva estraneo, non aveva la visione necessaria, e intanto sentiva la vita defluire dal corpo della ragazza, il cuore ormai fermo, i polmoni rilasciati, gli occhi aperti ma senza luce… La fiamma vitale guizzò come una stella cadente, un lampo improvviso, poi più nulla.
Troppo tardi. Se non fossi stata costretta a fermarmi nel corridoio al piano di sopra, se non avessi dovuto sistemare il predicatore…
Ma no, non poteva accusare se stessa. Quel potere non le apparteneva, era troppo tardi prima ancora di cominciare. La ragazza stava morendo con tutto il suo corpo. Nemmeno lo stesso Alvin, se fosse stato presente, ci sarebbe riuscito. Era stata soltanto una tenuissima speranza. Così tenue che lei stessa non aveva individuato un solo sentiero in cui potesse funzionare. Perciò non si sarebbe comportata come tanti altri, non avrebbe continuato a tormentarsi in eterno solo perché aveva fatto del suo meglio in un’impresa che fin dall’inizio aveva scarsissime possibilità di riuscita.
Ora che la ragazza era morta, Peggy non poteva lasciare il bambino là dove avrebbe potuto sentire che il braccio di sua madre si andava raffreddando. Lo tirò su. Il piccolo si mosse senza svegliarsi, come fanno i bambini. La tua mamma è morta, piccolo mio, ma avrai la mia mamma, e anche il mio papà. Hanno amore a sufficienza per una creatura come te; non vivrai affamato d’amore come certi bambini di mia conoscenza. E allora cerca di approfittarne, piccolino. La tua mamma è morta per portarti fin qui… Tu cerca di approfittarne e diventerai qualcuno, questo è certo.
Diventerai qualcuno, Peggy si udì mormorare. Diventerai qualcuno, e lo stesso farò anch’io.
Prese la decisione prima ancora di rendersi conto che ci fosse una decisione da prendere. Avvertì il suo futuro cambiare anche se, al momento, non riusciva a capire esattamente come.
La schiavetta aveva puntato sul futuro più probabile… Non c’è bisogno di essere una fiaccola per vedere con chiarezza certe cose. Quella che l’attendeva era una brutta vita: perdere il suo bambino, restare schiava fino al giorno in cui sarebbe crollata per non rialzarsi mai più. Eppure aveva visto un tenuissimo barlume di speranza per il suo piccolo, e una volta che l’aveva visto non aveva esitato, nossignore. Quel lontano bagliore per lei era bastato a compensare il sacrificio della vita.
E adesso guardatemi, pensò Peggy. Non faccio che esplorare i sentieri della vita di Alvin e in ciascuno di essi per me non vedo che sofferenza… niente di paragonabile a quella della schiavetta, ma certamente non una prospettiva gradevole. Ogni tanto colgo il riflesso di una luminosa occasione di felicità, intravedo una via strana e tortuosa per conquistare Alvin facendo in modo che anch’egli mi ami. E, una volta che l’ho vista, è pensabile che me ne stia lì a guardare quella luminosa speranza affievolirsi e scomparire, solo perché non so bene come arrivarci?
Se quella poverina ha potuto raggiungere quanto aveva sperato con cera, cenere, penne e un po’ di se stessa, allora anch’io posso prendere in mano la mia vita. Da qualche parte c’è un filo e, se riesco soltanto ad afferrarlo, mi porterà alla felicità. E anche se non lo trovo, sarà sempre meglio della disperazione che mi attende nell’eventualità che io rimanga qui. Anche se non farò mai parte della vita di Alvin quando diventerà uomo, ecco, questo non sarà mai un prezzo così alto come quello che la schiavetta fuggiasca ha pagato per la libertà.
Domani, quando Alvin arriverà qui, io non ci sarò più.
Questa fu la sua decisione, proprio così. Anzi, a stento riusciva a credere di non averci pensato prima. Fra tutti gli abitanti di Hatrack, lei per prima avrebbe dovuto sapere che esisteva sempre un’altra possibilità. Le persone dicevano sempre che la miseria e i patimenti in cui vivevano erano colpa delle circostanze, che non avevano mai avuto possibilità di scelta… Ma la schiavetta fuggiasca dimostrava che esisteva sempre una via d’uscita, purché uno ricordasse che a volte anche la morte poteva essere una strada liscia e diritta.
E per volare via non ho nemmeno bisogno di penne di corvo.
Peggy restò lì seduta col bambino fra le braccia, architettando una serie di piani, uno più audace dell’altro, per andarsene il mattino dopo prima dell’arrivo di Alvin. Ogni volta che si sentiva sgomenta di fronte a ciò che si era ripromessa di fare, abbassava lo sguardo sulla ragazza e quella vista la rincuorava. Un giorno potrei finire come te, schiavetta fuggiasca, che hai chiuso gli occhi per sempre in casa di estranei. Eppure preferisco affrontare l’ignoto piuttosto che consegnarmi passivamente a un futuro che già so quanto mi sarebbe difficile tollerare.
Ma lo farò davvero, domattina, quando verrà il momento e non ci sarà più modo di tornare indietro? Toccò il cappuccio di Alvin con la mano libera, semplicemente insinuando le dita nella scatola… e ciò che scorse nel futuro di Alvin le fece venir voglia di cantare. Prima d’allora la maggior parte dei sentieri vedevano lei e Alvin incontrarsi per incominciare una vita di patimenti. Ora invece solo alcuni di quei sentieri erano rimasti… Nella maggior parte dei futuri di Alvin, lo si vedeva arrivare al fiume Hatrack in cerca di una fiaccola, e scoprire che la ragazza non c’era più. Il semplice fatto di aver preso quella decisione aveva eliminato la maggior parte delle strade che portavano a tanta sofferenza.
Mamma fu di ritorno con i Berry prima che papà avesse finito di scavare la fossa. Anga Berry era una donna corpulenta: sul suo volto, le rughe del riso l’avevano vinta su quelle della preoccupazione, anche se entrambi i segni erano ugualmente evidenti. Peggy la conosceva bene e la trovava più simpatica della maggior parte dei loro vicini. Aveva un carattere impulsivo ma era anche capace di compassione, e Peggy non restò sorpresa nel vederla affrettarsi sul corpo della ragazza, prenderne la mano fredda e molle e stringersela al seno. Mormorò parole che ricordavano una ninnananna, da quanto la sua voce era bassa, dolce e carezzevole.
«È morta» disse Mock Berry. «Ma il bambino è sano e forte, vedo.»
Peggy si alzò in modo che l’uomo potesse vedere il bambino che lei stringeva tra le braccia. A differenza della moglie, Mock non era affatto simpatico a Peggy. Era il tipo capace di schiaffeggiare un bambino con tanta violenza da farlo sanguinare, solo perché non gli piaceva ciò che il piccolo aveva detto o fatto. La cosa peggiore però era che, quando si comportava così, non si mostrava affatto arrabbiato. Era come se non provasse nulla: far soffrire qualcuno o no, per lui non sembrava fare una grande differenza. Ma lavorava sodo e, sebbene fosse povero, la sua famiglia tirava avanti; e chi conosceva Mock non prestava ascolto a quella gentaglia secondo la quale non esisteva Nero che non rubasse, o Nera che non si facesse sbattere da chiunque.