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«In secondo luogo, aspettavo di sentirvi chiudere la porta a chiave, e voi non l’avete fatto.»

«Scusami» disse lei. «Me n’ero dimenticata.»

«Per portare fin qui questo ragazzo abbiamo sudato sangue, signorina Larner. Ora tutto dipende da voi. Finché i Cacciatori non se ne saranno andati.»

«Sì, lo so.» Le rincresceva veramente, e lasciò che la sua voce esprimesse quel dispiacere.

«Buona notte, allora.»

Alvin restò immobile davanti alla porta. Che cosa aspettava?

Ah, sì. Che lei chiudesse la porta.

Peggy la chiuse, poi girò la chiave, e infine tornò accanto ad Arthur Stuart, stringendolo forte tra le braccia finché lui non cominciò a divincolarsi. «Ora sei al sicuro» disse.

«Certo» disse Arthur Stuart. «Per portare fin qui questo ragazzo abbiamo sudato sangue, signorina Larner.»

Ascoltandolo parlare, Peggy ebbe la certezza che c’era qualcosa che non andava. Ma che cosa? Ah, sì, naturalmente. Alvin aveva pronunciato esattamente quelle parole. Ma che cos’era a non quadrare? Arthur Stuart imitava gli altri in continuazione.

Imitava gli altri… Però stavolta Arthur Stuart aveva ripetuto le parole di Alvin con la propria voce, non con quella di Alvin. Non era mai successo prima. Peggy aveva sempre pensato che ciò avvenisse a causa del suo dono; che imitare gli altri gli venisse così spontaneo che egli stesso non se ne rendeva conto.

«Come si scrive ‘cicala’?» gli chiese.

«C-I-C-A-L-A» rispose lui. Con la propria voce, non con quella della signorina Larner.

«Arthur Stuart» mormorò Peggy. «Che cosa c’è che non va?»

«Niente, signorina Larner» disse Arthur. «Sono tornato a casa.»

Non lo sapeva. Non se ne rendeva conto. Poiché non aveva mai capito veramente quanto le sue imitazioni fossero perfette, adesso non si rendeva conto che il suo dono era scomparso. Possedeva ancora la capacità di ricordare al primo ascolto tutto ciò che sentiva dire… Ma le voci erano scomparse; restava solo la sua, quella di un ragazzino di sette anni.

Peggy lo abbracciò di nuovo, per un istante, più brevemente. Adesso capiva. Finché Arthur Stuart fosse rimasto se stesso, i Cacciatori avrebbero potuto catturarlo e portarlo al Sud in catene. L’unico modo per salvarlo consisteva nel non farlo più essere completamente se stesso. Alvin non poteva sapere — ed era naturale — che nel salvare Arthur gli aveva portato via il suo dono, o almeno una parte di esso. La libertà di Arthur era stata pagata al prezzo del suo non essere più completamente se stesso. Alvin l’aveva capito?

«Signorina Larner, sono stanco» mormorò Arthur Stuart.

«Ma certo, hai ragione» disse lei. «Puoi dormire qui, nel mio letto. Togliti quella camicia sporca e infilati sotto le coperte, e starai al sicuro e al calduccio per tutta la notte.»

Il ragazzo esitò. Peggy guardò nella sua fiamma vitale e ne comprese il motivo; sorridendo, si voltò dall’altra parte. Udì un fruscio di stoffa, il cigolio delle molle e un altro fruscio, stavolta quello di un piccolo corpo che scivolava tra le lenzuola. Allora Peggy si voltò, si chinò sulla testolina posata sul cuscino, e lo baciò leggermente sulla guancia.

«Buona notte, Arthur» disse.

«Buona notte» rispose lui.

Nel giro di qualche istante si era addormentato. Peggy sedette alla scrivania e alzò lo stoppino della lampada. In attesa del ritorno dei Cacciatori avrebbe letto qualcosa. Qualcosa che l’aiutasse a restare calma.

No, non era possibile. Le parole erano lì in fila sulla pagina, però lei non riusciva a cavarne alcun senso. Che cosa stava leggendo: Cartesio o il Deuteronomio? Non aveva nessuna importanza. Niente avrebbe potuto distoglierla dalla nuova fiamma vitale di Arthur. Certo che tutti i sentieri della sua vita erano cambiati. Non era più la stessa persona. No, questo non era del tutto vero. Era sempre Arthur. Soprattutto Arthur.

Quasi Arthur. Quasi quello di prima. Ma non del tutto.

Ne era valsa la pena? Perdere parte di ciò che era stato al fine di vivere libero? Forse quella nuova identità era migliore della precedente; ma il vecchio Arthur Stuart se n’era andato per sempre, questo era certo, ancora più certo che se fosse andato al Sud e avesse trascorso in dolorosa schiavitù il resto dei suoi giorni, mentre la sua vita a Hatrack sarebbe diventata solo un ricordo, poi un sogno, e infine una specie di fiaba che egli avrebbe raccontato ai suoi nipotini negli ultimi anni prima di morire.

Pazza! esclamò in cuor suo rivolta a se stessa. Nessuno è la stessa persona che era ieri. La freschezza, l’ingenuità, l’ignoranza della gioventù passano e se ne vanno. Arthur Stuart sarebbe stato trasformato — malformato -dalla vita in cattività in maniera molto più atroce che in seguito ai delicati cambiamenti introdotti da Alvin. Arthur Stuart era molto più se stesso in quel momento che se fosse stato trascinato in catene negli Appalachi. E poi lei stessa aveva visto gli oscuri sentieri che una volta risiedevano nella sua fiamma vitale: il dolore lancinante della sferza, il sole cocente che gli dardeggiava le spalle mentre egli faticava nei campi, o il nodo scorsoio che l’attendeva sui molti sentieri che lo vedevano partecipare o addirittura mettersi alla testa di una rivolta di schiavi, uccidendo nel sonno decine di Bianchi. Arthur Stuart era troppo piccolo per capire quello che gli era successo; tuttavia, se fosse stato abbastanza grande, se avesse potuto decidere da solo il futuro che preferiva, Peggy era certa che avrebbe scelto il genere di futuro che Alvin gli aveva appena reso possibile.

In un certo senso, Arthur Stuart aveva perso una parte di sé, una parte del suo dono, e di conseguenza una parte delle possibilità di scelta alle quali avrebbe potuto trovarsi di fronte. Ma, rinunciando a quelle possibilità, aveva guadagnato tanta libertà e tali poteri che il cambio si risolveva chiaramente a suo vantaggio.

Eppure, nel ricordare il suo visetto illuminarsi di gioia mentre compitava qualche parola difficile con la stessa voce della sua maestra, Peggy non poté trattenersi dal versare qualche lacrima di rincrescimento.

XIX

IL VOMERE

I Cacciatori si svegliarono non molto tempo dopo che Arthur e i suoi salvatori erano giunti dall’altra parte del fiume.

«Guarda qui. Le manette sono ancora chiuse. Solide come prima.»

«Già. Hanno usato un incantesimo per farci addormentare e un altro per liberare il ragazzo dai ferri… Non sanno che, una volta sulla pista giusta, noi Cacciatori non molliamo mai la presa?»

Se aveste potuto vederli, vi sareste detti che la fuga di Arthur Stuart li aveva resi felici. Il fatto è che quei ragazzi non chiedevano di meglio che un bell’inseguimento, un’occasione per dimostrare a tutti che liberarsi di un Cacciatore era semplicemente impossibile. E se prima di mettere le mani sul fuggiasco capitava di piazzare una manciata di pallettoni in pancia a qualcuno, be’, non era così che andava il mondo? Il Cacciatore era come un cane sulle tracce di un cervo ferito. Niente poteva fermarlo.

I due seguirono la pista di Arthur Stuart attraverso la foresta finché non sbucarono sulla riva del fiume. Solo in quel momento la loro espressione giuliva lasciò il posto a una sorta di perplessità. Alzarono gli occhi e guardarono di là dal corso d’acqua, in cerca della fiamma vitale di qualcuno che si trovasse in giro a quell’ora di notte, quando ogni persona onesta era al calduccio nel suo letto. Il Cacciatore dai capelli bianchi non era in grado di vedere così lontano, ma il suo compagno disse: «Vedo qualcuno che si muove. E qualcuno che non si muove. Ritroveremo la pista una volta a Hatrack».

Alvin reggeva il vomere fra le mani. Sapeva che avrebbe potuto trasformarlo in oro: in vita sua ne aveva visto una quantità sufficiente da comprenderne il disegno e mostrare ai pezzetti di ferro come avrebbero dovuto disporsi. Però al tempo stesso sapeva che la materia di cui aveva bisogno non era il solito oro. Sarebbe stato troppo morbido, e per di più freddo come una qualsiasi pietra. No, Alvin aveva bisogno di qualcosa di nuovo, non solo di trasformare il ferro in oro come sognavano gli alchimisti, ma di ricavarne un oro vivo, un oro che potesse mantenere la forma e il filo meglio del ferro, meglio dell’acciaio temprato. Un oro vigile, consapevole del mondo che lo circondava… Un vomere capace di riconoscere la terra che avrebbe dovuto solcare.