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Be’, la sera prima, udendo questi discorsi Alvin era letteralmente uscito dai gangheri; lei allora gli aveva assicurato che, comportandosi così, sarebbe rimasto uno stupido per tutta la vita; lui aveva ribattuto che a lui andava benissimo, visto che, fino a quel momento, era sopravvissuto contro ogni aspettativa proprio comportandosi da quello stupido che era senza farsi aiutare da gente come lei. Poi era uscito come una furia e si era messo a camminare, guardando i primi fiocchi di neve.

Camminava solo da qualche minuto quando si era reso conto che la signorina Larner aveva ragione, e che lui l’aveva sempre saputo. Proprio così. Alvin inviava all’esterno la sua pulce per capire com’erano fatti gli oggetti del mondo circostante, però, quando voleva operare qualche cambiamento nell’oggetto che si trovava di fronte, doveva anzitutto pensare a come voleva farlo diventare. Doveva pensare a qualcosa che ancora non esisteva, crearne l’immagine nella propria mente, e poi, affidandosi ai poteri con cui era nato e che ancora non riusciva a comprendere, diceva: «Vedi? È così che dovresti essere!» E allora, a volte in fretta, a volte lentamente, i frammenti dell’oggetto si spostavano fino a trovarsi nella posizione giusta. Era così che faceva ogni volta che voleva staccare un pezzo di roccia viva dalla parete, o unire due pezzi di legno, o fare in modo che le particelle di ferro si allineassero così, da raggiungere il massimo della forza e della resistenza, oppure diffondere in maniera uniforme il calore del fuoco alla base del crogiuolo. Perciò era vero che con l’immaginazione vedeva qualcosa che non esisteva ancora, ed era proprio questo suo atto a farlo esistere.

Per un terribile, vertiginoso momento si chiese se per caso il mondo intero non fosse solo un prodotto della sua immaginazione, e se, smettendo d’immaginarlo, esso non sarebbe scomparso. Naturalmente, una volta che ebbe ripreso il filo dei suoi pensieri, capì che se il mondo fosse stato solo frutto della sua immaginazione, non ci sarebbero state tante cose strane e incomprensibili alle quali non gli sarebbe mai venuto in mente di pensare.

Perciò forse il mondo non era altro che un sogno della mente di Dio. Ma no, neanche questo poteva essere vero, perché se Dio aveva sognato uomini come Assassino Bianco Harrison, allora Dio non era così buono come si diceva. No, il massimo cui Alvin riuscì ad arrivare fu l’idea che Dio lavorava più o meno nello stesso modo di Alvin: parlava alle rocce della terra e al fuoco del sole e via dicendo, spiegando loro in che modo avrebbero dovuto essere, e poi lasciava che diventassero in quel modo. Ma quando Dio diceva agli uomini come avrebbero dovuto essere, quelli invece ridevano e gli facevano gli sberleffi, oppure facevano finta di obbedire mentre in realtà continuavano a comportarsi come volevano. I pianeti, le stelle e gli elementi potevano anche provenire dall’immaginazione di Dio. Ma gli uomini erano troppo intrattabili perché si potesse attribuirne l’esistenza ad altri che a loro stessi.

Questo era il punto cui Alvin era arrivato la sera prima, mentre camminava in mezzo alla neve e pensava alle cose che non avrebbe mai saputo. Per esempio, che cosa sogna Dio quando dorme — ammesso che mai si addormenti — e se tutti i suoi sogni poi si avverano, cosicché ogni notte salta fuori un nuovo universo pieno di gente. Domande che non lo avrebbero portato di un capello più vicino a diventare un Creatore.

Così quel giorno, avanzando faticosamente nella neve verso la locanda, a testa bassa per difendersi dal vento, cominciò a pensare alla prima domanda: quale poteva essere l’aspetto di un atomo? Cercò d’immaginarsi qualcosa di così minuscolo che fosse impossibile dividerlo in due. Ma ogni volta che immaginava qualcosa del genere — una minuscola scatola, una minuscola biglia e via dicendo — ebbene, finiva sempre coll’immaginarselo diviso a metà.

L’unico caso in cui non poteva dividere qualcosa a metà era se questo qualcosa fosse stato così sottile che niente avrebbe potuto essere più sottile. Pensò a un qualcosa di così schiacciato da essere più sottile di un foglio di carta, così sottile che, se uno lo guardava di taglio, era esattamente come se non esistesse. Tuttavia, anche in questo caso, ammettendo di non poterlo dividere nel senso dello spessore, Alvin poteva sempre immaginare di voltarlo, tagliandolo in due come un pezzo di carta.

E se fosse stato schiacciato anche nell’altra direzione, così da essere soltanto un bordo, come il filo più sottile che si potesse immaginare? Nessuno avrebbe potuto vederlo, eppure sarebbe pur sempre esistito, perché si estendeva da qui a lì. Sicuramente non lo si sarebbe potuto dividere lungo il bordo, e non aveva una superficie piatta come la carta. Eppure, finché si estendeva come un filo invisibile da un punto all’altro, per quanto breve fosse la distanza, Alvin poteva pur sempre immaginare di tagliarlo a metà, e poi ancora a metà.

No, l’unico modo in cui una particella poteva essere così piccola da diventare un atomo era quello di non possedere dimensioni in nessuna direzione, né lunghezza né larghezza né spessore. In questo caso quella particella sarebbe stata sicuramente un atomo… Solo che non sarebbe neanche esistita, sarebbe stata semplicemente nulla. Un semplice punto senza niente dentro.

Saliti i gradini della locanda, Alvin cominciò a pestare i piedi per liberarli dalla neve, il che era senz’altro meglio che bussare per avvertire chi si trovava all’interno che era arrivato qualcuno. Udendo i rapidi passi di Arthur Stuart che veniva ad aprirgli, non riusciva a pensare ad altro che agli atomi. Infatti, sebbene avesse appena concluso che gli atomi non potevano esistere, stava incominciando a rendersi conto che sarebbe stato ancora più pazzesco pensare che gli atomi veramente non esistessero, e che ogni cosa potesse essere divisa in pezzi più piccoli, e questi pezzi potessero essere divisi a loro volta in pezzi ancora più piccoli, e così via all’infinito. E, a rifletterci bene, non c’erano alternative. O si arrivava a una particella che non poteva più essere divisa, cioè all’atomo, oppure non ci si arrivava, il che significava andare avanti all’infinito… e questo era più di quanto la testa di Alvin potesse sopportare.

Quasi senza rendersene conto, si ritrovò nella cucina della locanda, con Arthur Stuart a cavalluccio che giocava con cappello e sciarpa. Horace Guester era nel fienile a imbottire di paglia le nuove fodere dei materassi, perciò fu alla vecchia Peg che Alvin chiese in prestito la slitta. In cucina faceva un gran caldo, e Goody Guester non sembrava particolarmente di buon umore. Gli concesse l’uso della slitta, ma c’era un prezzo da pagare.

«Salva la vita di un bambino di mia conoscenza, Alvin, e porta con te Arthur Stuart» disse la vecchia Peg «o giuro che, se ne combina un’altra delle sue, stasera finisce nello spezzatino.»

In effetti Arthur Stuart sembrava in vena di marachelle… in quel momento stava tentando di strangolare Alvin con la sua stessa sciarpa e rideva come un matto.

«Facciamo un po’ di ripasso, Arthur» disse Alvin. «Come si scrive ‘mi stai strozzando’?»

«M-I S-T-A-I S-T-R-O-Z-Z-A-N-D-O» compitò diligentemente Arthur Stuart.

Arrabbiata com’era, Goody Guester non poté fare a meno di scoppiare a ridere… Non perché Arthur Stuart si fosse mangiato una doppia, ma perché aveva compitato quelle parole in una perfetta imitazione della signorina Larner. «Te lo giuro, Arthur Stuart» disse «sarà meglio che non ti faccia mai sentire dalla maestra, o con la scuola hai chiuso.»

«Benissimo! Non mi piace andare a scuola!» esclamò il ragazzino.

«Sicuramente andare a scuola ti piace di più di quanto non ti piacerebbe lavorare qui in cucina con me» ribatté Goody Guester. «Da mattina a sera, ogni giorno che Dio manda in terra, estate e inverno, perfino i giorni in cui potresti andare a nuotare.»