«Molti prima di te mi hanno chiamato Padrone» disse lo straniero. «Sapevo che mi avresti riconosciuto subito per quello che ero.»
Com’era possibile che l’uomo conoscesse le parole che Cavil aveva pensato nei più oscuri recessi della sua mente? «Allora sei davvero un sorvegliante?»
«Proprio come una volta è esistito un uomo che non era noto come un maestro, ma semplicemente come il Maestro, così anch’io non sono un sorvegliante, bensì il Sorvegliante.»
«Perché sei venuto?»
«Perché tu stesso mi hai chiamato.»
«E come potevo chiamarti, se non ti ho mai visto prima?»
«Quando s’invoca l’invisibile, Cavil Planter, non bisogna stupirsi se ci si trova davanti a qualcosa che non si è mai visto prima.»
Solo allora Cavil capì sino in fondo quale sorta di visione si trovasse a contemplare, proprio lì sotto la tettoia del tabacco. Un uomo che molti avevano chiamato Maestro era giunto in risposta alla sua preghiera.
«Signore Gesù!» esclamò Cavil.
Il Sorvegliante indietreggiò di scatto, sollevando una mano come per proteggersi dalle parole di Cavil. «A nessuno è concesso di rivolgersi a me con quel nome!» gridò.
Terrorizzato, Cavil si chinò fino a sfiorare la terra con la fronte. «Perdonami, Sorvegliante! Ma se sono indegno di pronunciare il tuo nome, com’è possibile che io possa guardarti in viso? O sono condannato a morire oggi stesso, senza aver potuto far penitenza per i miei peccati?»
«Guai a te, stolto» disse il Sorvegliante. «Che cosa ti fa pensare che quello che vedi sia il mio volto?»
Cavil alzò la testa e guardò l’uomo. «In questo momento vedo i tuoi occhi, che mi guardano.»
«Scorgi solo il volto che mi hai attribuito con la tua mente, il corpo che hai evocato con la tua immaginazione. Il tuo debole intelletto non potrebbe mai comprendere ciò che si troverebbe di fronte, se tu mi vedessi come sono realmente. Perciò l’intelletto protegge il proprio equilibrio inventando una maschera da sovrapporre alle mie vere sembianze. Se tu mi vedi come un Sorvegliante, è perché a queste sembianze attribuisci la grandezza e il potere che io possiedo. È la forma che tu ami e temi, la forma che suscita in te venerazione e repulsione. Sono stato chiamato in molti modi. Angelo della Luce e Uomo che Cammina, Estraneo Inaspettato e Ospite Luminoso, Colui che si Nasconde e Leone di Guerra, Distruttore del Ferro e Portatore d’Acqua. Oggi tu mi hai chiamato Sorvegliante, e di conseguenza, per te, questo è il mio nome.»
«Potrò mai conoscere il tuo vero nome, o vedere il tuo vero volto, Sorvegliante?»
Il volto del Sorvegliante si fece scuro e spaventoso, ed egli spalancò la bocca, come per mettersi a ululare. «Solo un’anima vivente fra tutti i mortali mi ha visto nella mia vera forma, e quell’anima sicuramente morrà!»
Quelle terribili parole percossero Cavil Planter come un fulmine a ciel sereno facendolo tremare fino nelle ossa, ed egli affondò le dita nel pavimento di terra battuta del capanno per non volar via come polvere sferzata dal vento prima di un temporale. «Non uccidermi per la mia impertinenza!» implorò Cavil.
La risposta del Sorvegliante fu carezzevole come il sole del mattino. «Ucciderti? E perché mai, se tu sei colui che ho scelto per ricevere i miei insegnamenti più segreti, un vangelo sconosciuto a sacerdoti e pastori?»
«Io?»
«Ho già incominciato a impartirti il mio insegnamento, e tu mi hai capito. So quanto desideri fare ciò che io ti comando. Ma non hai abbastanza fede. Non sei ancora completamente mio.»
Cavil sentì il cuore balzargli in petto. Possibile che il Sorvegliante intendesse fargli lo stesso dono che aveva fatto ad Abramo? «Sorvegliante, io non ne sono degno.»
«Certo che non ne sei degno. Nessuno è degno di me, no, nessuno di coloro che vivono su questa terra. Eppure, se mi obbedisci, potrai ancora trovare favore dinanzi ai miei occhi.»
Sì, lo farà! esclamò Cavil in cuor suo. Si, mi donerà quella donna! «Tutto ciò che vorrai ordinarmi, Sorvegliante.»
«Credi forse che ti darei Agar a causa della tua sciocca concupiscenza e del tuo smodato desiderio di un figlio? No, vi è uno scopo molto più elevato. I Neri sono certamente figli di Dio, ma in Africa vivevano sotto il potere del demonio. Quello spietato distruttore ha corrotto il loro sangue… Perché credi che sarebbero Neri, altrimenti? Finché ogni generazione nascerà di pura razza nera, io non sarò mai in grado di salvarla, poiché continuerà a essere proprietà del demonio. Come tornare a farli miei, se tu non mi aiuti?»
«Vuoi dire che se prendo la ragazza, mio figlio nascerà Bianco?»
«Ciò che conta, per me, è che il bambino non nasca di pura razza nera. Hai capito dunque che cosa voglio da te? Non un solo Ismaele, ma molti figli; non una sola Agar, ma molte donne.»
Cavil quasi non riuscì a formulare in parole il più segreto dei suoi desideri. «Vuoi dire… tutte?»
«Io te le dono tutte, Cavil Planter. Questa generazione perduta ti appartiene. Se farai ciò che ti dico, la prossima generazione potrà essere mia.»
«Lo farò, Sorvegliante!»
«Non devi far parola di me con nessuno. Io parlo solo a coloro i cui desideri già inclinano verso di me e verso le mie opere, coloro che sono già assetati dell’acqua che io porto.»
«Non dirò niente a nessuno, Sorvegliante!»
«Obbediscimi, Cavil Planter, e ti prometto che alla fine dei tuoi giorni m’incontrerai di nuovo e mi riconoscerai per quello che sono. Allora io ti dirò: ‘Cavil Planter, tu sei mio. Vieni, e sii mio schiavo per sempre’.»
«Ne sarò felice!» gridò Cavil. «Felice! Felice!»
Spalancò le braccia e fece per abbracciare le ginocchia del Sorvegliante. Ma dove avrebbe dovuto toccare l’ospite, non c’era più nulla. Il Sorvegliante era sparito.
Da quella sera, le schiave di Cavil Planter non ebbero più pace. La notte, quando se le faceva portare, Cavil cercava di trattarle con la forza e la fierezza che aveva visto nel volto di quel terribile Sorvegliante. Quando mi guardano debbono scorgere il Suo volto, pensava Cavil. E così fu.
La prima che prese fu una schiavetta comprata da poco che non sapeva neanche una parola d’inglese. La ragazza gridò di terrore finché egli non le rigò il corpo con le stesse vesciche che aveva visto nei suoi sogni. Allora, gemendo, ella gli permise di fare ciò che il Sorvegliante gli aveva ordinato. Per un istante, quella prima volta, egli pensò che quei suoi gemiti fossero come la voce di Dolores quando piangeva piano nel suo letto, ed avvertì per lei la stessa profonda pietà che aveva provato per la sua adorata sposa. Fu sul punto di tendere gentilmente la mano verso la ragazza come una volta aveva fatto per confortare Dolores. Poi ricordò il volto del Sorvegliante e pensò: questa piccola Nera è Sua nemica; mi appartiene. E come un uomo deve arare e seminare la terra che il Signore gli ha donato, non posso lasciare che il ventre di questa Nera resti sterile.
«Agar» così la chiamò quella prima notte. «Non sai quale benedizione io ti porti.»
Il mattino seguente si guardò nello specchio e nel proprio volto scorse qualcosa di nuovo. Una sorta di fierezza, di terribile forza nascosta. Ah, pensò Cavil, nessuno mi ha mai visto per quello che sono veramente, nemmeno io stesso. Solo adesso scopro che io e il Sorvegliante partecipiamo della stessa natura.
Nel dedicarsi alla sua opera notturna, non provò più un solo istante di pietà. Livido in viso, bastone in mano, si recava alla capanna delle donne e indicava la prescelta di quella sera. Se una di loro esitava, apprendeva dal bastone quale fosse il prezzo della riluttanza. Se qualsiasi altro Nero, uomo o donna, osava protestare, il giorno dopo Cavil si assicurava che il Sorvegliante gliela facesse pagare col sangue. Non un solo Bianco giunse mai a sospettare di lui; non un solo Nero si azzardò mai ad accusarlo.