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«Hai tutto il tempo che ti serve.»

«No, signora. Mi spiace…»

«Prendi il pane, allora, testone che non sei altro. Vorresti lavorare tutto il giorno a pancia vuota? Dopo aver dormito solo qualche ora? Figuriamoci, non è ancora mezzogiorno.»

Così Alvin scese alla fucina sbocconcellando il pane di mais. Sulla strada c’erano di nuovo la carrozza del dottor Physicker e i cavalli dei Cacciatori. Per un istante Alvin immaginò che fossero venuti perché Arthur Stuart in qualche modo era riuscito a scappare e i Cacciatori avevano perso le sue tracce, e…

No. Arthur Stuart era con loro.

«Buon giorno, Alvin» disse Makepeace. Si rivolse agli altri. «Ce ne devono essere pochi di padroni come me, che lasciano dormire il loro apprendista fin quasi a mezzogiorno.»

Alvin non fece quasi caso al fatto che Makepeace l’avesse in qualche modo rimproverato, dandogli per giunta dell’apprendista quando il pezzo che faceva di lui un libero artigiano se ne stava lì, finito, sul banco da lavoro. Per prima cosa si accovacciò davanti ad Arthur Stuart guardandolo negli occhi.

«Sta’ indietro» disse il Cacciatore dai capelli bianchi.

Alvin quasi non si accorse di lui. In realtà non stava guardando Arthur Stuart, almeno non con gli occhi. Stava esplorando il suo corpo cercando segni di percosse. Niente. Per adesso, almeno. Solo paura.

«Non ci avete ancora risposto» disse Pauley Wiseman. «Volete farle o no?»

Makepeace tossì. «Signori, una volta ho fabbricato un paio di manette, laggiù nella Nuova Inghilterra. Erano destinate a un uomo condannato per alto tradimento che doveva essere rimandato in Inghilterra in catene. Spero di non ridurmi mai a fabbricare un paio di manette per un bambino di sette anni che non ha mai fatto male a una mosca, un bambino che giocava nella mia fucina e…»

«Makepeace» lo interruppe Pauley Wiseman. «Sono stato io a dirgli che, se voi aveste fabbricato un paio di manette, non avrebbero avuto bisogno di usare questo.»

Wiseman sollevò il pesante collare di legno e ferro che fino a quel momento aveva tenuto penzoloni contro la gamba.

«È la legge» precisò il Cacciatore dai capelli bianchi. «Gli schiavi fuggiaschi li riportiamo a casa con quel collare, per mostrare agli altri ciò che li attende. Siccome è solo un bambino e a scappare non è stato lui, bensì sua madre, abbiamo acconsentito a usare le manette. Ma per noi non fa nessuna differenza. Manette o collare, ci pagano ugualmente.»

«Voi e il vostro maledetto Trattato sugli Schiavi Fuggiaschi!» esclamò Makepeace. «Usate quella legge per fare anche di noi degli schiavisti.»

«Le faccio io» intervenne Alvin.

Makepeace lo guardò inorridito. «Tu!»

«Sono meglio del collare» spiegò. Quello che non disse fu che non aveva nessuna intenzione di lasciare che Arthur Stuart portasse quelle manette per più di una notte. Guardò il ragazzino. «Vedrai che le mie manette non ti faranno male, Arthur Stuart.»

«Bravo» approvò Pauley Wiseman.

«Fa piacere vedere che da queste parti c’è qualcuno con un po’ di sale in zucca» disse il Cacciatore dai capelli bianchi.

Alvin lo guardò, cercando di dominare il proprio odio. Non ci riuscì sino in fondo. Il suo sputo andò a schiacciarsi nella polvere ai piedi del Cacciatore.

Il Cacciatore dai capelli neri aveva tutta l’aria di volergli saltare addosso, e ad Alvin non sarebbe affatto dispiaciuto venire alle mani e magari strofinargli la faccia nella polvere per un paio di minuti. Ma Pauley Wiseman balzò in mezzo a loro ed ebbe sufficiente buon senso da rivolgersi al Cacciatore dai capelli neri e non ad Alvin. «Dovete essere pazzo furioso a volervi battere con un fabbro. Guardate che braccia.»

«Non so se con me ce la farebbe» si vantò il Cacciatore.

«Voialtri dovete capirci» disse il Cacciatore dai capelli bianchi. «È il nostro dono. Non possiamo fare a meno di essere Cacciatori più di quanto…»

«Ci sono doni» intervenne Makepeace «con i quali sarebbe meglio morire in fasce, prima di crescere abbastanza da poterli usare.» Si rivolse ad Alvin. «Non ti permetto di usare la mia fucina per loro.»

«Non fate storie, Makepeace» lo ammonì Pauley Wiseman.

«Vi prego» disse il dottor Physicker. «Per il ragazzo è peggio.»

Suo malgrado, Makepeace fu costretto a cedere.

«Dammi le mani, Arthur Stuart» fece Alvin.

Alvin misurò i polsi di Arthur con un pezzo di spago. In verità non ne avrebbe avuto bisogno perché conosceva le sue misure per dritto e per rovescio, e avrebbe modellato il ferro in modo che quelle manette gli si adattassero ai polsi perfettamente, con i bordi bene arrotondati e non più pesanti dello stretto necessario. Arthur non avrebbe sofferto. Non in senso fisico, almeno.

In piedi nella fucina, tutti osservarono Alvin che si metteva al lavoro. Anche in seguito, nessuno di loro avrebbe mai visto qualcuno lavorare in maniera più perfetta e armoniosa. Stavolta il giovane fece ricorso ai suoi poteri, ma in modo che nessuno se ne accorgesse. Batté e piegò il ferro, tagliandolo con la massima precisione. Le due metà di ciascuna manetta avevano esattamente la forma del polso, in modo da non muoversi e non pizzicare la pelle. Nel frattempo Alvin pensava a tutte le volte che Arthur aveva azionato il mantice per lui, o semplicemente era stato lì a chiacchierare mentre lui lavorava. Non sarebbe successo mai più. Anche dopo averlo salvato, quella notte stessa, avrebbero dovuto portarlo in Canada o nasconderlo da qualche parte… Ma si può sfuggire a un Cacciatore?

«Ottimo lavoro» disse il Cacciatore dai capelli bianchi. «Non ho mai visto un fabbro lavorare così bene.»

Da un angolo buio della fucina Makepeace commentò: «Dovresti essere orgoglioso di te stesso, Alvin. Quelle manette potrebbero addirittura essere il tuo saggio finale, eh?»

Alvin si voltò nella sua direzione. «Il mio saggio finale è il vomere che si trova sul banco da lavoro, Makepeace.»

Era la prima volta che Alvin si rivolgeva al suo padrone col nome di battesimo: non avrebbe potuto trovare una maniera più eloquente per fargli capire che i tempi in cui Makepeace poteva trattarlo da apprendista erano ormai finiti.

Makepeace fece finta di nulla. «Sta’ attento a come parli, ragazzo! Il tuo pezzo finale è quello che dico io, e…»

«Su, figliolo, mettiamoci queste manette.» Il Cacciatore dai capelli bianchi non sembrava particolarmente interessato ai discorsi di Makepeace.

«Ancora no» disse Alvin.

«Sono pronte» fece il Cacciatore.

«Sono troppo calde» spiegò Alvin.

«Be’, buttale in quel secchio e falle raffreddare.»

«Se lo facessi, si deformerebbero leggermente e poi taglierebbero le braccia del ragazzo facendole sanguinare.»

Il Cacciatore dai capelli neri alzò gli occhi al cielo. Che gliene importava a quello se il mulattino sanguinava un po’?

Ma il Cacciatore dai capelli bianchi sapeva che, se non avessero aspettato, si sarebbero trovati tutti contro. «Non c’è fretta» disse. «Non ci vorrà molto.»

Si misero seduti e attesero, all’inizio senza dire una parola. Poi Pauley cominciò a chiacchierare del più e del meno, lo stesso fecero i Cacciatori, e persino il dottor Physicker si unì ai loro discorsi, facendo viaggiare la lingua a tutto spiano come se i due Cacciatori fossero due vecchie conoscenze. Forse pensavano che in quel modo i Cacciatori si sarebbero rabboniti e, una volta di là dal fiume, non avrebbero maltrattato il ragazzo. Alvin si costrinse a pensare che le cose stavano proprio così, in modo da non odiarli troppo.

E poi nella sua mente stava prendendo forma un’idea. Portare via Arthur Stuart ai Cacciatori quella notte stessa non sarebbe bastato… E se si fosse riusciti a fare in modo che i Cacciatori non lo ritrovassero più?