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«Ho portato una cosa» esordì Alvin.

«Lo vedo» disse Eleanor. «Avvolta in un sacco di tela, immobile come una pietra. Eppure ho l’impressione che lì dentro ci sia qualcosa di vivo.»

«Questo non deve interessarti» spiegò Alvin. «Ciò che si trova qui dentro non può essere visto che da me.»

Eleanor non gli fece altre domande. Dalle parole del fratello aveva capito immediatamente perché egli si fosse portato dietro quel misterioso fagotto. Dopo aver detto a Hector di occuparsi di eventuali clienti, condusse il fratello nel nuovo magazzino, dove lei e suo marito tenevano dieci tipi diversi di fagioli conservati in grandi barili, carne salata nei fusti di legno, zucchero in coni, sale in piccoli orci di terracotta ermeticamente sigillati, e spezie in vasi di tutte le forme e dimensioni. Eleanor si diresse senza esitare verso uno dei barili, pieno quasi fino all’orlo di una qualità di fagioli verdastri che Alvin non aveva mai visto prima.

«Non piacciono a nessuno» disse. «Sono convinta che al fondo di questo barile non ci arriveremo mai.»

Alvin depose sopra i fagioli il vomere avvolto nella tela di sacco. Poi fece sì che i fagioli cedessero come melassa sotto il peso dell’involto, finché esso non arrivò in fondo al barile. A Eleanor non aveva neanche chiesto di distogliere lo sguardo, perché sua sorella sapeva bene che Alvin fin da ragazzo aveva il potere di fare cose del genere.

«Qualunque cosa si trovi là dentro, se è viva, non correrà il rischio di morire, sepolta in fondo al barile?» chiese Eleanor.

«Non invecchierà e non morirà» rispose Alvin. «Almeno non come succede alle persone.»

Alla fine, però, Eleanor cedette alla curiosità. «Vorrei solo che tu mi promettessi che se mai qualcuno verrà a sapere che cosa si trova là dentro, allora lo farai sapere anche a me» mormorò.

Alvin annuì. Era una promessa che poteva mantenere. All’epoca non sapeva se e quando avrebbe mai fatto vedere a qualcuno il vomere d’oro, ma se c’era una persona capace di mantenere il segreto, quella era certamente la taciturna Eleanor.

Alvin trascorse così molte settimane a Vigor Church, dormendo nella sua vecchia camera a casa dei genitori, e per tutto quel tempo tenne per sé la maggior parte di quanto era accaduto nei sette anni del suo apprendistato. Anzi, a dire il vero non diceva molto di più dello stretto necessario. Se ne andava in giro con suo padre e sua madre a far visita a questo o quel vicino e, senza farsi troppo pregare, curava mal di denti, ossa rotte, piaghe purulente: insomma tutti i mali da cui la gente poteva essere afflitta. Dava una mano al mulino; andava a lavorare a giornata nei campi e nei fienili dei vicini; si era costruito una piccola forgia e qui eseguiva le riparazioni alla portata di un fabbro che non disponesse di una vera fucina. Parlava solo quando gli altri lo interpellavano, e diceva poco più di ciò che gli serviva sul lavoro o per farsi passare il cibo a tavola.

Non era triste: rideva alle battute degli altri, e a volte ne diceva anche lui. Non si mostrava nemmeno scontroso, tant’è vero che trascorse diversi pomeriggi sulla piazza del paese, dimostrando ai più nerboruti contadini di Vigor Church che in un incontro di lotta nessuno poteva competere con le braccia e le spalle di un fabbro ferraio. Semplicemente, non si mostrava disponibile a scambiare pettegolezzi o chiacchiere di poco conto, e soprattutto non raccontava mai nulla di sé. E se non era l’altro a tenere in vita la conversazione, Alvin era ben contento di restare in silenzio, concentrandosi sul lavoro o fissando lo sguardo in lontananza, come se neanche si ricordasse di avere compagnia.

Alcuni notarono la scarsa loquacità di Alvin, ma era stato via per tanto tempo, e da un giovane di diciannove anni non ci si attende certo il comportamento di un bambino di nove. Pensarono semplicemente che, nel crescere, si fosse fatto taciturno.

Altri però videro più a fondo. I genitori di Alvin ne discussero più di una volta. «A quel ragazzo deve essere successo qualcosa di brutto» diceva sua madre. Suo padre invece era di tutt’altra idea. «Come a tutti, gli saranno successe cose belle e brutte, mescolate insieme, e dopo sette anni ancora non sa bene come prenderci. Quand’è partito di qui era un ragazzo, e adesso è un uomo. Quando si sarà abituato, sono sicuro che ci stordirà di chiacchiere.»

Anche Eleanor si era accorta che Alvin parlava poco, ma poiché era l’unica a sapere che egli aveva nascosto uno straordinario oggetto vivente nel barile dei fagioli, non pensò neanche per un istante che suo fratello avesse qualcosa che non andava. Così disse a suo marito, Corazza-di-Dio, quando quest’ultimo ebbe occasione di osservare che ad Alvin sembrava che si fosse seccata la lingua: «Pensa a cose profonde. È alle prese con problemi che nessuno di noi saprebbe risolvere. Quando li avrà risolti… vedrai che parlerà fin troppo».

E infine c’era Measure, il fratello di Alvin che era stato catturato dai Rossi insieme a lui; il fratello che aveva conosciuto Ta-Kumsaw e Tenska-Tawa ed era diventato loro amico al pari di Alvin. Com’era naturale, Measure si accorse di quanto poco Alvin parlasse degli anni dell’apprendistato. Alvin avrebbe sicuramente potuto aprirsi con lui, a tempo debito: e questo era naturale, considerando per quanto tempo Alvin aveva riposto la sua fiducia in Measure e tutto quello che avevano passato insieme. Sulle prime, però, Alvin si sentiva in imbarazzo anche di fronte a Measure, visto che nella sua vita adesso c’era Delphi, sua moglie, e qualsiasi idiota si sarebbe accorto che quei due non riuscivano ad allontanarsi più di tre passi uno dall’altra; e Measure con lei era così attento e premuroso, sempre a cercarla, rivolgendosi a lei se era vicina, aspettando ansiosamente il suo ritorno se si trovava altrove. Come poteva sapere Alvin se nel cuore di Measure c’era ancora posto per lui? No, nemmeno a Measure poteva raccontare la sua storia, almeno per il momento.

Un giorno di luglio Alvin si trovava nei campi a costruire una staccionata insieme a Cally, il suo fratello più piccolo, che ormai si era fatto uomo, alto come Alvin anche se non aveva spalle e dorso altrettanto muscolosi. Entrambi erano stati assunti per una settimana da Martin Hill. Alvin preparava le assi, e lo faceva praticamente senza ricorrere al suo dono, anche se a dire il vero avrebbe potuto spaccare quei tronchi semplicemente chiedendo loro di aprirsi. No, infilava il cuneo nel tronco e poi lo affondava a colpi di mazza, e il suo dono lo usava solo per impedire che i tronchi si fendessero secondo un’inclinazione sbagliata che non avrebbe prodotto assi sufficientemente lunghe.

Avevano costruito forse un quarto di miglio di staccionata quando Alvin si accorse improvvisamente di un fatto curioso. Cally non restava mai indietro. Mentre Alvin spaccava i tronchi, Cally piantava i paletti inchiodandovi sopra le assi, e la cosa strana era che non pareva mai avere bisogno di aiuto per conficcare il paletto, per quanto il terreno fosse duro, cedevole, sassoso o fangoso.

Perciò Alvin tenne d’occhio il ragazzo, o meglio, impiegò il proprio dono per osservare il suo modo di lavorare. Sì, Cally aveva qualcosa che per certi versi ricordava il dono di Alvin, ma quello di molto tempo prima, quando ancora non aveva la minima idea di ciò che stava facendo. Cally cercava il punto esatto in cui piantare il paletto, poi ammorbidiva il terreno finché non aveva bisogno che si consolidasse. Alvin immaginò che Cally non lo facesse di proposito. Probabilmente pensava di trovare il punto più adatto a piantare il paletto.