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Ecco, pensò Alvin. Ecco quello che so di dover fare: insegnare a qualcun altro l’arte della Creazione. E se al mondo esiste qualcuno cui dovrei insegnarla, questi è proprio Cally, visto che in qualche modo anche lui possiede lo stesso dono. In fin dei conti anche lui è il settimo figlio di un settimo figlio, proprio come me: infatti, quando sono nato io, Vigor era ancora vivo, ma al momento della nascita di Cally, Vigor era morto da un pezzo.

Perciò Alvin cominciò a parlare, mentre entrambi proseguivano il lavoro, spiegando a Cally tutto ciò che sapeva a proposito degli atomi e di come si potesse insegnare loro a essere in un certo modo, e gli atomi obbedissero. Era la prima volta che Alvin cercava di spiegarlo a qualcuno dall’ultima volta che aveva parlato con la signorina Larner — Margaret — e quelle parole avevano per lui un suono delizioso. Questo è il compito per cui sono nato, pensò. Spiegare a mio fratello come funziona il mondo, così che anch’egli possa capirlo e in qualche modo controllarlo.

Potrete credermi se vi dico che Alvin restò sorpreso quando Cally, a un tratto, sollevò un paletto e lo scagliò ai piedi del fratello. E lo scagliò con tanta violenza — o dopo averlo ridotto così male con i suoi poteri nascosti — che il paletto andò in pezzi non appena toccò il terreno. Alvin non riusciva assolutamente a capirne il motivo, ma Cally era fuori di sé dalla rabbia.

«Ho detto qualcosa che non andava?» chiese Alvin.

«Mi chiamo Cal» ribatté. «Nessuno mi chiama più Cally da quando avevo dieci anni.»

«Non lo sapevo» fece Alvin. «Ti chiedo scusa, e d’ora in avanti sarai Cal anche per me.»

«Per te non sono nulla» disse Cal. «Vorrei soltanto che te ne andassi!»

Solo allora Alvin si rese conto che non era stato Cal a chiedergli di aiutarlo in quel lavoro… era stato Martin Hill a dirglielo, e fino a quel momento alla staccionata aveva lavorato solo Cal.

«Non intendevo proprio portarti via il lavoro» si scusò. «Non mi era passato nemmeno lontanamente per la testa che tu non volessi il mio aiuto. Ma so che mi andava di stare con te.»

Tutto quello che Alvin diceva sembrava sortire l’unico risultato di far montare la rabbia di Cal, al punto che adesso questi aveva la faccia tutta rossa e i pugni stretti con forza sufficiente a strangolare un serpente. «Una volta qui avevo il mio posto» disse Cal. «Poi sei tornato tu. Con tutte quelle belle cose imparate sui libri, e tutti quei paroloni. E capace di guarire la gente senza neanche toccarla… Ti basta entrare in casa e fare un incantesimo, e quando te ne vai tutti sono perfettamente guariti, qualunque malattia avessero…»

Alvin non aveva idea che qualcuno potesse essersene accorto. Siccome nessuno gli aveva mai detto niente, aveva immaginato che quelle guarigioni fossero state attribuite a cause naturali. «Non capisco perché questo ti faccia arrabbiare, Cal. Fare in modo che gli altri non soffrano mi sembra un bene.»

Improvvisamente le guance di Cal furono solcate dalle lacrime. «Io invece non riesco a guarirli tutte le volte nemmeno se li tocco» disse. «Nessuno viene più a chiedermi nulla.»

Ad Alvin non era mai venuto in mente che anche Cal si fosse messo a fare il guaritore. Ma in realtà non ci sarebbe stato niente di strano. Da quando Alvin se n’era andato, Cal era in qualche modo diventato per gli abitanti di Vigor Church quello che una volta era stato Alvin. Visto che anche i loro doni erano molto simili, Cal era quasi riuscito a prendere il suo posto. Per di più Cal aveva cominciato a fare cose che Alvin da piccolo non si era mai sognato di fare, come andare in giro a curare la gente… Anche se non sempre ci riusciva. Ora che Alvin era tornato, quest’ultimo non solo aveva ripreso il suo posto a Vigor Church, ma si era messo a surclassare Cal nelle cose che il fratello fino a quel momento aveva considerato soltanto sue. E adesso Cal si sentiva umiliato e inutile.

«Mi dispiace» disse Al. «Ma posso insegnarti come fare. È quello che avevo cominciato a spiegarti.»

«Io quei pezzetti o che cosa diavolo sono non li ho mai visti» lo rimbeccò Cal. «Non ho capito una sola parola di quello che stavi dicendo. Forse il mio dono non è potente come il tuo, o forse sono soltanto troppo stupido, non capisci? Non posso diventare niente di più di quello cui non arrivo da solo. E non ho bisogno che sia tu a dimostrarmi che non potrò mai essere all’altezza. Martin Hill ha voluto che tu venissi ad aiutarmi, perché sa che a fare staccionate sei più bravo di me. E tu arrivi tutto pimpante e ti metti a spaccare i tronchi senza neanche usare il tuo dono, solo per dimostrarmi che anche senza dono sei più in gamba di me.»

«Ma non era per questo» mormorò Alvin. «È solo che non voglio usare il mio dono davanti…»

«Davanti a gente stupida come me» concluse Cal.

«Forse la mia spiegazione non era granché» si scusò Alvin «ma se me lo permetti, Cal, posso insegnarti a trasformare il ferro in…»

«In oro» disse Cal, con un tono che grondava disprezzo. «Per chi mi prendi? Non mi lascerò infinocchiare con queste storie da alchimista. Se tu sapessi fare una cosa del genere, non saresti tornato a casa povero in canna. Una volta ti consideravo l’inizio e la fine del mondo, sai? Quando Alvin tornerà a casa, pensavo, sarà come ai vecchi tempi, giocheremo e lavoreremo insieme, parleremo in continuazione e io gli starò sempre alle calcagna, faremo tutto quanto insieme. Invece salta fuori che per te sono ancora un bambino, non mi dici altro che ‘ecco un’altra asse’, o ‘passami i fagioli, per favore’. E tutti i lavori che una volta la gente faceva fare a me, adesso te li sei presi tu, perfino una cosa semplice come costruire una buona staccionata.»

«Il lavoro è tuo» disse Alvin, mettendosi in spalla la mazza. Cercare d’insegnare qualcosa a Cal era perfettamente inutile… anche se avesse potuto impararlo, non l’avrebbe certo appreso da Alvin. «Ho altre cose da fare, e non intendo trattenerti ulteriormente.»

«Trattenermi ulteriormente» ripeté Cal. «L’hai imparato su un libro, o da quella vecchia strega di maestra di cui parla sempre quel mostriciattolo dalla pelle scura?»

Udendo parlare in termini così offensivi della signorina Larner e di Arthur Stuart, Alvin si sentì avvampare di rabbia, soprattutto perché proprio dalla signorina Larner aveva imparato a usare espressioni quali «trattenerti ulteriormente.» Tuttavia non disse nulla che potesse tradire la sua rabbia. Voltò le spalle a Cal e se ne andò, costeggiando la staccionata appena costruita. Cal poteva benissimo usare il suo dono e finire il lavoro da solo; ad Alvin non interessava nemmeno essere pagato per quella mezza giornata di lavoro. Aveva altre cose cui pensare… in parte ricordi della signorina Larner, ma soprattutto era turbato dal fatto che Cal si fosse rifiutato d’imparare ciò che lui aveva da insegnargli. Di tutte le persone che c’erano al mondo, Cal aveva la fortuna di poter imparare con la stessa facilità di un neonato che si attacca alla poppa, visto che per lui quel dono era un fatto naturale; però non voleva imparare, almeno non da Alvin. Una cosa del genere — rinunciare alla possibilità d’imparare qualcosa solo perché il maestro non ti andava a genio — Alvin non l’avrebbe mai ritenuta possibile.

A ripensarci, però, anche Alvin ai suoi tempi avrebbe fatto di tutto per non andare a scuola dal reverendo Thrower, perché in qualche modo quell’individuo era sempre riuscito a farlo sentire cattivo, stupido, incapace e via dicendo. Possibile che Cal detestasse Alvin come Alvin aveva detestato il reverendo Thrower? Alvin non riusciva assolutamente a capire perché Cal se la prendesse tanto. Suo fratello avrebbe dovuto essere l’ultima persona al mondo a provare gelosia per lui, visto che fra tutti era colui che più si avvicinava a ciò che Alvin sapeva fare; eppure per quello stesso motivo Cal era talmente geloso che non sarebbe mai riuscito a imparare, a meno di non arrivarci da solo, un piccolo passo alla volta.