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Hai finito di rubare bambini alle loro mamme, pensò la vecchia Peg. Hai finito di trascinare quei poveri Neri verso una vita di fatiche e di frustate. Ti ho ammazzato, Cacciatore, e spero che il Signore se ne rallegri. Ma anche se per questo dovessi andare all’inferno, sono contenta lo stesso.

Era così assorbita a guardarlo da non accorgersi che la porta posteriore era aperta, mantenuta in quella posizione dalla canna del fucile del Cacciatore dai capelli neri, puntata verso di lei.

Alvin era così intento a raccontare a Peggy quello che aveva fatto che non si era nemmeno accorto di essere nudo. Peggy allora staccò il grembiule di cuoio appeso a un piolo, ed egli se lo mise per pura forza dell’abitudine, senza nemmeno pensarci. Peggy udiva a malapena le sue parole; tutto ciò che Alvin le diceva lei lo sapeva già, per aver guardato nella sua fiamma vitale. Intanto lo guardava e pensava: ora è un Creatore, in parte grazie a ciò che io stessa gli ho insegnato. Forse il mio compito è finito, forse adesso la mia vita apparterrà soltanto a me… Oppure no, forse questo è solo un inizio, forse adesso posso trattarlo come un uomo, non come un allievo o un pupillo. Alvin sembrava ardere di un fuoco interiore; a ogni passo che faceva, si muoveva anche il vomere d’oro, che tuttavia non si limitava a seguirlo o a metterglisi tra i piedi, ma scivolava su un percorso simile a un’orbita, non tanto vicino da infastidirlo però abbastanza da poter rispondere al suo comando; come una parte del suo stesso corpo, anche se distinta e separata da lui.

«Lo so» disse Peggy. «Capisco. Adesso sei davvero un Creatore.»

«Non solo!» esclamò lui. «È la Città di Cristallo! Ora so come costruirla, signorina Larner. Capite, la città non è composta dalle torri di cristallo che ho visto quella volta, bensì dalla gente che vi abita e, se voglio costruirla, devo trovare le persone adatte, persone sincere e fedeli come questo vomere, persone capaci di condividere il mio sogno al punto da aiutarmi a realizzarlo, per poi proseguire la mia opera anche quando non ci sarò più. Capite, signorina Larner? La Città di Cristallo non è qualcosa che possa essere costruita da un solo Creatore. È una città di Creatori; io debbo cercare persone di ogni tipo, e in qualche modo ricavarne dei Creatori.»

Mentre Alvin parlava, Peggy capì che quello era davvero il compito che lo attendeva fin dalla nascita… ma anche la fatica che gli avrebbe schiantato il cuore. «Sì» disse. «È vero, lo so.» E suo malgrado non riuscì a dirlo come avrebbe potuto fare la signorina Larner, in tono calmo, freddo e distaccato. Lo disse con la propria voce, esprimendo i propri veri sentimenti. Dentro di sé sentiva ardere il fuoco che Alvin vi aveva appiccato.

«Venite con me, signorina Larner» disse Alvin. «Voi sapete tante cose, e siete una maestra straordinaria: ho bisogno del vostro aiuto.»

No, Alvin, non queste parole si disse Peggy. Sì, verrei con te anche solo per questo, ma da te voglio altre parole, quelle che ho tanto bisogno di udire. «Come potrei insegnare ciò che solo tu sai fare?» gli chiese, ostentando una tranquillità che non provava.

«Ma non sarebbe solo per insegnare… Il fatto è che non posso farlo da solo. Quello che ho realizzato stanotte è così difficile, e io ho bisogno che restiate al mio fianco.» Fece un passo nella sua direzione. Il vomere d’oro scivolò sul pavimento verso di lei, dietro di lei; se esso indicava il confine esterno dell’alone che pareva circondare Alvin, Peggy adesso si trovava all’interno di quel cerchio ampio e accogliente.

«E perché hai bisogno di me?» chiese Peggy. Si rifiutò di guardare nella fiamma vitale di Alvin, si rifiutò di vedere se ci fosse qualche possibilità che lui veramente… No, si rifiutò perfino di nominare ciò che avrebbe desiderato, per paura di scoprire che era impossibile, che non sarebbe mai potuto accadere, che per qualche motivo quella notte tutti i sentieri che conducevano in quella direzione si erano irrevocabilmente interrotti. E in quel momento si rese conto che anche per questo era rimasta così assorbita nell’esplorazione dei nuovi futuri di Arthur Stuart; il piccolo mulatto sarebbe stato così vicino ad Alvin che, attraverso gli occhi di Arthur, lei aveva potuto scorgere gran parte dello straordinario e terribile futuro di Alvin, senza bisogno di sapere ciò che avrebbe scoperto guardando nella fiamma vitale dello stesso Alvin: perché la fiamma vitale di Alvin le avrebbe rivelato se e quando, nei suoi molti futuri, ve n’era qualcuno in cui egli l’amava, e la sposava, e offriva quel corpo amato alle braccia di Peggy per dare e ricevere quel dono che solo gli amanti possono scambiarsi.

«Venite con me» la pregò Alvin. «Non riesco nemmeno a immaginare questo viaggio senza di voi, signorina Larner. Io…» Rise di sé. «Non so nemmeno il vostro nome di battesimo, signorina Larner.»

«Margaret» disse lei.

«Posso chiamarvi così? Margaret… Volete venire con me? So che non siete quella che sembrate, ma non m’importa nulla di come siete veramente sotto tutti quei talismani. So soltanto che siete l’unica creatura al mondo che mi conosce per quello che sono, e io…»

Alvin s’interruppe, cercando le parole. E lei restò in attesa, desiderando che egli le pronunciasse.

«Io ti amo» disse Alvin. «Anche se pensi che io sia soltanto un ragazzo.»

Forse Peggy gli avrebbe risposto. Forse gli avrebbe detto di sapere che egli era un uomo, e che lei era l’unica donna che avrebbe saputo amarlo senza adorarlo, l’unica donna che avrebbe potuto veramente stare al suo fianco. Ma, nel silenzio che seguì alle parole di Alvin e prima che Peggy potesse rispondere, si udì echeggiare uno sparo.

Subito Peggy pensò ad Arthur Stuart, ma le ci volle solo un istante per vedere che la sua fiamma vitale era indisturbata; il piccolo mulatto dormiva profondamente nel vecchio deposito. No, quello sparo veniva da più lontano. Peggy inviò la sua vista da fiaccola verso la locanda, e qui trovò la fiamma vitale di un uomo che stava per morire, e quell’uomo guardava una donna che lo guardava a sua volta dai piedi delle scale. Quella donna era sua madre, con un fucile fra le mani.

La fiamma vitale dell’uomo vacillò e si spense. Subito Peggy guardò nella fiamma vitale di sua madre e vide, al di là dei pensieri, delle sensazioni e dei ricordi, un milione di sentieri futuri che si sgretolavano trasformandosi sotto i sui occhi in un unico sentiero, che conduceva verso un unico luogo. Un lampo abbacinante di dolore, e poi più nulla.

«Mamma!» gridò Peggy. «Mamma!»

E poi il futuro si fece presente; la fiamma vitale della vecchia Peggy si era già spenta prima che l’eco del secondo sparo giungesse alla fucina.

Alvin quasi non riusciva a credere a ciò che stava dicendo alla signorina Larner. Fino a quel momento, finché non gliel’aveva detto, non aveva capito quali fossero i suoi veri sentimenti verso di lei. Aveva tanta paura che lei si mettesse a ridere, paura di sentirsi dire che era troppo giovane, che col tempo gli sarebbe passata.

Ma, invece di rispondergli, la signorina Larner tacque per un istante, e proprio in quell’istante si sentì echeggiare uno sparo. Alvin capì immediatamente che veniva dalla locanda; lo seguì con la sua pulce e scoprì da dove veniva, da un uomo già morto oltre ogni possibilità di guarigione. E poi un istante dopo un altro sparo, e qualcun altro che stava morendo, una donna. Alvin conosceva quel corpo di dentro e di fuori; non era quello di un’estranea. Doveva essere la vecchia Peg.