«Mamma!» esclamò la signorina Larner. «Mamma!»
«È la vecchia Peg Guester!» gridò Alvin.
Vide la signorina Larner aprirsi il collo del vestito, infilarvi dentro una mano, tirarne fuori gli amuleti e strapparseli dal collo, tagliandosi malamente con i lacci ai quali erano appesi. Alvin riuscì a stento a capacitarsi di ciò che vide… Una ragazza poco più vecchia di lui, e bella, anche se in quel momento il suo viso era contorto dallo sgomento e dal terrore.
«È mia madre!» gridò. «Salvala, Alvin!»
Alvin non esitò un istante. Si slanciò fuori dalla fucina, correndo a piedi scalzi sull’erba, sulla strada, senza curarsi delle pietre che gli ferivano la pelle morbida dei piedi. Il grembiule di pelle gli si avvolgeva intorno alle ginocchia, rischiando di farlo inciampare; Alvin lo rimboccò sotto la stringa, di lato, in modo che non gli desse fastidio. Con la sua pulce vide che la vecchia Peg era ormai oltre ogni possibilità di salvezza, ma continuò a correre, perché doveva tentare, pur sapendo bene che era un tentativo senza speranza. E poi la vecchia Peg morì, ma lui continuò a correre, perché non riusciva a sopportare di non precipitarsi nel luogo in cui quella brava donna, quella buona amica, giaceva priva di vita.
Buona amica di Alvin e madre della signorina Larner. L’unica spiegazione possibile era che la signorina Larner fosse allo stesso tempo la piccola fiaccola scappata sette anni prima. Ma se era davvero una fiaccola potente come diceva la gente, perché non aveva previsto ciò che stava per accadere? Perché non aveva guardato nella fiamma vitale di sua madre e non aveva capito che era in pericolo di vita? Era inspiegabile.
Di fronte a sé, sulla strada, vide un uomo. Un uomo che dalla locanda correva verso alcuni cavalli legati agli alberi sul ciglio della strada. Era l’uomo che aveva ammazzato la vecchia Peg, Alvin se ne accorse subito, e tanto gli bastò. Accelerò il passo, correndo più velocemente di quanto avesse mai corso senza attingere forza dal verde canto della foresta. Quando fu a una trentina di braccia dall’uomo, questo lo udì arrivare e si voltò.
«Tu, fabbro!» esclamò il Cacciatore dai capelli neri. «Ben felice di ammazzare anche te!»
In mano aveva una pistola; sparò.
Alvin prese la pallottola nel ventre, tuttavia non se ne curò. Il suo corpo si mise immediatamente all’opera per ricostruire ciò che la pallottola aveva lacerato, ma anche se la ferita fosse stata mortale Alvin non vi avrebbe dato peso alcuno. Non rallentò il passo; si gettò sull’uomo, facendolo rovinare a terra, atterrandogli addosso e scivolando insieme a lui per una decina di piedi sulla polvere della strada. L’uomo lanciò un grido di paura e di dolore. Quel grido fu l’ultimo suono che emise; trascinato dalla propria furia selvaggia, Alvin strinse la testa dell’uomo con tanta forza che gli bastò una rapida spinta dell’altra mano contro il mento per spezzargli di netto l’osso del collo. L’uomo era già morto, eppure Alvin continuò a sferrargli pugni sul viso finché le sue braccia, il torace e il grembiule di pelle non furono completamente imbrattati di sangue e il cranio dell’uomo non fu ridotto in frantumi come una vecchia pentola di coccio.
Poi Alvin si mise in ginocchio a testa bassa, istupidito da quel dispendio di furia e di energie. Dopo qualche istante, si rese conto che la vecchia Peg giaceva ancora sul pavimento della locanda. Alvin sapeva bene che era già morta, ma che cos’altro gli restava da fare? Si tirò lentamente in piedi.
Udì un rumore di zoccoli sulla strada dalla parte della città. A quell’ora di notte a Hatrack degli spari potevano significare solo guai. Sarebbe arrivata gente. Avrebbero trovato il cadavere sulla strada e sarebbero andati alla locanda. Non c’era bisogno che Alvin restasse lì a salutarli.
All’interno della locanda, Peggy era già in ginocchio davanti al corpo di sua madre, singhiozzando e ansimando per la corsa. Alvin poté riconoscerla soltanto dal vestito: l’aveva vista in viso solo una volta e per un istante, su alla fucina. Quando Alvin varcò la soglia, Peggy si voltò. «Dov’eri? Perché non l’hai salvata? Avresti potuto salvarla!»
«Non ci sarei riuscito comunque» disse Alvin. Era un’accusa ingiusta. «Non c’era più tempo.»
«Avresti dovuto guardare! Avresti dovuto capire che cosa stava per accadere!»
Alvin non capiva. «Io non so prevedere il futuro» disse. «Questo è il tuo dono.»
Allora lei scoppiò a piangere, non con gli asciutti singhiozzi di quando Alvin era entrato, ma con profondi, strazianti ululati di dolore. Alvin non sapeva che fare.
Alle sue spalle si aprì una porta.
«Peggy» sussurrò Horace Guester. «Piccola Peggy.»
Peggy alzò lo sguardo sul padre, col viso rigato di lacrime e così contorto e arrossato dal pianto che non si capiva come egli avesse potuto riconoscerla. «Sono stata io!» esclamò. «Non avrei mai dovuto andarmene, papà! Sono stata io a ucciderla!»
Solo allora Horace capì che quello disteso sul pavimento era il corpo di sua moglie. Sotto lo sguardo attonito di Alvin, cominciò a tremare, a gemere, quindi a lanciare grida alte e acute come un cane ferito. Alvin non aveva mai visto tanta sofferenza. Anche mio padre ha gridato in questo modo per la morte di mio fratello Vigor? Anche lui ha pianto così quando ha creduto che Measure e io fossimo stati torturati a morte dai Rossi?
Alvin tese le mani verso Horace, lo afferrò saldamente per le braccia, poi lo guidò verso Peggy, aiutandolo a inginocchiarsi accanto alla figlia, entrambi in lacrime, nessuno dei due in apparenza consapevole della presenza dell’altro. In quel momento entrambi vedevano soltanto il corpo della vecchia Peg disteso scompostamente sul pavimento; Alvin non riuscì nemmeno a immaginare con quale profondità, con quale straziante sofferenza ciascuno dei due si attribuisse l’intera colpa della sua morte.
Poco dopo entrò lo sceriffo. Aveva già trovato il cadavere del Cacciatore dai capelli neri, fuori sulla strada, e non gli era stato necessario molto tempo per capire esattamente che cosa fosse accaduto. Prese Alvin da parte. «È un caso lampante di autodifesa, se mai ne ho visto uno» disse Pauley Wiseman «e per una cosa del genere non mi sognerei di farti passare in prigione neanche tre secondi. Ma devo avvisarti che negli Appalachi la legge non prende tanto alla leggera la morte di un Cacciatore, e il trattato consente loro di venire a prenderti per metterti sotto processo. Quello che voglio dire, ragazzo, è che faresti meglio a far fagotto nel giro di un paio di giorni, o non potrei garantire per la tua sicurezza.»
«Me ne sarei andato comunque» ribatté Alvin.
«Non so come hai fatto» disse Pauley Wiseman «ma scommetto che stanotte hai portato via ai Cacciatori il piccolo mulatto e ora lo nascondi da qualche parte. Te lo dico chiaramente, Alvin, quando te ne vai faresti bene a portare il ragazzo con te. Portalo in Canada. Bada che se rivedo la sua faccia da queste parti, sarò io stesso a rispedirlo al Sud. È stato lui la causa di tutto… Mi viene la nausea a pensare che una brava donna bianca sia morta per colpa di un piccolo mulatto.»
«Sarà meglio che non ripetiate più una cosa del genere di fronte a me, Pauley Wiseman.»
Lo sceriffo si limitò a scrollare la testa, allontanandosi. «Non è naturale» disse. «Perdere la testa per uno scimmiotto come se fosse un essere umano.» Si voltò di nuovo verso Alvin. «Non m’importa che cosa pensi di me, Alvin Smith, ma sto offrendo a te e a quel mulatto una possibilità di restare vivi. Spero che tu abbia il cervello per sfruttarla. E, nel frattempo, faresti bene a ripulirti dal sangue e a trovare qualcosa da metterti addosso.»