«Che c’è in quel contrassegno che usate voi Cacciatori?» chiese.
«Ti piacerebbe saperlo, eh?» fece il Cacciatore dai capelli neri.
«Non è un segreto» intervenne il Cacciatore dai capelli bianchi. «Chiunque possieda achiavi prepara una scatoletta come questa per ognuno di essi, non appena gli nasce o lo acquista. Frammenti di pelle, capelli, una goccia di sangue, cose del genere. Purché siano parte della sua stessa carne.»
«E voi riconoscete l’odore?»
«No, non è un odore. Noi non siamo segugi, signor Smith.»
Alvin capì che chiamarlo Smith era un atto di pura adulazione. Perciò sorrise appena, fingendo che gli facesse piacere.
«E allora a che vi serve?»
«Be’, è il nostro dono» disse il Cacciatore dai capelli bianchi. «Chi lo sa come funziona? Ci basta guardarlo e… è come se vedessimo la sagoma della persona che dobbiamo cercare.»
«No, non è proprio così» disse il Cacciatore dai capelli neri.
«Be’, per me è così.»
«Io invece so immediatamente dove si trova. Come se potessi vedere la sua anima. Se sono abbastanza vicino, naturalmente. L’anima dello schiavo che sto cercando diventa luminosa come il fuoco.» Il Cacciatore dai capelli neri sorrise. «Riesco a vederla da molto lontano.»
«Non potreste mostrarmi come fate?»
«Non c’è niente da mostrare» sbottò il Cacciatore dai capelli bianchi.
«Te lo farò vedere io, ragazzo» disse il Cacciatore dai capelli neri. «Adesso ti volto le spalle, e tu porta il bambino in giro per la fucina. Io te lo indicherò col dito sopra la spalla, e vedrai che non sbaglierò.»
«Piantala» disse il Cacciatore dai capelli bianchi.
«Tanto non abbiamo niente da fare, finché il ferro non si raffredda. Dammi il contrassegno.»
Il Cacciatore dai capelli neri fece esattamente ciò che si era vantato di saper fare: ogni volta indicò esattamente il punto in cui si trovava Arthur Stuart. Ma Alvin non vi fece particolarmente caso. Era occupatissimo a osservare il Cacciatore dall’interno, cercando di capire che cosa faceva, che cosa vedeva, e che rapporto c’era fra tutto quello e la scatoletta. Non riusciva davvero a capire come qualche frammento preso sette anni prima dal corpo di Arthur Stuart neonato potesse aiutarli a capire dove si trovava adesso.
Poi gli tornò in mente che proprio all’inizio il Cacciatore non l’aveva indicato affatto. Il dito era rimasto per qualche momento come sospeso in aria, e solo dopo quella pausa l’uomo aveva preso a indicare l’esatta posizione di Arthur Stuart. Come se avesse cercato di capire chi tra le persone che si trovavano alle sue spalle fosse precisamente Arthur Stuart. La scatoletta non serviva a cercare, bensì a riconoscere. Il dono dei Cacciatori permetteva loro di percepire la presenza di qualsiasi persona, ma senza scatoletta non sarebbero stati in grado di distinguere un individuo dall’altro.
Dunque ciò che essi vedevano non era la mente o l’anima di Arthur. Individuavano semplicemente un corpo, in nulla diverso da qualsiasi altro corpo finché non erano in grado di distinguerlo. Ma Alvin sapeva benissimo che cos’era a permetter loro di distinguerlo… non aveva forse guarito un numero sufficiente d’individui da sapere che le persone si somigliavano un po’ tutte, tranne per un piccolissimo frammento al centro di ogni pezzetto del loro organismo vivente? Quei minuscoli frammenti erano tutti uguali in ogni singola persona, ma diversi da una persona all’altra. Quasi che Dio avesse trovato quel modo per dare un nome a ciascuno già nelle sue stesse carni. Oppure era il marchio della Bestia, come si leggeva nel libro della Rivelazione. Ma non aveva importanza. Alvin sapeva che l’unica cosa contenuta in quella scatoletta che potesse collegarla al corpo di Arthur Stuart era la sigla che continuava a vivere in ogni — parte del suo corpo, perfino in quelle parti ormai morte e risecchite che si trovavano là dentro.
Posso cambiare quei frammenti, pensò Alvin. Sì, posso cambiarli trasformandoli in ogni parte del suo corpo. Come trasformare il ferro in oro. Come trasformare l’acqua in vino. E allora il contrassegno non funzionerebbe più. Non servirebbe più a nulla. Potrebbero cercare Arthur Stuart con tutto l’accanimento di cui sono capaci, ma, a parte vederlo in viso e riconoscerlo nel modo abituale, non avrebbero alcuna possibilità di trovarlo.
Soprattutto non ne capirebbero mai il perché. Il contrassegno nelle loro mani sarebbe esattamente lo stesso di prima, perché nessuno l’avrebbe toccato. Ma potrebbero cercare per mare e per terra, e non troverebbero mai un corpo che possa corrispondere ai frammenti conservati nella scatoletta, senza alcun indizio che possa metterli sulla strada giusta.
Lo farò, pensò Alvin. Troverò il modo di trasformarlo. Anche se nel suo corpo ci saranno sicuramente milioni di sigle, troverò il modo di cambiarle tutte una per una. Stanotte lo farò, e domani Arthur Stuart sarà al sicuro per sempre.
Il ferro si era raffreddato. Alvin s’inginocchiò davanti ad Arthur Stuart e gli applicò le manette: si adattavano tanto bene che parevano gettate in uno stampo preso direttamente sul polso di Arthur. Quando furono chiuse, unite da un tratto di catena a maglie sottili, Alvin guardò Arthur diritto negli occhi. «Non avere paura» disse.
Arthur Stuart non rispose.
«Non mi dimenticherò di te» mormorò Alvin.
«Certo» disse il Cacciatore dai capelli neri. «Ma nel caso che ti venga in mente di ricordarti di lui mentre è ancora in viaggio verso la casa del suo legittimo proprietario, è meglio che tu sappia fin d’ora che noi due dormiamo sempre a turno; inoltre, parte del nostro dono di Cacciatori consiste nel sapere sempre se si sta avvicinando qualcuno. Nessuno può avvicinarsi a noi di nascosto. Meno che mai tu, giovane fabbro. Ti vedrei a dieci miglia di distanza.»
Alvin si limitò a guardarlo. Alla fine il Cacciatore ghignò beffardamente e si allontanò. Arthur Stuart salì a cavallo davanti al Cacciatore dai capelli bianchi. Alvin tuttavia era certo che, non appena fossero giunti sull’altra sponda dell’Hio, l’avrebbero fatto scendere. Non tanto per cattiveria, forse… Ma per due Cacciatori non sarebbe stato il caso di mostrarsi gentili con uno schiavo fuggiasco. E poi bisognava dare un esempio agli altri schiavi, no? Facciamogli vedere un bambino di sette anni che segue a piedi due uomini a cavallo, con la testa china e i piedi sanguinanti, e ci penseranno due volte prima di tentare la fuga insieme ai loro figli. Capiranno che i Cacciatori non conoscono pietà.
Pauley Wiseman e il dottor Physicker se ne andarono insieme a loro. Avrebbero accompagnato i Cacciatori sino al fiume Hio e li avrebbero guardati attraversare il corso d’acqua, per accertarsi che non maltrattassero Arthur Stuart finché si trovava in territorio libero. Più di così non potevano fare.
Makepeace non aveva molto da dire, ma quel poco lo disse chiaramente. «Un vero uomo non avrebbe mai messo un paio di manette ai polsi di un amico» sibilò. «Adesso vado a casa e ti firmo la patente di libero artigiano. Non voglio vederti nella fucina o in casa una sola notte di più.» E se ne andò, lasciando Alvin solo davanti alla fucina.
Makepeace non se n’era andato da più di cinque minuti quando arrivò Horace Guester.
«Andiamo» lo incitò.
«No» rispose Alvin. «Non ancora. Possono vederci arrivare. Se capiscono di essere seguiti lo diranno allo sceriffo.»
«Non abbiamo scelta. Altrimenti li perderemo.»
«Horace, voi sapete qualcosa a proposito di quel che io sono e di ciò che posso fare» disse Alvin. «Anche in questo momento so dove si trovano. Non si allontaneranno più di un miglio dalla riva dell’Hio prima di cadere addormentati.»
«Puoi fare questo?»
«So che cosa succede dentro alle persone quando si addormentano. E posso farlo succedere dentro quei due non appena mettono piede nel territorio degli Appalachi.»