Alvin tese la mano. Po la strinse e sorrise. «Voi fabbri dovete essere forti come orsi.»
«Io?» ridacchiò Alvin. «Se un orso viene a darmi noia, lo picchio sulla testa fino a ridurlo a uno scoiattolo.»
«Mi piacciono anche le tue vanterie, ragazzo.»
Un istante di silenzio, poi Alvin si mise alla testa del piccolo gruppo, seguendo il filo che lo univa ad Arthur Stuart.
Non era molto lontano, ma per attraversare al buio quel tratto di foresta ci volle più di un’ora… Con le chiome fitte degli alberi, il chiarore lunare difficilmente riusciva a penetrare fino al suolo. Senza Alvin e il suo senso della foresta, ci sarebbero volute tre volte quel tempo e dieci volte il rumore.
Trovarono i Cacciatori addormentati al margine di una radura, davanti a un fuoco da campo che si andava lentamente spegnendo. Il Cacciatore dai capelli bianchi era rannicchiato sulla coperta. Quello dai capelli neri doveva essere rimasto di guardia; adesso russava sonoramente appoggiato al tronco di un albero. I cavalli dormivano a poca distanza. Alvin fermò i suoi compagni prima che si avvicinassero al punto da disturbare gli animali.
Arthur Stuart era completamente sveglio, seduto a fissare il fuoco.
Alvin restò immobile per qualche minuto, cercando di riordinare le idee. Non sapeva bene fin dove arrivassero i poteri dei Cacciatori. E se fossero stati capaci di trovare pezzetti di pelle, capelli caduti e via dicendo, nonché di usarli per fabbricare un nuovo contrassegno? Nell’eventualità, trasformare Arthur lì dove si trovava non sarebbe servito a niente; né sarebbe stato il caso di entrare nella radura, giacché lui e gli altri avrebbero potuto lasciare frammenti del proprio corpo tali da costituire prova evidente dell’identità di chi aveva rapito Arthur.
Perciò, dal punto in cui si trovava, Alvin entrò a distanza nel ferro delle manette e spezzò le quattro parti di cui erano composte in modo che caddero a terra tutte insieme con un lieve tintinnio. Quel rumore infastidì i cavalli che nitrirono piano, ma i Cacciatori continuarono a dormire come sassi. Ad Arthur, tuttavia, bastò un istante per rendersi conto di che cosa fosse successo. Saltò in piedi e cominciò a guardarsi intorno in cerca di Alvin.
Alvin fischiò, cercando d’imitare il canto del pettirosso. Come imitazione non era granché, ma Arthur lo udì e capì che Alvin lo stava chiamando. Senza esitare un solo istante, si lanciò tra gli alberi e non più di cinque minuti dopo, guidato da qualche successivo richiamo, si trovò a faccia a faccia con Alvin.
Naturalmente Arthur Stuart fece per gettargli le braccia al collo, ma Alvin alzò una mano. «Non toccare niente e nessuno» sussurrò. «Prima devo cambiarti, Arthur Stuart, in modo che i Cacciatori non possano più trovarti.»
«Va bene» mormorò il ragazzino.
«Non possiamo lasciare che nemmeno un pezzetto di te resti come prima. Nei vestiti hai sicuramente un sacco di capelli, pezzetti di pelle e cose del genere. Perciò devi spogliarti completamente.»
Arthur Stuart non esitò. Nel giro di qualche istante i suoi indumenti formavano un mucchietto ai suoi piedi.
«Scusa se m’intrometto» disse Po. «Io sono ignorante, però, se lasciamo qui i vestiti, i Cacciatori capiranno che Arthur Stuart è passato da questa parte, e una traccia del genere indica il nord altrettanto chiaramente che se avessimo dipinto sul terreno una grande freccia bianca.»
«Penso che tu abbia ragione» annuì Alvin.
«Perciò è meglio che Arthur Stuart se li porti dietro per buttarli nel fiume» suggerì Horace.
«Accertatevi solamente di non toccare Arthur né le sue cose» li ammonì Alvin. «Arthur, tu prendi i vestiti e seguici facendo bene attenzione a dove metti i piedi. Se ti perdi, lancia il richiamo del pettirosso e io ti risponderò nello stesso modo.»
«Lo sapevo che saresti venuto, Alvin» sorrise Arthur Stuart. «E anche tu, papà.»
«Se lo aspettavano sicuramente anche i Cacciatori» disse Horace «e purtroppo non dormiranno in eterno, anche se a me non dispiacerebbe.»
«Aspettate un momento» li fermò Alvin. Inviò nuovamente la sua pulce all’interno delle manette e riunì i pezzi, facendoli aderire uno all’altro e saldandoli insieme. Ora erano per terra, perfettamente chiuse e assolutamente intatte: non avrebbero fornito alcun indizio riguardo al modo in cui il ragazzo poteva essersene liberato.
«Non arrivo a sperare che tu gli stia rompendo le gambe o qualcosa del genere, Alvin» disse Horace.
«Può davvero fare qualcosa del genere da così lontano?» chiese Po.
«Non ne ho la minima intenzione» lo zittì Alvin. «Dobbiamo soltanto fare in modo che i Cacciatori smettano di cercare un ragazzo che, per quanto ne potranno capire, per loro sarà come scomparso nel nulla.»
«Sì, mi sembra un’ottima idea, ma non mi sarebbe nemmeno dispiaciuto vedere quei Cacciatori con le gambe rotte» borbottò Horace.
Alvin sorrise e s’infilò tra gli alberi della foresta, facendo deliberatamente un po’ di rumore e muovendosi con sufficiente lentezza perché gli altri potessero seguirlo nella semioscurità; se avesse voluto, avrebbe potuto muoversi come un Rosso, in assoluto silenzio e senza lasciare traccia del suo passaggio.
Giunti sulla riva del fiume si fermarono. Alvin non voleva che Arthur salisse in barca con la sua pelle attuale, lasciando tracce di sé da tutte le parti. Perciò, se voleva trasformarlo, doveva farlo subito.
«Butta i vestiti in acqua, Arthur» disse Horace. «E più lontano che puoi.»
Il ragazzino mosse un paio di passi nell’acqua. Alvin per un momento si spaventò, perché col suo occhio interiore aveva visto una parte di Arthur, fatta di luce, terra e aria, scomparire improvvisamente nell’acqua tenebrosa. Eppure, durante il viaggio d’andata, l’acqua non aveva recato loro alcun danno, e Alvin si rese conto che stavolta avrebbe potuto perfino essergli utile.
Arthur Stuart lanciò nell’acqua il fagotto dei suoi vestiti. La corrente non era molto forte e i vestiti cominciarono a girare su se stessi allontanandosi pian piano l’uno dall’altro; poi si mossero lentamente verso valle. Ritto nell’acqua che gli arrivava alle natiche, Arthur li guardava. No, in realtà non stava guardando i vestiti: quando essi si allontanarono verso sinistra, Arthur non mosse la testa di un pollice continuando invece a guardare la riva opposta, in direzione della libertà.
«In questo posto ci sono già stato» mormorò. «E anche questa barca l’ho già vista.»
«Può darsi» rifletté Horace. «Anche se eri un po’ troppo piccolo per ricordartene. Po e io abbiamo aiutato la tua mamma a salire su questa stessa barca. E, quando siamo arrivati dall’altra parte, sei sceso a riva tra le braccia di mia figlia Peggy.»
«Mia sorella Peggy» disse Arthur. Si voltò guardando Horace come se in realtà si fosse trattato di una domanda.
«Direi di sì» ammise Horace, e poi tacque.
«Adesso resta dove sei, Arthur Stuart» disse Alvin. «Quando ti trasformo, devo cambiarti tutto, dentro e fuori. Meglio farlo nell’acqua, dove tutta la pelle vecchia con i segni di com’eri prima verrà portata via senza lasciar traccia.»
«Vuoi farmi diventare Bianco?» chiese Arthur Stuart.
«Sapresti fare una cosa del genere?» domandò sbalordito Po Doggly.
«Non ho la minima idea di che cosa potrà cambiare» disse Alvin. «Spero solo di non farti diventare Bianco. Sarebbe come portarti via la parte che ti è stata donata dalla tua mamma.»
«Ma un Bianco non può diventare schiavo» rifletté Arthur Stuart.
«Nemmeno questo piccolo mulatto diventerà mai schiavo» disse Alvin. «Se può dipendere da me, almeno. Adesso resta dove sei, più fermo che puoi, e lasciami capire che cosa fare.»
Così tutti tacquero, mentre Alvin studiava Arthur Stuart dall’interno, cercando la minuscola sigla che contrassegnava ogni frammento del suo organismo vivente.
Alvin sapeva che non avrebbe potuto trasformarla a casaccio, per il semplice motivo che non capiva sino in fondo a che cosa servisse. Sapeva soltanto che in qualche modo essa era parte di ciò che rendeva Arthur Stuart quello che era, e una cosa del genere non si poteva cambiare tanto alla leggera. Se avesse trasformato le parti sbagliate, magari Arthur Stuart sarebbe rimasto accecato sull’istante, o il sangue gli sarebbe diventato acqua piovana. Chi poteva saperlo?