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Una volta scaricati gli acquisti alla locanda, per Alvin e Arthur era quasi giunta l’ora della lezione, per cui entrambi s’incamminarono verso la casa della signorina Larner scagliandosi palle di neve per tutto il tragitto. Alvin si fermò alla fucina per consegnare a Makepeace il registro delle consegne. Ma il fabbro doveva aver staccato in anticipo, perché alla fucina non c’era nessuno; Alvin infilò il quaderno sullo scaffale accanto alla porta, dove Makepeace avrebbe potuto trovarlo. Poi lui e Arthur ricominciarono a scambiarsi palle di neve aspettando che la signorina Larner tornasse a casa.

Il dottor Whitley Physicker le aveva dato un passaggio con la sua slitta coperta e l’accompagnò fino alla porta. Quando si accorse di Alvin e Arthur in attesa a poca distanza, parve irritato. «Ehi, voi due, non vi viene in mente che in una giornata come questa la signorina Larner possa essere stanca di fare lezione?»

La donna posò la mano sul braccio del dottore. «Grazie per avermi riaccompagnata a casa, dottor Physicker» disse.

«Preferirei che mi chiamaste Whitley.»

«Siete molto gentile, dottor Physicker, ma penso di sentirmi più a mio agio usando il vostro titolo. In quanto ai miei allievi, ho scoperto che imparano molte più cose quando fa brutto tempo, perché così non preferirebbero essere allo stagno a nuotare.»

«Io no!» esclamò Arthur Stuart. «Come si scrive ‘campionato’?»

«C-A-M-P-I-O-N-A-T-O» compitò la signorina Larner. «Dove hai sentito questa parola?»

«C-A-M-P-I-O-N-A-T-O» ripeté Arthur Stuart… con la voce della signorina Larner.

«Questo ragazzo è indubbiamente un fenomeno» disse Physicker. «Un autentico pappagallo.»

«Il pappagallo imita la voce, ma non ne capisce il senso» puntualizzò la donna. «Arthur Stuart non solo compita le parole con la mia voce, ma ne comprende il significato e può leggerle o scriverle a piacimento.»

«Io non sono un pappagallo» protestò Arthur Stuart. «Sono un campionato di ortografia.»

Il dottor Physicker e la signorina Larner si scambiarono uno sguardo nel quale evidentemente vi era molto di più di quanto Alvin potesse cogliere dall’esterno.

«Molto bene» disse il dottor Physicker. «Poiché in effetti dietro vostra insistenza l’ho iscritto come privatista, Arthur Stuart può partecipare alla gara di ortografia della contea. Ma non aspettatevi di portarlo oltre, signorina Larner!»

«Le vostre ragioni erano senz’altro eccellenti, dottor Physicker, e di conseguenza non posso che essere d’accordo. Ma le mie ragioni…»

«Le vostre ragioni erano schiaccianti, signorina Larner. E non posso che gustare in anticipo la costernazione di coloro che si sono battuti per tenerlo fuori dalla scuola quando lo vedranno ottenere risultati migliori di bambini con il doppio dei suoi anni.»

«Costernazione, Arthur Stuart» disse la signorina Larner.

«C-O-S-T-E-R-N-A-Z-I-O-N-E» ripeté Arthur.

«Buona sera, dottor Physicker. Entrate, ragazzi. È l’ora della lezione.»

Arthur Stuart vinse la gara di ortografia della contea, con la parola «celebrativo». Poi la signorina Larner lo ritirò immediatamente da qualsiasi ulteriore competizione; ai campionati nazionali il suo posto venne preso dal secondo classificato. Di conseguenza la notizia non ebbe particolare risonanza, se non tra gli abitanti del luogo. L’unico risultato fu un trafiletto sul quotidiano cittadino.

Lo sceriffo Pauley Wiseman piegò quel foglio di giornale insieme a un breve appunto di suo pugno infilando il tutto in una busta indirizzata al reverendo Philadelphia Thrower, Crociata per i Diritti di Proprietà, 44 Harrison Street, Carthage City, Wobbish. Dovevano trascorrere due settimane prima che quello stesso foglio di giornale venisse aperto sulla scrivania di Thrower assieme a un biglietto che diceva semplicemente:

Il ragazzo è comparso da queste parti nell’estate del 1811. A occhio e croce non aveva più di qualche settimana. Vive a Hatrack nella locanda di Horace Guester. Se è uno schiavo fuggiasco, mi sa che l’adozione non vale un fico secco.

Niente firma… ma Thrower c’era abituato, anche se non ne capiva il motivo. Perché la gente cercava di nascondere la propria identità quando contribuiva al trionfo della fede? Thrower scrisse a sua volta una lettera e la spedì a un certo indirizzo del Sud.

Un mese dopo, Cavil Planter leggeva la lettera di Thrower a due Cacciatori. Poi porse loro i contrassegni che conservava da tanti anni, due piccole scatole contenenti capelli e unghie di Agar e del piccolo Ismaele.

«Saremo di ritorno prima dell’estate» commentò il Cacciatore dai capelli neri. «Se è vostro, ve lo riporteremo.»

«Allora vi sarete guadagnati non solo il vostro compenso ma anche un lauto premio» disse Cavil Planter.

«Non abbiamo bisogno di premi» lo corresse il Cacciatore dai capelli bianchi. «Onorario e spese saranno già abbastanza.»

«Bene, sia come volete» disse Cavil. «Sono certo che il Signore guiderà i vostri passi.»

XVIII

LE MANETTE

Si era all’inizio della primavera, un paio di mesi prima che Alvin compisse diciannove anni, quando Makepeace Smith andò da lui e gli disse: «Alvin, sarà bene che tu cominci a pensare al tuo saggio finale, che ne pensi?»

Alle orecchie di Alvin quelle parole suonarono melodiose quasi come il canto di un pettirosso, cosicché non riuscì nemmeno a parlare e si limitò ad annuire.

«Bene, che cosa pensi di fare?» chiese il suo padrone.

«Stavo pensando a un vomere» rispose Alvin.

«Ci vuole un sacco di ferro e uno stampo perfetto. Non è un lavoro facile. Mi stai chiedendo di rischiare un bel po’ di materiale, ragazzo.»

«Se non ci riesco, potete sempre rifonderlo.»

Poiché entrambi sapevano che Alvin aveva più o meno le stesse probabilità di fallire che d’imparare a volare, quelle erano in buona parte parole vuote: gli ultimi brandelli dell’antica finzione di Makepeace riguardo alla presunta incapacità di Alvin.

«Direi di sì» disse Makepeace. «Tu cerca solo di fare del tuo meglio, ragazzo. Duro ma non troppo fragile. Abbastanza pesante da mordere in profondità, ma abbastanza leggero da poter essere trainato. Abbastanza affilato da tagliare la terra, e abbastanza forte da farsi strada tra i sassi.»

«Sissignore.» Alvin conosceva a memoria le regole degli attrezzi da quando aveva dodici anni.

C’erano anche altre regole che Alvin intendeva rispettare. Doveva dimostrare a se stesso di essere un bravo fabbro, e non semplicemente un Creatore in erba, il che significava che non avrebbe fatto ricorso ai suoi poteri, bensì semplicemente alle qualità che ogni fabbro deve possedere: un buon occhio, la conoscenza del metallo nero, il vigore delle braccia e la destrezza delle mani.

Lavorare al pezzo che l’avrebbe innalzato alla condizione di libero artigiano significava che per tutto quel tempo non gli sarebbe stato assegnato nessun altro compito. Stavolta partì da zero, come si conviene a un bravo fabbro ambulante. Per lo stampo non si accontentò della solita argilla, ma risalì il corso dell’Hatrack in cerca di argilla bianca della migliore qualità, in modo che la superficie dello stampo fosse liscia e uniforme e conservasse la forma alla perfezione. Modellare lo stampo significava vedere le cose alla rovescia, ma Alvin aveva una particolare sensibilità per le forme. Picchiettò e carezzò l’argilla per adattarla all’armatura di legno, sempre considerando come i diversi pezzi dello stampo avrebbero dato al ferro la forma voluta. Poi mise a cuocere lo stampo finché non fu duro e asciutto, pronto ad accogliere il ferro.