«Non dovete disturbarvi» disse Cavil.
«Non sia mai detto che il reverendo Philadelphia Thrower non abbia profuso amore cristiano verso tutti i figli di Dio… Bianchi e Neri, maschi e femmine, santi e peccatori.»
A quelle parole gli schiavi drizzarono le orecchie, e così fece Cavil, sebbene per motivi opposti. Quelli erano discorsi da Emancipazionista, e Cavil tremò all’idea di aver invitato in casa propria il demonio in persona, sotto le vesti di quel predicatore presbiteriano. D’altra parte, concedere a un vero pastore di amministrare il rito funebre avrebbe senz’altro contribuito ad acquietare i timori superstiziosi dei Neri. E difatti, una volta pronunciata l’orazione e riempita la fossa, tutti parvero molto più tranquilli: niente più ululati da accapponar la pelle, insomma.
A cena il predicatore — Thrower, si chiamava — dissipò gran parte dei timori di Cavil. «Sono convinto che l’arrivo dei Neri in catene nel continente americano sia parte del grande disegno divino. Come i figli di Israele, che dovettero sopportare anni di cattività in Egitto, così queste anime nere sono soggette alla sferza del Signore, che le plasma secondo i Suoi fini. Gli Emancipazionisti hanno compreso una grande verità — che Dio ama anche i suoi figli neri — ma tutto il resto l’hanno frainteso. Pensate, se potessero fare a modo loro e liberare tutti gli schiavi in una volta sola, ciò gioverebbe agli scopi del demonio, e non a quelli di Dio, perché senza schiavitù i Neri non avrebbero alcuna speranza di sollevarsi al di sopra della loro condizione animalesca.»
«La vostra mi sembra ottima teologia» commentò Cavil.
«Possibile che gli Emancipazionisti non capiscano che ogni Nero fuggito dal suo legittimo padrone per rifugiarsi al Nord è condannato alla dannazione eterna insieme alla sua prole? Per i vantaggi che può trovare al Nord, sarebbe stato meglio per lui restare in Africa. I Bianchi di lassù odiano i Neri, com’è giusto che sia, giacché solo i più malvagi, orgogliosi e superbi osano recare offesa a Dio abbandonando il loro padrone. Ma voi che abitate negli Appalachi e nelle Colonie della Corona amate i Neri d’autentico amore, giacché solo voi siete disposti ad assumervi la responsabilità di queste pecorelle smarrite, aiutandole a progredire sulla strada dell’autentica umanità.»
«Può ben darsi che siate presbiteriano, reverendo Thrower, ma sicuramente conoscete la vera religione.»
«Sono felice di sapere che mi trovo nella casa di un uomo timorato di Dio, fratello Cavil.»
«Mi auguro di potermi davvero ritenere vostro fratello, reverendo Thrower.»
Così continuarono a conversare e ad apprezzarsi sempre di più col procedere della serata. Quando scese la notte, uscirono in veranda per godersi la frescura: allora Cavil cominciò a pensare di aver incontrato il primo uomo al quale poter rivelare almeno una parte del suo grande segreto.
Cavil la prese alla larga. «Reverendo Thrower, non pensate che anche al giorno d’oggi il Signore Iddio possa rivolgersi direttamente a qualche essere umano?»
La voce di Thrower si fece solenne. «Sono sicuro che ciò possa avvenire.»
«E non credete che possa rivolgersi perfino a una persona qualsiasi… a un uomo come me?»
«Non dovete sperarlo, fratello Cavil» disse Thrower «perché il Signore agisce secondo la Sua volontà, e non secondo la nostra. Eppure so per certo che il più umile degli uomini può ricevere un… un messo.»
Cavil sentì come un vuoto allo stomaco. Accidenti, sembrava quasi che Thrower fosse già al corrente del suo segreto. Ma ancora non osò rivelare tutto quanto. «Volete sapere che cosa penso?» disse Cavil. «Penso che il Signore Iddio non possa apparire nella Sua vera forma, perché la Sua gloria potrebbe incenerire un semplice mortale.»
«Ne sono convinto anch’io» approvò Thrower. «Come quando Mosè desiderava ardentemente una visione del Signore, e il Signore gli coprì gli occhi con la mano, permettendogli solo di vederlo di spalle mentre si allontanava.»
«Ma che ne direste se un uomo come me avesse visto il Signore Gesù in persona, non simile alle figure dei libri, bensì per esempio con l’aspetto di un sorvegliante? Per quanto mi riguarda, sono convinto che un mortale non possa vedere la vera maestà di Dio, ma solo qualcosa che possa fargli comprendere la potenza di Dio.»
Thrower annuì pensosamente. «Può darsi» disse. «È una delle spiegazioni possibili. Oppure può darsi che abbiate visto un angelo.»
Dunque c’era arrivato… e in fondo era stato così semplice. Da «che ne direste se un uomo come me…» a «può darsi che abbiate visto un angelo». Era davvero straordinario quanto loro due si somigliassero. Perciò, dopo quasi sette anni, Cavil raccontò per la prima volta tutta la storia dall’inizio alla fine.
Quando ebbe finito, Thrower gli prese la mano e la strinse fraternamente, guardandolo diritto negli occhi con un’espressione quasi spiritata. «Quale sacrificio da parte vostra: unire la vostra carne a quella di tante Nere al solo scopo di servire il Signore. Quanti figli avete avuto?»
«Venticinque nati vivi. Stasera mi avete aiutato a seppellire il ventiseiesimo, ancora nel grembo di Salamandy.»
«E dove sono questi piccoli mulatti dei quali possiamo augurarci la salvezza?»
«Ah, l’altra metà dell’opera sta proprio in questo» disse Cavil. «Fino al Trattato sugli Schiavi Fuggiaschi, li vendevo il più presto possibile al Sud, in modo che, crescendo, diffondessero il sangue bianco nelle Colonie della Corona. Ciascuno di loro sarebbe divenuto una specie di missionario attraverso il suo seme. Naturalmente gli ultimi li ho tenuti qui. Ma la cosa non è esente da rischi. Tutti i miei schiavi in età da riproduzione sono Neri di pura razza, e la gente prima o poi comincerà a chiedersi di dove vengono questi piccoli mulatti. Fino a ora, però, l’unico che li ha visti è Lashman, il mio sorvegliante e, anche supponendo che se ne sia accorto, ha sempre tenuto la bocca chiusa.»
Thrower annuì, ma evidentemente i suoi pensieri erano altrove. «Solo venticinque, avete detto?»
«Non ho potuto fare di meglio» si giustificò Cavil. «Neanche una Nera può restare incinta subito dopo aver figliato.»
«Voglio dire… Ecco, anch’io ho ricevuto una… una visita. È per questo motivo che mi trovo qui, in viaggio per gli Appalachi. Mi era stato detto che avrei incontrato un piantatore che conosceva il mio Messo e che aveva prodotto ventisei doni di Dio vivi e vegeti.»
«Ventisei?»
«Vivi e vegeti.»
«Ecco, vedete… In realtà le cose stanno proprio come avete detto. Non avevo compreso nel conto il mio primogenito, perché sua madre è fuggita portandolo con sé pochi giorni prima che io lo consegnassi al suo nuovo proprietario. Così ho dovuto restituire a quest’ultimo la somma che mi aveva pagato. Neanche mandarle dietro i cani è servito a niente, nessuno è riuscito a ritrovare la sua pista. Tra gli schiavi girava la storia che si fosse trasformata in un corvo, volando via, ma sapete bene quanta fantasia abbia quella gente.»
«Perciò in realtà sono ventisei. E ditemi ancora: il nome ‘Agar’ vi dice per caso qualcosa?»
Cavil trasalì. «Nessuno sa che chiamavo la madre con quel nome!»
«Il mio Messo mi ha rivelato che Agar vi aveva trafugato il vostro primo dono.»
«È Lui. Allora l’avete visto anche voi.»
«A me si manifesta come… non come un sorvegliante. Uno scienziato, piuttosto: un uomo d’insondabile sapienza. Immagino che ciò avvenga perché anch’io sono uno scienziato, al di là della mia vocazione pastorale. Ho sempre immaginato che Egli fosse un semplice angelo — ascoltatemi bene, un semplice angelo — perché non avrei mai osato sperare che Egli fosse… il Maestro in persona. Ma ora che me lo dite… È forse possibile che entrambi siamo stati al cospetto del Signore? Ah, Cavil, come posso dubitarne? Per quale altro motivo il Signore avrebbe dovuto farci incontrare? Questo significa che sono stato… perdonato.»