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«Non riuscirai a spaventare Mallory.»

Detestava ammettere che Riker aveva ragione. Se il Dipartimento avesse deciso di far rispettare il regolamento contro il doppio lavoro, a guardia della città non sarebbero rimasti più di tre poliziotti.

«Ti stai offrendo volontario per farle da balia, Riker?»

«Mallory non ha bisogno di me. Non ha bisogno di un solo essere umano su tutto il pianeta. Era così fin da bambina, un piccolo alieno completamente autosufficiente…»

«Pensavo che Markowitz fosse tuo amico, Riker. Come la prenderebbe se sapesse che sei qui a insistere perché sbatta la sua bambina in prima linea?»

«Se non fosse stata sua figlia, l'avrebbe usata nel modo giusto. Non avrebbe avuto pietà.»

Riker fece cadere la cenere sul tappeto. Il suo posacenere era il mondo intero.

«Perché dovrei affidarle questo caso? L'assassino ha colpito con violenza brutale. Probabilmente è uno psicopatico.» Coffey sollevò la foto dell'obitorio e Riker voltò la faccia per non vedere. «Prima le fracassa il cranio e poi le ruota la testa di centottanta gradi fino a spezzarle il collo. Mallory come potrebbe…»

«Se quello che temi è che gli spari a una mano, credo che abbia imparato la lezione.» Riker alzò la testa arruffata per fissare Coffey con intensità.

«Dalle una possibilità.» Poi si strinse nelle spalle per dimostrare che in ogni caso l'intera faccenda rivestiva per lui un'importanza relativa.

Coffey seppe allora che per Riker l'intera faccenda era di estrema importanza.

«Se anche le assegnassi il caso, non avrebbe in mano alcun indizio significativo. Roba da non sapere da che parte cominciare.»

«È proprio questo che le piace» disse Riker. «Quando hai parlato dell'assenza di indizi, i suoi occhietti da mostro si sono accesi come candele verdi. A volte guardandola si è tentati di credere all'esistenza dell'inferno.»

«L'unica cosa che possiamo dedurre sul conto dell'assassino è che rappresenti un pericolo per le donne e tu vuoi che io affidi il caso proprio a Mallory.»

Ottima idea. Dai alla piccola un pazzo pericoloso perché alleni i dentini.

«È perfetta per questo caso.»

«Come fai a saperlo?»

Mentre Coffey aspettava la risposta, abbassò lo sguardo sul verbale nel registro e prese una matita per siglarlo. Riker scivolò in fondo alla sedia e appoggiò i piedi sulla scrivania. La matita si spezzò tra le dita di Coffey.

«Sai» disse Riker con voce strascicata, soffiandogli in faccia un'altra boccata di fumo, «fin da quando Mallory era piccola, Markowitz ne era molto orgoglioso. Diceva sempre che non era da tutti avere per figlia una mina vagante.»

Capitolo Secondo

21 dicembre

Aveva visto di nuovo la pallottola magica. In sogno, ne aveva osservato il lento fluttuare dalla canna della pistola alle sue budella, l'aveva vista penetrare nella sua carne e farne sprizzare il sangue.

Andando in bagno, Riker urtò con il piede nudo contro una bottiglia di birra vuota. Non percepì l'impatto della carne contro il vetro, tanto il sogno recente era ancora vivido di fronte ai suoi occhi.

Un giorno l'alcol l'avrebbe ucciso. I riflessi lo avrebbero tradito e… bum! Sveglio o addormentato, la pallottola magica fluttuava verso di lui, sospesa a pochi centimetri dalla sua testa.

Ma lui e la bottiglia ormai erano una vecchia coppia di coniugi. E Riker preferiva il sogno della pallottola ai ragni che lo avevano perseguitato durante l'ultimo tentativo di divorziare dall'alcol.

Quanti anni erano passati? Tredici? Almeno tredici.

Stava provando a smettere, assicurato a un letto con le cinghie, in preda al delirium tremens, il giorno in cui Kathy Mallory era entrata attraverso la finestra della clinica in cui non era consentito l'ingresso ai bambini. Era atterrata sul pavimento sulle suole di gomma, con l'atteggiamento furtivo di una ladra nata. Per un attimo l'immagine della bambina si era confusa con quella dei ragni che strisciavano lungo il suo corpo, sulle lenzuola e sui muri.

Il ragno più grande pendeva dal soffitto, tesseva alacremente la bava setosa mentre si avvicinava sempre più al suo viso, in un aereo balletto di otto frenetiche zampe nere.

«Il ragno! Levamelo dagli occhi!» aveva urlato a Mallory, che allora era ancora Kathy (solo anni dopo, entrata in polizia, gli avrebbe proibito di chiamarla per nome). Kathy si era avvicinata al letto e lo aveva scrutato negli occhi, dichiarando di non vedere alcun ragno. Quindi lo aveva guardato con disprezzo. Era così vicina che Riker riusciva a vedere se stesso riflesso nei suoi occhi.

Si era girato verso lo specchio appeso al muro dell'ospedale, per vedere meglio quello che Kathy aveva visto: il suo volto madido di sudore, contratto e affondato nella paura. Un filo di vomito gli correva dalla bocca al mento. Annuì lentamente. Kathy aveva ragione. Era talmente patetico che neanche dei ragni avrebbero potuto sopportare di vivere nella sua mente. Fu grato a Helen Markowitz per aver insegnato a Kathy a non sputare. Si era accorto che la piccola era stata tentata di farlo, dopo averlo guardato negli occhi. Invece si era limitata a guardarsi intorno e se n'era andata com'era venuta, sparendo dalla finestra. Le piccole mani si erano aggrappate alla finestra a ghigliottina, chiudendosela dietro senza alcun rumore e senza lasciare traccia della sua visita clandestina.

In seguito, dopo che i ragni se ne furono andati a tormentare qualcun altro, Riker non era riuscito a rinunciare alla bottiglia, ma aveva giurato a se stesso di non perdere mai più la faccia davanti a Kathy. Quella marmocchia impietosa aveva messo fine alle sue sbronze plateali. Per essere un ubriacone, Riker era diventato quasi rispettabile: inciampava di rado e non barcollava più in pubblico.

Anche attraverso gli occhiali da sole, la luce gli feriva gli occhi. Aprì la portiera della piccola automobile marrone di Mallory e salì a bordo. Si sporse verso il parabrezza, abbassò i parasole e guardò il proprio quartiere strizzando gli occhi. «Non ricordavo più che aspetto avesse il mattino.»

Silenzio di tomba da parte della collega.

Mentre si vestiva e si sbarbava, Riker aveva fatto aspettare Mallory, una vera maniaca della puntualità. Affondò nel sedile imbottito. Sorrise affabilmente, strinse il nodo della cravatta, in attesa di una battuta cattiva da parte della ragazza. Ma lei avviò il motore e partì lasciandosi dietro una striscia di gomma bollente.

Riker si aggrappò al cruscotto per contrastare la sensazione che il suo cervello, gravato dai postumi dell'alcol, stesse sguazzando di qua e di là all'interno del cranio.

«Okay, Mallory. Sarà una lunga giornata. Cerca di fare la brava.»

La macchina rallentò sino a raggiungere una velocità consentita dalla legge, e il tono di voce di lei era ingannevolmente civile quando disse: «Gli agenti non hanno combinato nulla con i portieri della Upper West Side. La vittima non viveva da quelle parti. Nessuno l'ha riconosciuta dalle fotografie.»

Così Mallory aveva cominciato a indagare senza di lui. Chissà quali altre informazioni aveva raccolto sul caso. Ed erano solo le dieci del mattino. Normalmente, a quell'ora, Riker sarebbe stato ancora a letto, indeciso se aprire gli occhi e lasciarsi cadere sul pavimento, per rotolare fino al bagno.

Nel tono di: "Beccati questa, te la sei cercata" disse: «Se avessi qualche anno di esperienza sul campo, sapresti che è difficile per la maggior parte delle persone identificare un cadavere da una foto dell'obitorio, anche quando il viso è intatto. Una madre potrebbe riconoscere il figlio o la figlia in un batter d'occhio, forse un amico intimo, ma un portinaio? Nossignore. Così non sappiamo ancora se la vittima viveva o no in quella zona.»

L'espressione di Mallory di profilo poteva essere letta come un velenoso: "Questa me la paghi", oppure come un sarcastico: "Sì, come no".