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Eppure al momento della nascita di Alvin, Peggy non aveva forse visto il suo glorioso futuro? Non gli aveva visto edificare una città fatta di vetro o di ghiaccio purissimo? Non aveva visto la sua città formicolare di persone che parlavano nelle lingue degli angeli e vedevano con gli occhi di Dio? Che Alvin diventasse un Creatore, questo era sempre stato probabile, ammesso naturalmente che riuscisse a sopravvivere. Ma ogni singolo atto di Creazione era talmente innaturale, talmente improbabile, che nemmeno una fiaccola straordinaria come Peggy era in grado di scorgerlo in anticipo.

Peggy vide Alvin far sprofondare nel sonno i due Cacciatori non appena fu scesa l’oscurità ed essi ebbero trovato un luogo adatto ad accamparsi sull’altra riva dell’Hio. Vide Alvin e Horace incontrarsi nella fucina prima di mettersi in cammino verso l’Hio passando per i boschi, per non correre il rischio d’incontrare lo sceriffo e il dottor Physicker di ritorno dalla Foce. Ma Peggy prestò loro scarsa attenzione. Ora che poteva sperare di nuovo, rivolse tutta la sua attenzione al futuro di Arthur, studiando come e quando quei nuovi angusti sentieri di libertà gettassero le loro radici nell’azione che Alvin e Horace stavano per intraprendere. Però non riuscì a trovare alcun momento preciso di scelta e cambiamento. Ai suoi occhi ciò dimostrava che tutto dipendeva dal fatto che Alvin diventasse un Creatore, sino in fondo, quella notte stessa.

«Oh Signore» mormorò «se sei stato Tu a far sì che quel ragazzo nascesse con un simile dono, Ti prego d’insegnargli a creare, adesso, stanotte.»

In piedi uno accanto all’altro sulla riva del fiume, nascosti dalle ombre, Alvin e Horace attesero il passaggio di un battello fluviale sfarzosamente illuminato. Sul battello suonava un’orchestrina, e sul ponte i passeggeri erano impegnati in una complicata quadriglia. Alvin si sentì invadere dalla rabbia nel vederli giocare come bambini mentre intanto un bambino vero veniva tradotto in schiavitù. Eppure sapeva che quelle persone non erano mosse da cattive intenzioni, e che non era giusto prendersela con chi si divertiva mentre qualcun altro stava soffrendo a sua insaputa. Altrimenti al mondo nessuno avrebbe potuto essere felice, pensò Alvin. Visto che la vita è quella che è, non esiste momento della giornata in cui non ci sia una moltitudine di persone costrette a soffrire per qualche motivo.

Il battello non era ancora scomparso dietro la curva del fiume che essi udirono nel bosco alle loro spalle un rumore assordante di rami spezzati. O meglio, Alvin udì quel rumore, e a lui parve assordante a causa del suo senso del giusto ordine delle cose nel canto verde della foresta. Horace lo sentì soltanto dopo qualche minuto. Chiunque si avvicinasse a loro, si muoveva ben silenziosamente per essere un Bianco.

«In questo momento sento proprio la mancanza di un fucile» sussurrò Horace.

Alvin scosse la testa. «Aspettiamo a dirlo» disse a voce tanto bassa che le labbra a malapena si mossero.

Attesero. Qualche istante dopo, videro un uomo uscire dal bosco e scendere cautamente il pendio viscido di fango sino alla sponda, a poche braccia dalla quale beccheggiava una barca a remi. Vedendo che non c’era nessuno si guardò intorno, quindi sospirò e, dopo essere salito in barca, andò a sedersi a poppa, con il mento tetramente posato sulle mani.

A un tratto Horace cominciò a ridacchiare. «Che il demonio possa giocare ai birilli con le mie ossa se quello non è il vecchio Po Doggly!»

Nello stesso istante, l’uomo sulla barca fece un movimento, e Alvin riuscì finalmente a scorgergli il viso illuminato dalla luna. Era proprio il cocchiere del dottor Physicker. Ma a Horace questo non parve dare il minimo fastidio, tant’è vero che si lanciò giù per la sponda scivolosa, entrò in acqua tra gli schizzi, e abbracciò Po Doggly con tanta violenza che la barca s’inclinò pericolosamente. Allora, senza dire una parola, i due si mossero in modo da equilibrare perfettamente il carico, e poi, sempre in silenzio, Po infilò i remi negli scalmi mentre Horace prendeva da sotto il sedile una tazza di stagno e cominciava a immergerla ritmicamente nell’acqua che aveva invaso il fondo della barca e a vuotarla fuori bordo.

Per un istante Alvin si meravigliò nel vederli muoversi con tale perfetta coordinazione. Tuttavia, senza bisogno di far domande, capì immediatamente che non era la prima volta che quei due si trovavano in una situazione del genere. Ciascuno dei due sapeva esattamente cos’avrebbe fatto l’altro, per cui non aveva nemmeno bisogno di pensare. Ciascuno faceva la sua parte, e nessuno dei due aveva bisogno di controllarne l’esecuzione.

Come gl’infiniti frammenti di cui era composto il mondo; come la danza degli atomi che Alvin aveva visto con l’immaginazione. Prima di allora non ci aveva mai pensato, ma adesso si rese conto che anche le persone potevano essere come gli atomi. Il più delle volte la gente si muoveva in modo disorganizzato, ciascuno senza sapere chi fosse l’altro e che cosa facesse; nessuno stava fermo abbastanza a lungo da poter dare od ottenere fiducia, proprio come gli atomi prima che Dio insegnasse loro chi fossero e che cosa dovessero fare. Ma adesso Alvin vedeva davanti a sé due uomini che in apparenza neanche si conoscevano se non nella maniera superficiale in cui in una cittadina come Hatrack ciascuno conosce chiunque altro. Po Doggly, un ex contadino ridotto a far da cocchiere al dottor Physicker, e Horace Guester, il primo a stabilirsi in quei luoghi, padrone di una prospera locanda. Chi avrebbe mai pensato che potessero muoversi così all’unisono? Ma questo accadeva perché ciascuno dei due sapeva chi era l’altro, lo sapeva nella maniera più pura e profonda, lo sapeva con la stessa certezza con cui l’atomo sapeva il nome che Dio gli aveva dato; ciascuno al suo posto, a svolgere il proprio compito.

Tutti questi pensieri si accavallarono nella mente di Alvin in maniera così tumultuosa che lui a malapena si accorse di pensarli; eppure, negli anni a venire, si sarebbe ricordato bene che quello era stato il primo momento in cui aveva veramente capito: quei due uomini, insieme, creavano qualcosa di altrettanto solido e reale del terreno sotto i piedi di Alvin, dell’albero cui egli era appoggiato. La maggioranza delle persone non se ne sarebbe neanche accorta: non avrebbe visto altro che due uomini casualmente seduti nella stessa barca. D’altra parte, forse anche per gli atomi era la stessa cosa: agli occhi degli altri i due atomi che costituivano un pezzo di ferro magari sembravano solo due atomi che casualmente si trovavano uno accanto all’altro. Forse bisognava vedere tutto da molto lontano, come Dio, o comunque essere molto più grandi in modo da poter osservare che cosa fanno due atomi quando sono uniti in una certa maniera. Ma il semplice fatto che un altro atomo sia incapace di vedere quel rapporto non significa che esso non sia reale, o che il ferro non sia forte com’è nella sua natura.

E se posso insegnare agli atomi a creare dal nulla un lunghissimo filo, o magari a trasformare il ferro in oro, o addirittura — poniamo — a cambiare la sigla invisibile e segreta che contraddistingue ogni minuscolo frammento del corpo di Arthur in modo che i Cacciatori non possano più riconoscerlo… ebbene, pensò Alvin, perché un Creatore non potrebbe fare la stessa cosa con le persone, insegnando loro un nuovo ordine, e una volta trovato un numero sufficiente di individui di cui fidarsi, unirli in modo da costruire qualcosa di nuovo, qualcosa di forte, qualcosa di reale come il ferro?

«Allora, Alvin, ti decidi?»

Come dicevo, Alvin a malapena si rese conto di aver pensato tutte queste cose. Ma non se ne dimenticò nemmeno una: no, già mentre si lasciava scivolare sulla sponda fangosa seppe che non avrebbe più dimenticato ciò che aveva appena pensato, anche se per capirlo fino in fondo gli sarebbero stati necessari anni e miglia e lacrime e sangue.