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«Già che ci sei, perché non li ammazzi?»

«Non posso.»

«Quelli non sono esseri umani! Ucciderli non sarebbe peccato!»

«Sono esseri umani» gli fece notare Alvin. «E poi, se li ammazzassi, questo costituirebbe una violazione del Trattato sugli Schiavi Fuggiaschi.»

«Ti metti a fare l’avvocato, adesso?»

«Me l’ha spiegato la signorina Larner. Voglio dire che l’ha spiegato ad Arthur Stuart mentre c’ero anch’io. Arthur voleva sapere che cos’era. È successo l’autunno scorso. Lui le ha chiesto: «Se vengono a cercarmi i Cacciatori, come mai il mio papà non li può ammazzare?» E la signorina Larner gli ha spiegato che in questo modo sarebbero arrivati altri Cacciatori, solo che stavolta, prima di portarsi via Arthur Stuart, avrebbero impiccato voi.»

Il viso di Horace si fece di fiamma. Alvin sul momento non ne capì il motivo, finché Horace non glielo spiegò. «Non avrebbe dovuto chiamarmi ‘papà’. Non sono stato io a volerlo in casa mia.» Deglutì. «Ma aveva ragione. Se fossi convinto che possa servire a qualcosa, ammazzerei quei Cacciatori senza pensarci due volte.»

«Non parliamo più di ammazzare» disse Alvin. «Credo di poter sistemare le cose in modo che non lo ritrovino mai più.»

«Lo so. Lo porteremo in Canada. A cavallo fino al lago, e poi in barca.»

«Nossignore» lo fermò Alvin. «Penso di poter sistemare le cose in modo che non possano più trovarlo da nessuna parte. Dobbiamo soltanto nasconderlo finché non se ne saranno andati.»

«Dove?»

«Nel vecchio deposito, se la signorina Larner ce lo permette.»

«E perché proprio lì?»

«L’ho riempito di talismani protettivi dal tetto alle fondamenta. All’epoca credevo di farlo per la maestra. Ma adesso comincio a pensare che in realtà lo facevo per Arthur Stuart.»

Horace sorrise. «Sei proprio un fenomeno, lo sai?»

«Forse. Vorrei solo sapere dove mi porterà tutto questo.»

«Vado a chiedere alla signorina Larner se ci lascia usare la sua casa.»

«Se conosco la signorina Larner, vi dirà di sì prima che abbiate finito di chiederglielo.»

«Da dove cominciamo, allora?»

Udendo un uomo adulto chiedere a lui da dove cominciare, Alvin fu colto di sorpresa. «Non appena fa buio, direi. Non appena i Cacciatori si saranno addormentati.»

«Davvero puoi fare una cosa del genere?»

«Sì, se continuo a tenerli d’occhio. Insomma, non è proprio come tenerli d’occhio. Se mi mantengo in contatto con loro in modo da sapere dove si trovano. In modo da non far addormentare le persone sbagliate.»

«E li stai seguendo anche in questo momento?»

«So dove sono.»

«Continua a seguirli, allora.» Horace sembrava un po’ spaventato, quasi come quella volta, sette anni prima, quando Alvin gli aveva parlato della ragazza sepolta nella tomba senza nome. Spaventato perché sapeva che Alvin avrebbe potuto fare qualcosa di strano, qualcosa che andava oltre qualsiasi dono o talismano di cui Horace avesse mai fatto esperienza.

Non mi conosci, Horace? pensò il giovane. Non sai che sono sempre Alvin, il ragazzo per cui provavi simpatia, del quale ti fidavi, che tante volte hai aiutato? Se adesso scopri che sono più forte di quanto tu immaginassi, che posso agire in modi ai quali non avevi mai pensato, ciò non significa che per te io sia diventato più pericoloso di prima. Non c’è motivo di aver timore.

Come se Horace avesse potuto udire i suoi pensieri, la paura gradualmente scomparve dal suo viso. «Volevo solo dire… La vecchia Peg e io contiamo su di te. E ringraziamo Iddio che tu sia arrivato in questo posto, proprio nel momento in cui avevamo tanto bisogno di te. Il Signore ci protegge.» Horace sorrise, quindi si voltò e uscì dalla fucina.

Le parole di Horace infusero in Alvin una nuova forza. Adesso si sentiva tranquillo e sicuro di sé. Ma quello era proprio il dono di Horace, no? Presentare agli altri l’idea di se stessi che più li poteva rassicurare.

Alvin rivolse immediatamente i suoi pensieri ai Cacciatori, inviando nella loro direzione la sua pulce perché restasse insieme a loro e seguisse i due corpi mentre avanzavano come piccoli nembi neri attraverso il canto verde della foresta, con il piccolo canto di Arthur Stuart chiaro e luminoso in mezzo a loro. Bianco e Nero non hanno niente a che vedere con la luce o l’ombra racchiuse nel cuore di ciascuno, pensò Alvin. Le sue mani erano impegnate nel lavoro della forgia, ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a prestarvi la necessaria attenzione. Non aveva mai seguito nessuno da così lontano… tranne quella volta che era stato salvato da poteri per lui incomprensibili, all’interno della Collina Ottagonale.

Ma il peggio sarebbe stato se li avesse perduti, se i Cacciatori fossero riusciti ad andarsene con Arthur Stuart perché Alvin non era stato abbastanza attento e aveva perso il ragazzo in mezzo alle anime derelitte di schiavi degli Appalachi e delle regioni più a meridione, in quel profondo Sud in cui tutti i Bianchi erano al servizio dell’altro Arthur Stuart, re d’Inghilterra, e di conseguenza i Neri erano schiavi di schiavi. Non posso perdere Arthur in un posto così orribile. Bisogna che gli resti vicino, come se fossimo uniti da un filo.

Più o meno nello stesso istante in cui pensava queste cose, quasi nello stesso momento in cui aveva immaginato un sottilissimo filo invisibile che lo collegava al piccolo mulatto, ebbene, quel filo comparve davanti a lui. Nell’aria c’era un filo, sottile come quello che si era immaginato la volta che cercava di capire gli atomi. Un filo che si estendeva in un’unica dimensione… la direzione che conduceva ad Arthur Stuart, unendo il suo cuore a quello di Alvin. Resta con lui, disse Alvin rivolgendosi al filo come se fosse dotato di vita propria. E in risposta il filo sembrò diventare più spesso e luminoso, e Alvin fu certo che chiunque l’avrebbe potuto vedere.

Però, quando Alvin lo guardò con gli occhi, il filo scomparve, riapparendo soltanto quando lo guardò senza ricorrere agli occhi. Alvin era assolutamente sbalordito all’idea che una cosa del genere potesse davvero esistere, una cosa creata non dal nulla, ma senza un disegno preordinato, tranne quello che si era formato un istante prima nella sua mente. Questa è una Creazione, pensò. La mia prima, sottile, invisibile Creazione… Tuttavia è reale, e stanotte mi condurrà da Arthur Stuart in modo che io lo possa liberare.

Dalla sua casetta, Peggy teneva d’occhio sia Alvin sia Arthur Stuart, facendo la spola dall’uno all’altro, cercando di scoprire qualche sentiero che conducesse Arthur alla libertà senza costare ad Alvin la morte o la prigionia. Per quanta cura profondesse in quell’indagine, non riusciva a trovare nessun sentiero del genere. I Cacciatori erano troppo forti con il loro terribile dono; in alcuni di quei sentieri, Alvin e Horace riuscivano a portar via Arthur, ma questi veniva immancabilmente ritrovato e catturato, al prezzo del sangue o della libertà di Alvin.

Perciò Peggy aveva quasi abbandonato ogni speranza quando Alvin creò quel suo filo pressoché inesistente. Solo allora, per la prima volta, Peggy scorse nella fiamma vitale di Arthur Stuart il lontanissimo bagliore di una possibile libertà. Esso era alimentato non dalla convinzione che il filo avrebbe condotto Alvin al ragazzo; su molti dei sentieri esplorati da Peggy prima che Alvin creasse il filo, lei lo aveva visto raggiungere i Cacciatori e farli piombare in un sonno profondo. No, la differenza stava proprio nel fatto che Alvin fosse riuscito a creare quel filo. Fino a quel momento le possibilità che ci riuscisse erano state così esigue che nessun sentiero l’aveva mostrato. O forse — era la prima volta che lei ci pensava — l’atto stesso del Creare costituiva una tale violazione dell’ordine naturale che il dono di Peggy non bastava a vedere i sentieri che dipendevano da un simile atto, almeno non prima che venisse compiuto.