Ben presto gli oggetti sacri a ogni dio del pantheon, con l’eccezione di Paladine, furono rinchiusi in quella che un tempo era stata la Torre dell’Alta Magia di Istar ma che adesso era chiamata Solio Febalas, Sala del Sacrilegio. Si sussurrava che i sacerdoti di Paladine incominciassero a sentirsi nervosi e che più di qualcuno fosse stato visto rinchiudere nei depositi le reliquie sacre al dio. Ma nemmeno queste erano al sicuro.
Quando il Cataclisma colpì Istar, la Sala del Sacrilegio fu distrutta nell’incendio causato dall’ira degli dèi. Gli dèi erano sicuri che gli oggetti sacri fossero stati distrutti nella conflagrazione. Volevano che i mortali per un po’ vivessero con i propri mezzi.
Nessuno più di Nuitari era rimasto sorpreso nello scoprire intatti gli oggetti sacri. La sua idea era stata di rivendicare per sé la Torre. Trovare quegli oggetti era stato un colpo di fortuna. Nuitari sapeva di non poter mantenere per sempre un segreto tanto importante. Era solo questione di tempo perché gli altri dèi scoprissero la verità e arrivassero da lui a esigere la restituzione degli oggetti sacri. Questi ultimi erano in un luogo sicuro, protetti sia da potenti incantesimi magici sia da Midori, un antico e irascibile drago marino. Simili protezioni avrebbero tenuto lontani i mortali; non avrebbero fermato un dio.
Nuitari non doveva preoccuparsi di questo.
Gli dèi avrebbero fermato gli dèi.
Ciascun dio avrebbe desiderato i propri oggetti sacri, naturalmente. Ciascun dio, pur prendendosi i propri oggetti, avrebbe anche desiderato far sì che gli altri dèi non prendessero i loro.
Per esempio, Mishakal non avrebbe voluto che Sargonnas, attualmente il più potente dio delle tenebre, riguadagnasse i suoi oggetti sacri. La dea avrebbe cercato alleati nel tentativo di impedirglielo; alleati improbabili, come Chemosh, il quale avrebbe parteggiato in questo per Mishakal, poiché il Signore della Morte era impegnato in una lotta di potere con Sargonnas e non avrebbe voluto che il Dio dalle Corna divenisse più forte di quanto già era. Poi vi era Gilean, Dio della Bilancia, il quale poteva ben opporsi agli dèi sia della luce sia delle tenebre, per timore che la restituzione di tali oggetti sacri a qualche dio sconvolgesse un equilibrio già vacillante.
La furia sacra si sarebbe veramente scatenata quando gli dèi avessero scoperto che Nuitari era in possesso degli oggetti sacri di Takhisis, la defunta Regina delle Tenebre, e di quelli del dio in esilio volontario, Paladine. Anche se i loro creatori non c’erano più, gli oggetti rimanevano, così come la loro potenza sacra, che poteva essere enormemente utile a qualunque dio o mortale se ne impadronisse. Le dispute su questi soli oggetti potevano ben durare dei secoli.
Frattanto il progetto di Nuitari era di andare in giro per il cielo a stringere patti segreti, consegnando nascostamente un oggetto sacro qui e un altro là, approfittando della contrapposizione fra un dio e l’altro e rafforzando così la propria posizione.
Anche se Nuitari aveva odiato Takhisis e aveva fatto del suo meglio per opporsi a lei in tutto quanto la dea avesse mai fatto, era simile a sua madre sotto un aspetto: aveva la stessa tenebrosa ambizione.
A opporsi a tale ambizione erano i due cugini di Nuitari, Lunitari e Solinari. Le divinità della magia bianca e della magia rossa non avrebbero dato un soldo bucato per gli oggetti sacri. Il Re-Sacerdote, diffidando dei maghi e della loro magia, non aveva tenuto oggetti appartenenti a maghi. Quegli oggetti magici che furono ritrovati (e ve n’erano pochi, dato che i maghi li avevano nascosti quasi tutti) furono immediatamente distrutti. I cugini di Nuitari sarebbero stati furiosi quando fossero venuti a sapere che lui se n’era andato a costruire la sua Torre. Sarebbero stati furiosi... ma anche costernati, addolorati. Fin dall’inizio dei tempi, gli dèi delle tre lune erano rimasti assieme e uniti per salvaguardare ciò che per loro era particolarmente prezioso: la magia.
I tre cugini non avevano mai avuto segreti l’uno per gli altri. Finora.
Nuitari si sentiva in colpa per avere infranto la fiducia dei cugini, ma non tanto in colpa. Fin da quando sua madre, Takhisis, l’aveva tradito sottraendo il mondo (il suo mondo!), lui aveva deciso che da allora in poi non si sarebbe più fidato di nessuno. Inoltre aveva escogitato un metodo per rappacificarsi con i cugini. Niente sarebbe più stato come prima fra loro, naturalmente. Ma d’altronde niente sarebbe più stato come prima per nessun dio. Il mondo, così come il cielo, era cambiato per sempre.
Nuitari si domandava che cosa stesse architettando Chemosh, e questo ricondusse i pensieri del dio a Mina. Nuitari veniva qui spesso. Non per interrogare Mina. Questo lo facevano le sue Vesti Nere, e avevano scoperto ben poco. Nuitari si accontentava di osservarla. Adesso, d’impulso (e pensando inoltre che Chemosh potesse ancora sorprenderlo), Nuitari decise di interrogare personalmente Mina.
L’aveva trasferita dalla cella di cristallo in cui l’aveva imprigionata inizialmente. La vista di lei che vagava qua e là si era rivelata una distrazione eccessiva per i suoi maghi. Nuitari l’aveva avvolta in un bozzolo magico di isolamento, in modo che non potesse comunicare con nessuno in nessun luogo, e l’aveva trasferita in un appartamento previsto come alloggio per gli arcimaghi delle Vesti Nere destinati a popolare la Torre sotto il Mare di Sangue.
Mina era alloggiata in un appartamento destinato a un mago di alto rango. Si componeva di due stanze, un salotto e uno studio, dove dal pavimento fino al soffitto erano allineati scaffali di libri, e di una camera da letto privata.
Mina percorreva a grandi passi il suo alloggio come un minotauro in gabbia, camminava per tutta la lunghezza del salotto, passava da lì alla camera da letto e poi ripercorreva i propri passi verso il salotto. I maghi riferivano che talvolta Mina camminava così per ore, camminava e camminava fino a sfinirsi. Non faceva nient’altro che camminare, malgrado il fatto che Nuitari le avesse fornito libri su una varietà di argomenti, che andavano dalla dottrina religiosa alla poesia, dalla filosofia alla matematica. Mina non apriva mai neanche un libro, riferivano i maghi, per lo meno non se ne erano accorti.
Nuitari aveva fornito altre forme di divertimento. Su un piedistallo in un angolo vi era un tabellone per il khas. I pezzi erano coperti di polvere. Mina non li aveva mai toccati. Mangiava poco, quello che bastava appena per darle la forza di camminare. Nuitari era contento di non essere andato incontro alla spesa di mettere giù un tappeto. Mina vi avrebbe scavato un buco.
Il Dio della Magia Nera avrebbe potuto attraversare le pareti dissolvendosi, se avesse voluto, per coglierla di sorpresa. Decise di non voler iniziare il loro rapporto in maniera tanto antagonistica e allora, rimuovendo dalla porta il potente lucchetto magico, bussò ed educatamente chiese il permesso di entrare.
Mina non interruppe la sua camminata incessante. Se diede un’occhiata verso la porta, fu tutto qui. Divertito, Nuitari aprì la porta ed entrò nella stanza.
Mina non alzò lo sguardo. «Vattene e lasciami in pace. Ho risposto a tutte le tue domande sciocche a cui intendo rispondere, o meglio ancora, vai a dire al tuo padrone che voglio vederlo.»
«Ogni tuo desiderio è per me un ordine, Mina», disse Nuitari. «Il padrone è qui.»
Mina smise di camminare. Non si fece piccola per la paura né apparve minimamente sconcertata. Lo affrontò con aria audace, di sfida. «Lasciatemi andare!» pretese, e poi soggiunse inaspettatamente, con voce bassa e appassionata: «Oppure uccidetemi!».