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Chemosh ritornò all’improvviso, stagliandosi imponente nel buio.

«Certo, erano passati molti secoli da quando avevo visto l’ultima volta questa Torre, eppure qualcosa non mi quadrava. Ho capito che cosa non va. Almeno un terzo della Torre rimane sepolto sotto il fondo marino. Lì vi è presumibilmente anche l’ingresso. Ai vecchi tempi, conduceva dentro la Torre un’unica porta e adesso quella porta è sepolta nella sabbia. Io non riesco a trovare altro modo...»

Chemosh si interruppe, con lo sguardo fisso. «Le vedi?»

«Le vedo, mio signore», rispose Mina, «ma non sono sicura di crederci».

In profondità dentro la Torre si accesero le luci. Prima una. Poi un’altra. Piccoli globi di luce biancoazzurra comparvero su piani diversi della Torre: alcuni molto più in alto di loro, presso la sommità; altri giù in basso. Alcune luci parevano risplendere dalle profondità dell’interno della Torre, altre più vicino alle pareti di cristallo.

«Sono come me le ricordavo», disse Chemosh. «Stelle tenute prigioniere.»

Le luci erano come stelle, fredde e dai margini aguzzi. Non illuminavano niente, non emettevano calore, né splendore. Mina ne osservò attentamente una. «Come se qualcuno o qualcosa ci fosse passato davanti.»

«Dove? Quale luce?»

«Lassù, circa due piani. Mio signore», soggiunse Mina, «voi potete entrare nella Torre. Voi siete un dio. Queste pareti, non importa se massicce o illusorie, non possono fermarvi».

«Sì», rispose lui, «ma tu no».

«Voi dovete entrare, mio signore», lo spronò Mina. «Io vi aspetterò fuori. Quando troverete un ingresso, verrete a prendermi.»

«Non mi piace lasciarti sola», disse Chemosh, eppure era tentato.

«Vi chiamerò se avrò bisogno di voi.»

«E io verrò, anche se sarò all’estremità dell’universo. Aspettami qui. Non ci metterò molto.»

Nuotò verso la parete di cristallo, nuotò attraverso la parete di cristallo. Il buio, caldo e soffocante, opprimeva Mina.

Mina continuava a osservare le luci simili a stelle, concentrandosi su di esse e non sulla propria sete, che si faceva acuta. Contò otto luci sparse per tutta la torre, e non ce n’erano due sullo stesso piano, se vi erano piani. Nessuna di esse era intermittente, tutte risplendevano di continuo.

Sentì la mancanza di Chemosh, della sua voce. Il silenzio era denso e pesante quanto il buio. All’improvviso, piuttosto vicino a lei, si illuminò una nona luce.

Questa luce era diversa dalle altre. Era di colore giallo e pareva più calda, più luminosa.

«Posso restare qui, senza pensare a niente a parte il silenzio insopportabile e il sapore dell’acqua fresca sulla lingua, oppure posso andare a scoprire la fonte di questa luce.»

Mina si spinse attraverso l’acqua, un po’ nuotando, un po’ strisciando, muovendosi lentamente e furtivamente verso la strana luce.

Nell’avvicinarsi vide che non era un unico punto di luce, come lei aveva inizialmente supposto, ma molteplici luci, come un gruppo di candele. Mina si rese conto che le luci parevano diverse, più calde, più luminose, perché erano al di fuori delle pareti. Vedeva la luce rispecchiarsi sulla superficie di cristallo. Si avvicinò, curiosa.

Le luci erano sospese in acqua, come legate assieme, simili a piccole lanterne appese a una corda. Le luci erano allineate a formare una fila, frastagliata e irregolare, che si agitava e andava alla deriva e ondeggiava delicatamente con le correnti sottomarine.

«Strano», si disse Mina. «Sembra una specie di rete...»

In quel momento il pericolo le balenò davanti. Cercò di fuggire, ma il movimento sott’acqua era dolorosamente lento e pigro. Le luci presero a ruotare rapidamente, abbagliandola, cosicché Mina rimase accecata e confusa. Una rete di pesanti funi schizzò fuori dal centro delle luci roteanti e, prima che Mina potesse sfuggire, le si depositò sopra.

Mina lottò disperatamente per liberarsi delle falde avvolgenti di funi pesanti che le ricadevano sulla testa e sulle spalle, le avvolgevano le braccia e le mani e le sferzavano le gambe. Cercò di sollevare le falde della rete, di spingerle di lato, di scagliarle via, ma le luci erano tanto intense che lei non vedeva che cosa stesse facendo.

La rete si strinse attorno a lei, sempre più stretta, finché Mina rimase con le braccia serrate contro il petto, i piedi e le gambe avviluppati, per cui non poteva muoversi.

Mina vedeva e sentiva la rete venire trascinata nell’acqua con lei dentro, spostandosi rapidamente verso la parete di cristallo. La rete non si fermò quando raggiunse la parete e sembrò che Mina dovesse schiantarsi contro il cristallo. Chiuse gli occhi e si preparò a quell’impatto devastante.

Una sensazione di freddo intorpidente, come se lei fosse caduta in acqua freddissima, fu tutto ciò che avvenne. Ansimando per lo spavento, Mina aprì gli occhi e vide che era passata attraverso una sorta di oblò che si era aperto ruotando per farla entrare e adesso le si chiudeva a spirale dietro le spalle.

Il movimento della rete cessò. Mina rimase sospesa nell’acqua. Ancora impigliata nella rete, non riusciva facilmente a girare la testa e aveva soltanto una visuale limitata dell’ambiente circostante. Da quanto vedeva, si trovava in qualche sorta di stanzetta ben illuminata e piena di acqua marina.

Attraverso una lastra di cristallo due volti la scrutavano.

«Pescatori», si rese conto all’improvviso Mina, rammentando come i pescatori dell’isola di Schallsea utilizzassero di notte le luci per attirare i pesci verso le loro reti. «E io sono la loro preda.»

Non poté guardare bene coloro che l’avevano catturata, poiché la rete prese a ruotare e lei li stava perdendo di vista. I due, a quanto pareva, erano sconvolti nel vedere Mina quanto lei lo era di vedere loro. Presero a parlare fra loro; Mina riusciva a vedere le loro bocche muoversi, ma non udiva che cosa dicessero.

Fu allora che notò la superficie sopra la sua testa incresparsi, come se nella stanza venisse insufflata dell’aria. Alzando lo sguardo, vide che il livello dell’acqua incominciava a calare. I pescatori stavano pompando l’acqua fuori dalla stanza, sostituendola con aria.

L’acqua sarà per te come aria... l’aria sarà come acqua.

Mina rammentò l’avvertimento di Chemosh riguardo all’incantesimo a cui l’aveva assoggettata, un avvertimento che in quel momento lei non aveva preso molto sul serio, poiché non aveva immaginato che loro due si sarebbero separati.

Il livello dell’acqua calava rapidamente.

Mina spinse la rete con le mani e scalciò con i piedi, cercando freneticamente di liberarsi. I suoi sforzi erano inutili, facevano soltanto ruotare rapidamente la rete.

Cercò di attirare l’attenzione sulla sua situazione incresciosa, facendo del suo meglio per scrollare il capo, indicando verso l’alto.

I volti dietro la finestra osservavano con avido interesse i suoi sforzi. O non capivano o non gliene importava.

Mina non aveva dimenticato l’esortazione di Chemosh a chiamarlo se si fosse trovata nei guai. Era rimasta troppo sbalordita per farlo quando era rimasta impigliata nella rete, e poi era stata troppo impegnata nel cercare di liberarsi. Dopo di che era stata troppo orgogliosa. Chemosh le rammentava in continuazione che lei era debole come sono deboli tutti i mortali. Mina voleva dimostrargli ciò che valeva, così come gliel’aveva dimostrato sul Bastione della Tempesta. Il buon senso le imponeva adesso di chiedergli aiuto.

Mina non voleva però gridare il suo nome in preda al panico. Anche se fosse morta in questo momento, il suo orgoglio non le consentiva di supplicare il dio.

«Chemosh», disse a bassa voce Mina, fra sé, al ricordo degli occhi scuri e del tocco ardente di lui. «Chemosh, sono in difficoltà. Gli abitanti di questa Torre mi hanno catturata con una sorta di rete.»