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Afferrando la spada, Chemosh fissò ancora per un lungo momento il fantasma di Mina. Poi, con la spada in mano, la sollevò e balzò contro quell’illusione.

L’immagine di Mina svanì.

Chemosh indietreggiò, pensando ad alta voce. «Un’illusione straordinaria. Ha tratto in inganno perfino me. Ma non poteva trarre in inganno te, mio caro fratello, mio ottimo amico, Lord Krell!»

«Sono lieto di avervi compiaciuto, mio signore.» Krell era confuso; grato, ma confuso. «Però non vi seguo del tutto...»

«Un’illusione, Krell! Il fantasma di Mina era un’illusione! Ecco perché non potevi vederla. Mina non è nel tuo regno, nel regno della morte. Mina è viva, Krell. Viva... e prigioniera.»

Chemosh si fece cupo. «Nuitari mi ha mentito. Non l’ha uccisa, come ha finto di fare. L’ha imprigionata nella sua Torre sotto il Mare di Sangue. Ma perché? Qual è il suo movente? La vuole forse per sé? Ha forse ipotizzato che io la dimenticassi, quando l’avessi ritenuta morta? Ah, capisco il suo gioco. Probabilmente le ha detto che io l’ho abbandonata. Lei non gli crede, però. Mina mi ama. Mi sarà fedele. Devo andare da lei...»

Si interruppe.

«E se lui è riuscito a sedurla? Mina è una mortale, dopo tutto», proseguì il dio, con la voce che gli si induriva. «Questa Mina una volta giurò di amare e seguire la regina Takhisis, solo per passare poi da lei a me. Forse Mina è passata da me a Nuitari. Forse entrambi complottano contro di me. Potrei ficcarmi in una trappola...»

Si voltò di scatto. «Krell!»

«Mio signore!» Il cavaliere della morte cercava disperatamente di tenere il passo delle divagazioni del dio.

«Tu dici che Zeboim ha recuperato il pezzo del khas contenente l’anima di suo figlio?» domandò Chemosh.

«Non è stata colpa mia!» si affrettò a dire Krell. «C’erano un kender e un insetto gigantesco...»

«Smettila di piagnucolare! Una volta tanto hai fatto qualcosa di giusto. Ti manderò a fare una commissione.»

A Krell non piaceva il sorriso malizioso del dio.

«Quale commissione sarà mai, mio signore?» domandò guardingo il cavaliere della morte. «Dove devo andare?»

«Da Zeboim...»

Krell sferragliando cadde in ginocchio. «Potete anche darmi subito il colpo di grazia, mio signore Chemosh, e farla finita con tutto.»

«Su, su, Krell», disse Chemosh con tono tranquillizzante. All’improvviso si ritrovò di ottimo umore. «La dea del mare sarà lieta di vederti. Le recherai notizie gradite... purché lei ti consenta di vivere abbastanza a lungo per riferirle...»

2

Il nano e il mezzelfo erano intenti a scrutare nella bacinella di metallo dei draghi, ridacchiavano entrambi alla vista dei lamenti di Chemosh per la sua innamorata «morta» e si burlavano del Signore della Morte, facendosi beffe di lui come ormai facevano da molti giorni, quando le cose presero ad andare terribilmente storte.

«Ha capito il nostro gioco!» disse il nano, allarmato.

«No, non è vero», rispose il mezzelfo, schernendolo.

«Ti dico che se n’è accorto!» gridò il nano. «Guarda lì! Ha una spada! Concludi l’incantesimo, Caele! Svelto!»

«Non siamo in pericolo, Basalt, codardo», disse Caele, arricciando il labbro. «Che cosa credi? Che lui salti attraverso il tempo e lo spazio e ci tagli via gli orecchi?»

«Come fai a sapere che non può?» ruggì Basalt. «È un dio! Concludi e basta!»

Caele diede un’occhiata al volto del dio (livido di rabbia, con gli occhi ardenti come i fuochi eterni dell’Abisso) e dedusse che forse il suo collega arcimago aveva ragione. Il mezzelfo pose entrambe le mani sulla pesante bacinella di metallo dei draghi, puntò i piedi e spinse la bacinella giù dal piedistallo, rovesciandone a terra il contenuto. Il sangue schizzò sui piedi nudi di Caele e spruzzò la veste nera del nano.

Il dio e la sua spada svanirono.

Basalt si deterse il viso con la manica nera. «C’è andato vicino!»

«Ancora non credo che potesse fare qualcosa a noi», mormorò Caele. «Non abbiamo osato rischiare.»

Caele ripensò però alla spada enorme che il dio brandiva, e fu costretto a concordare col nano. Lui e Basalt rimasero in silenzio a fissare malinconicamente la bacinella di metallo dei draghi vuota e la pozza di sangue. Entrambi stavano pensando a un altro dio che si sarebbe incollerito, un dio molto più vicino a loro.

«Non è stata colpa nostra», mormorò Caele, mordendosi le unghie. «Dobbiamo dirlo con chiarezza.»

«Era solo questione di tempo perché Chemosh scoprisse l’inganno», concordò Basalt.

«Sono sorpreso che sia durato tanto a lungo», soggiunse Caele. «Lui è un dio, dopo tutto. Bada di rammentarlo al padrone quando gli racconterai che cosa è successo...»

«Quando glielo racconterò io!?» Basalt lo guardò torvo.

«Sì, certo, devi dirglielo tu», affermò con freddezza il mezzelfo. «Sei tu il Custode, dopo tutto. Sei tu che comandi. Io sono soltanto il tuo sottoposto. Diglielo tu al padrone.»

«Io sono il Custode della Torre. Eri tu quello incaricato di creare l’incantesimo dell’illusione. Per quanto ne so, è stata colpa tua se Chemosh se n’è accorto! Forse hai commesso un errore...»

Caele smise di mordersi le unghie. Le lunghe dita sottili si arricciarono ad artiglio. «Forse se tu non ti fossi fatto prendere dal panico e non mi avessi ordinato di concludere prematuramente l’incantesimo...»

«Concludere l’incantesimo! Di che parli?»

Quella voce severa giunse da dietro le loro spalle. I due maghi delle Vesti Nere si scambiarono occhiate allarmate e poi, facendosi piccoli per la paura, si girarono per affrontare il loro padrone, Nuitari, Dio della Luna Nera.

Entrambi i maghi si inchinarono profondamente. Entrambi indossavano una veste nera, simbolo della loro dedizione a Nuitari. A parte questo, le somiglianze fra loro finivano qui. Caele era alto e magro, coi capelli radi e untuosi, che raramente si preoccupava di lavare. Era mezzo umano e mezzo elfo, e univa in sé l’odio per entrambe le razze. Basalt, il nano, era basso di statura e tarchiato. La sua veste nera era linda e pulita, la barba pettinata. A lui non piaceva granché nessuno di nessuna razza.

Drizzandosi, i due cercarono di apparire a proprio agio, come completamente ignari del fatto di trovarsi su un pavimento inondato di sangue di drago, con la bacinella di metallo dei draghi rovesciata e traballante ai loro piedi.

Caele, più alto, guardò giù oltre il proprio lungo naso verso Basalt, il quale osservò Caele con occhio furioso da sotto le folte sopracciglia nere.

«Diglielo», disse Caele col solo movimento delle labbra.

«Diglielo tu», ringhiò Basalt.

«Qualcuno farà meglio a dirmelo, e subito», sibilò Nuitari.

«Chemosh ha scoperto l’illusione», disse Basalt, cercando di incrociare lo sguardo tenebroso e inflessibile del dio, e trovando difficoltà.

«Stava arrivando dritto contro di noi», piagnucolò Caele, «brandendo una spada enorme. Io ho detto a Basalt che il dio non poteva farci del male, ma il nano si è fatto prendere dal panico e ha insistito perché si concludesse l’incantesimo...».

«Io non ho insistito perché tu rovesciassi la bacinella», sbottò Basalt.

«Eri tu quello che ululava come un dragone alato ferito...»

«Tu eri spaventato quanto me!»

Nuitari fece un gesto repentino con le mani.

Basalt, tremante, domandò a bassa voce: «Padrone, Chemosh verrà a liberarla?».

Non c’era bisogno di nominare colei a cui si riferiva il nano.

«Forse», disse Nuitari, «a meno che il Signore della Morte non sia più saggio che ossessionato».

Caele diede un’occhiata di traverso a Basalt, che alzò le spalle.

Il volto a luna piena del dio, con gli occhi privi di palpebre e la bocca dalle labbra carnose, non aveva alcuna espressione. I maghi non sapevano dire se lui fosse soddisfatto o dispiaciuto, sorpreso o allarmato, o semplicemente annoiato dell’intera vicenda.

«Ripulite questo disastro» fu tutto quanto disse Nuitari prima di girare sui talloni e uscire.