Ogni volta che Alvin si fermava da un cliente, Arthur Stuart restava nella slitta, al riparo della coperta. Alvin infatti non rimaneva mai al chiuso abbastanza a lungo perché uno avesse il tempo di riscaldarsi dopo aver percorso il tragitto dalla slitta alla porta d’ingresso. Fu solo quando giunsero all’emporio di Pieter Vanderwoort che valse la pena di entrare a riscaldarsi. Pieter aveva una stufa bella grande, e Alvin e Arthur non erano i primi ad avere avuto l’idea di starsene un po’ lì al calduccio. Nella bottega infatti c’erano già un paio di ragazzi di città: tenevano i piedi contro la stufa, e sorseggiavano tè bollente rinforzato con un goccetto o due di liquore versato da una fiaschetta. Quei due non erano il tipo di ragazzi con cui Alvin trascorresse molto del suo tempo. Sì, li aveva fatti ruzzolare nella polvere un paio di volte, ma questo valeva per qualsiasi essere umano di sesso maschile che abitasse in città e che fosse disposto a misurarsi con lui. Alvin sapeva che quei due — uno, quello con i brufoli, si chiamava Martin, l’altro Daisy… Sì, lo so che non è un nome molto dignitoso per chiunque non sia una mucca, fatto sta che si chiamava proprio così insomma, sapeva che quei due erano il genere di ragazzi cui piace dar fuoco ai gatti e fare battute volgari alle spalle delle ragazze. Non erano persone che Alvin sarebbe andato a cercare, però nemmeno le trovava particolarmente antipatiche. Così salutò entrambi con un cenno del capo, e loro ricambiarono il saluto. Uno alzò la fiaschetta nella sua direzione per invitarlo a bere, ma Alvin rifiutò cortesemente, e la cosa finì lì.
Al bancone, Alvin si tolse qualche sciarpa, avvertendo un grande sollievo, perché sotto era tutto sudato; poi cominciò a srotolare quelle di Arthur Stuart, che si mise a girare come una trottola mentre Alvin le tirava dall’estremità. Le risate di Arthur richiamarono dal retrobottega il signor Vanderwoort, che si mise a ridere a sua volta.
«Da piccoli sono così carini, eh?» commentò.
«Oggi è la mia lista della spesa, vero, Arthur?»
Arthur Stuart snocciolò la lista senza fare un solo errore, anche stavolta con la voce di sua madre. «Un barilotto di farina di grano e due coni di zucchero e una libbra di pepe e dodici fogli di carta e un paio di braccia di stoffa che possa andar bene per una camicia per Arthur Stuart.»
Il signor Vanderwoort quasi morì dal ridere. «Quando parla come la sua mamma quel ragazzo mi fa proprio schiantare» disse.
Uno dei ragazzi accanto alla stufa sghignazzò sonoramente.
«Intendo dire la sua mamma adottiva, si capisce» precisò Vanderwoort.
«Ma no, probabilmente è proprio la sua vera mamma!» disse Daisy. «Ho sentito dire che Mock Berry fa un sacco di lavoretti su alla locanda!»
Alvin si morse le labbra per non rispondergli d’istinto. Invece riscaldò la fiaschetta che Daisy teneva in mano, così che quest’ultimo la lasciò cadere con un’esclamazione di sorpresa.
«Vieni con me nel retrobottega, Arthur Stuart» lo invitò Vanderwoort.
«Mi ha quasi bruciato la mano!» bofonchiò Daisy.
«Ora ripetimi la lista una voce alla volta, e io ti darò tutto quello che ti serve» disse Vanderwoort. Alvin sollevò Arthur sopra il bancone e Vanderwoort lo agguantò dall’altra parte deponendolo di nuovo a terra.
«Stupido come sei, l’avrai appoggiata sulla stufa» disse Martin. «Pensavi che per riscaldare lo stomaco il whisky dovesse essere a bollore?»
Vanderwoort condusse Arthur nel retrobottega. Alvin prese un paio di biscotti da un barile e avvicinò uno sgabello alla stufa.
«Ma io non l’avevo messa sulla stufa» insistette Daisy.
«Salve, Alvin» disse Martin.
«Salve, Martin. Salve, Daisy. Proprio la giornata giusta per starsene vicino alla stufa.»
«Proprio una giornata storta, invece» borbottò Daisy. «Piccoli Neri saccenti e dita bruciate.»
«Qual buon vento ti porta in città, Alvin?» chiese Martin. «E come mai ti sei tirato dietro quel carboncino? O la vecchia Peg Guester te l’ha venduto?»
Alvin si limitò a sgranocchiare il biscotto. Era stato un errore punire Daisy per quello che aveva detto, e sarebbe stato un errore ancora più grave farlo di nuovo. Non era stato proprio il tentativo di punire qualcun altro ad attirargli addosso il Distruttore? No, da quel giorno dell’estate precedente Alvin si era ripromesso di controllarsi, perciò tacque, limitandosi a mangiare il biscotto.
«Quel ragazzo non è in vendita» disse Daisy. «Lo sanno tutti. Pensa, la vecchia Peg sta perfino cercando d’istruirlo, così almeno ho sentito dire.»
«Anch’io sto istruendo il mio cane» esclamò Martin. «Secondo te quel ragazzo avrà già imparato a dare la zampa, a puntare la selvaggina o a fare qualcos’altro di utile?»
«Ma tu hai un vantaggio, Marty» disse Daisy. «Il cane ha abbastanza cervello da capire che è un cane, per cui non si mette in testa d’imparare a leggere. Ma quegli scimmiotti senza pelo che sono capaci di credersi umani, capisci che voglio dire?»
Alvin si alzò, avvicinandosi al bancone. Vanderwoort era ormai di ritorno con le braccia cariche di roba. Arthur gli trotterellava alle calcagna.
«Vieni qui dietro, Alvin» disse Vanderwoort. «La stoffa per la camicia di Arthur sarà meglio che la scelga tu.»
«Ma io di stoffa non ci capisco nulla» protestò Alvin.
«Be’, io di stoffa me ne intendo, ma non so quali siano i gusti della vecchia Peg Guester, e se quella che le riporterai a casa poi non va bene, preferisco che sia colpa tua e non mia.»
Alvin si mise a sedere sul bancone e gettò le gambe dall’altra parte. Vanderwoort lo condusse nel retrobottega e insieme trascorsero qualche minuto a scegliere una flanella scozzese che andasse bene per la camicia e allo stesso tempo fosse abbastanza resistente da poterne utilizzare i ritagli per qualche toppa da mettere sui pantaloni. Quando tornarono in negozio, Arthur Stuart era vicino alla stufa con Daisy e Martin.
«Come si scrive ‘sassofrasso’?» stava domandando Daisy.
«S-A-S-S-O-F-R-A-S-S-O» disse Arthur Stuart, come al solito in una perfetta imitazione della voce della signorina Larner.
«È giusto?» chiese Martin.
«Che mi prenda un colpo.»
«Non mi sembra il caso di usare parole del genere vicino a un bambino» disse Vanderwoort.
«Ah, non preoccupatevi» ribatté Martin. «È il nostro carboncino preferito. Non gli faremo del male.»
«Non sono un carboncino» protestò Arthur Stuart. «Sono un bambino mulatto.»
«Ehi, ma è proprio vero!» La voce di Daisy si fece così acuta da incrinarsi.
Alvin non ne poteva quasi più. Parlò a voce bassissima, in modo che solo Vanderwoort potesse udirlo. «Un’altra battuta come questa e gli riempio le orecchie di neve.»
«Non prendertela» mormorò Vanderwoort. «In fondo non fanno male a nessuno.»
«È per questo che non lo ammazzo.» Ma lo disse sorridendo, e sorrise anche Vanderwoort. Daisy e Martin stavano solo giocando, e finché Arthur Stuart si divertiva, che male c’era?
Martin prese una boccetta da uno scaffale e la portò a Vanderwoort. «Che c’è scritto qui?» chiese.
«Eucalipto» disse Vanderwoort.
«Allora dimmi, mio piccolo mulatto, come si scrive ‘eucalipido’?»
«E-U-V-A-L-I-P-T-O» disse Arthur.
«Ma sentitelo!» esclamò Daisy. «La maestra non vuole perder tempo con noi, però intanto abbiamo la sua voce che ci sillaba tutto quello che diciamo.»
«Come si scrive ‘tette’?» domandò Martin.
«Ehi, ora esagerate davvero» intervenne Vanderwoort. «È solo un bambino.»
«Volevo solo sentirglielo dire con la voce della maestra» disse Martin.
«L’avevo capito benissimo, ma questi discorsi andate a farli dietro il fienile di casa vostra, e non nel mio negozio.»