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«Come mai io non ti credo?» domandò Chemosh. «Forse perché sei un bugiardo matricolato.»

«Quegli oggetti sono stati distrutti», ripeté Nuitari. Infilò le mani inquiete dentro le maniche della veste.

«Mi chiedo», disse Chemosh scrutando intensamente Nuitari, «se i tuoi cugini, Solinari e Lunitari, sanno di questo tuo piccolo progetto edilizio. Nel mondo rimangono due Torri dell’Alta Magia: la Torre di Wayreth e la Torre di Palanthas nascosta nel Nightlund. Voi tre vi dividete la custodia di quelle Torri. La mia ipotesi è che tu non divida con gli altri te custodia di questa qui. Approfittando della confusione quando siamo ritornati nel mondo, tu hai deciso di intraprendere qualcosa da solo. I tuoi cugini lo scopriranno prima o poi, ma solo dopo che tu avrai trasferito qui le tue Vesti Nere e tutti i loro libri di incantesimi e le loro attrezzature, cosicché sarà difficile per chiunque sloggiarti. Dubito che i tuoi cugini ne saranno molto contenti».

Nuitari rimase in silenzio, gli occhi privi di palpebre erano scuri e impassibili.

«E gli altri dèi?» proseguì Chemosh, ampliando l’argomento. «Kiri-Jolith? Gilean? Mishakal? E tuo padre, Sargonnas? Ora, ecco un dio che sarà molto interessato a venire a sapere della tua nuova Torre, specialmente perché è ubicata sotto la rotta marina che seguono le sue navi verso Ansalon. Ehi, scommetto che il dio dalle corna dorme più tranquillo la notte, sicuro nel sapere che dei Maghi dalle Vesti Nere, che l’hanno sempre disprezzato, esercitano le loro arti oscure sotto la chiglia delle sue navi. E poi c’è Zeboim, la tua cara sorella. Devo continuare?»

Le labbra grosse e piene di Nuitari si arricciarono in un ghigno. Anche se Zeboim e Nuitari erano gemelli, fratello e sorella si disprezzavano a vicenda così come disprezzavano i genitori divini che li avevano messi al mondo.

«Nessuno degli altri dèi lo sa, vero?» concluse Chemosh. «Tu l’hai tenuto segreto a tutti noi.»

«Non mi pare che siano affari vostri», rispose Nuitari, stringendo gli occhi privi di palpebre.

Chemosh alzò le spalle. «Personalmente non mi interessa ciò che fai, Nuitari. Puoi costruire torri a tuo piacimento. Puoi costruirle sulla luna nera, se lo desideri. Oh, brutta battuta.» Sorrise. «Io non dirò neanche una parola se tu mi restituisci i miei oggetti magici. Dopo tutto», soggiunse Chemosh con un gesto di biasimo, «sono oggetti sacri, reliquie benedette dal mio tocco. Non servono a niente a te e ai tuoi maghi. Potrebbero in effetti essere micidiali se qualcuno dei tuoi Maghi dalle Vesti Nere fosse tanto sciocco da cercare di armeggiarci. Faresti meglio a consegnarmeli».

«Ah, ma a me sono utili», ribatté freddamente Nuitari. «Il loro potere d’acquisto da solo vale qualcosa, come tu hai appena dimostrato facendo un’offerta per averli.»

Nuitari sollevò un dito pallido e magro, per sottolineare un aspetto: «Sempre ammesso che simili oggetti esistano, ma per quanto ne so non esistono.»

«Per quanto ne sai?» Ora fu Chemosh a sogghignare e Nuitari ad alzare le spalle.

«Sono stato estremamente impegnato. Non ho avuto il tempo di guardarmi in giro. Ora, mio signore, per quanto io abbia apprezzato la conversazione con te, davvero dovresti andartene.»

«Oh, intendo proprio andarmene», lo rassicurò Chemosh. «La mia prima tappa sarà il cielo, dove gli altri dèi saranno affascinati nel venire a sapere di come ti sei dato da fare ultimamente. Prima, però, poiché sono arrivato fin qui, darò un’occhiata in giro.»

«Qualche altra volta, forse», ribatté Nuitari, «quando io sarò libero e potrò accompagnarti».

«Non serve che ti disturbi, Dio della Luna Nera.» Chemosh fece un gesto aggraziato. «Mi limiterò a fare un giretto da solo. Chissà, potrei imbattermi per caso nelle mie reliquie sacre. In tal caso le porterò via con me. Ti toglierò questo ingombro.»

«Sprechi il tuo tempo», ribadì Nuitari.

Indicò un grosso baule di legno posato sul pavimento. Il baule era oblungo, di lunghezza pari quasi all’altezza di un uomo, e costruito in assi di rovere sgrossate. Il baule aveva due maniglie d’argento, una a ciascuna estremità, e un’altra maniglia d’oro sul lato anteriore per facilitare il sollevamento del coperchio. Niente serratura, niente chiave. Nel legno sui lati erano marchiate a fuoco delle rune.

«Prova ad aprirlo», suggerì Nuitari.

Chemosh, stando al gioco, pose la mano sulla maniglia anteriore. Il baule prese a brillare di un debole bagliore rossastro. Il coperchio non si mosse. Nuitari diede un colpetto con la mano pallida a una delle porte chiuse. Anche questa prese a emettere il medesimo bagliore rossastro.

«Chiuso da un mago», disse Nuitari.

«Aperto da un dio», ribatté Chemosh.

Colpì il baule con la mano. Le assi di rovere si spezzarono. Le maniglie d’argento caddero a terra sbattendo e seppellirono la maniglia d’oro sotto una catasta di schegge di rovere. I libri contenuti nel baule si riversarono sul pavimento ai piedi del Signore della Morte.

«... le tue chiusure da mago. Adesso devo sfondare la porta con un calcio? Ti avverto, Nuitari, troverò i miei oggetti magici a costo di sfondare tutti gli scatoloni e tutte le porte di questa Torre, per cui sii ragionevole. Sarà tanto lavoro in meno per i tuoi carpentieri se solo mi consegni i miei oggetti...»

«La tua mortale sta morendo», annunciò Nuitari.

Chemosh interruppe ciò che stava dicendo, rendendosi conto, nel momento dell’interruzione, di avere commesso un errore. Avrebbe dovuto dire subito: «Quale mortale?» come se non avesse avuto idea di che cosa stesse parlando Nuitari e non gli importasse minimamente.

Disse proprio quelle parole, ma era troppo tardi. Si era tradito.

Nuitari sorrise. «Questa mortale», rispose tendendo la mano.

Sulla palma della mano si dimenava qualcosa. L’immagine era sfocata e Chemosh inizialmente pensò fosse qualche sorta di creatura marina, poiché era bagnata e si agitava qua e là dentro una rete come un pesce appena pescato.

Poi vide che era Mina.

Mina aveva gli occhi fuori dalle orbite, la bocca spalancata e ansimante. Si contorceva per il dolore, cercando disperatamente di trovare aria. Le sue labbra dalla sfumatura blu compitarono un nome.

«Chemosh...»

Il dio era pronto con la sua risposta e la pronunciò abbastanza calmo, anche se non poté staccare lo sguardo da lei.

«Ho tanti mortali al mio servizio e tutti stanno morendo, perché questo è il destino dei mortali, per cui non ho idea di chi sia questa qui.»

«Ti invoca. Tu non la senti?»

«Io sono un dio», rispose Chemosh con indifferenza. «Innumerevoli mi invocano.»

«Eppure le sue preghiere sono speciali per te, credo», disse Nuitari, piegando indietro la testa.

La voce di Mina riecheggiò nel buio.

Chemosh... vengo a voi. Non ho paura. Abbraccio la morte. Perché adesso non sarò più una mortale.

«Amore e fede tanto devoti», disse Nuitari. «Immagina la sorpresa dei miei maghi quando, cercando di pescare tonni, hanno preso invece una giovane donna bellissima. E immagina la loro sorpresa nello scoprire che lei respira in acqua e annega nell’aria.»

Sarebbe bastato invertire l’incantesimo e Mina sarebbe sopravvissuta. Chemosh doveva però localizzarla. Si trovava da qualche parte in questa Torre, ma la Torre era immensa e a lei restavano soltanto pochi secondi. Stava perdendo conoscenza, il corpo le tremava.

«È una mortale, niente di più. Io posso averne cento, mille, se voglio», si disse, pur emettendo filamenti della propria potenza, alla ricerca di Mina. «Per me è un fardello. Io sono dentro la Torre. Posso portarmi via ciò che sono venuto a prendere e Nuitari non può impedirmelo.»

Non riusciva a trovarla. Un velo di tenebra circondava Mina, la nascondeva a lui.

«Muore», ribadì Nuitari.

«Che muoia», replicò Chemosh.

«Sei sicuro, mio signore?» Nuitari mostrò Mina nella palma della mano, pose su di lei l’altra mano, tenendo Mina sospesa nel tempo. «Guardala, Signore della Morte. La tua Mina è una donna magnifica. Più di un dio ti invidia, avere una simile mortale al tuo servizio...»