«Ucciderti?» Nuitari consentì ai propri occhi dalle palpebre pesanti, che parevano sempre semichiusi, di spalancarsi. «Ti ho trattata così male che tu desideri la morte?»
«Non sopporto di restare rinchiusa!» gridò Mina, e il suo sguardo vagò per la stanza, come se volesse perforare con gli occhi la pietra massiccia.
Un attimo dopo Mina riguadagnò la padronanza di sé. Mordendosi il labbro e parendo pentirsi del proprio scatto, soggiunse: «Non avete nessun diritto di tenermi qui».
«Proprio nessun diritto», concordò Nuitari. «Ma d’altronde io sono un dio e con i mortali faccio quello che voglio, e all’inferno i vostri diritti. Però nemmeno io vado in giro ad assassinare gli innocenti, come fa Chemosh. Mi è giunta notizia dei suoi Prediletti, come li definisce lui.»
«Il mio signore non li assassina. Conferisce loro il dono della vita eterna», ribatté Mina, «della giovinezza e della bellezza perenni. Porta via la paura della morte».
«Questo glielo concedo. Fa davvero così», disse asciutto Nuitari. «Per come la capisco io, quando sei morto la paura di morire è notevolmente ridotta. Per lo meno è così che l’hai spiegata a Basalt e Caele quando hai cercato di sedurli.»
Mina sostenne lo sguardo del dio, cosa che Nuitari trovò sconcertante. Ben pochi mortali potevano guardare in faccia lui o qualunque altro dio. Si domandò, con un lampo di irritazione, se questa ragazzetta fosse stata tanto audace con sua madre.
«Io ho parlato loro di Chemosh», disse Mina, senza scusarsi. «Questo è vero.»
«Né Basalt né Caele hanno però accettato la tua offerta, vero?»
«Vero», ammise Mina. «Il rispetto e la riverenza che hanno per voi sono grandi.»
«Diciamo che amano la potenza che io conferisco loro. Quasi tutti i maghi amano la potenza e sarebbero assai contrariati nel perderla, perfino in cambio della "vita eterna" che, da quanto ho osservato, è piuttosto una morte riscaldata. Dubito che tu possa convertire molti maghi all’adorazione del tuo signore.»
«Ne dubito io stessa», disse Mina, e sorrise.
Il sorriso le trasformò il volto, fece ardere i suoi occhi d’ambra, e Nuitari fu attirato dal loro fascino ardente. In effetti si sentì come scivolare dentro quegli occhi, si sentì avvolgere dal loro calore...
Si riprese con un sobbalzo e guardò Mina con occhi socchiusi. Quale potenza possedeva questa mortale da poter sedurre un dio col proprio sorriso? Nuitari aveva visto femmine mortali ben più attraenti. Una delle sue Vesti Nere, una maga di nome Ladonna, era nota per la sua bellezza e di aspetto era ben superiore a questa Mina. Eppure in lei c’era qualcosa che anche adesso lo agitava profondamente.
«Vi prego di capire, mio signore. Dovevo cercare di convertirli. Era l’unico modo per fuggire.»
«Perché vuoi lasciarci, Mina?» disse Nuitari, fingendo risentimento. «Ti abbiamo trattata male in qualche modo? A parte rinchiuderti, naturalmente, e questo è per la tua stessa incolumità. Basalt e Caele sono entrambi, lo confesso, un po’ pazzi. Di Caele, specialmente, non ci si può fidare, per non dire del fatto che vi sono in giro rotoli e oggetti pericolosi che potrebbero farti del male. Io ho cercato di rendere il tuo soggiorno quanto più piacevole possibile. Hai tutti questi libri da leggere...»
Mina diede un’occhiata agli scaffali e fece un gesto sdegnoso. «Li ho già letti.»
«Tutti quanti?» Nuitari la guardò divertito. «Mi perdonerai se non ti credo.»
«Sceglietene uno», lo sfidò Mina.
Nuitari obbedì, prendendo un libro dallo scaffale.
«Com’è intitolato?» domandò lei.
«Draconici. Uno studio. Il bene può derivare dal male?»
«Apritelo alla prima pagina.»
Nuitari obbedì.
Mina prese a recitare: «"Da tempo gli studiosi sostengono che i draconici, essendo stati creati grazie a magia malvagia, nati da uova corrotte di draghi buoni, siano malvagi e destinati a rimanere sempre tali, senza poter possedere qualità in grado di redimerli. Tuttavia l’esame di un gruppo di draconici attualmente insediati nella città di Teyr rivela"...» Si interruppe. «Sto citando correttamente?»
«Parola per parola», disse Nuitari, e richiuse di scatto il libro.
«Ho letto molto quando ero bambina nella Cittadella», disse Mina, e poi si accigliò, «o per lo meno penso di sì. Non mi ricordo realmente di avere letto. Tutto ciò che ricordo è la luce del sole e le onde che mi scorrevano attorno ai piedi e Goldmoon che mi spazzolava i capelli... Eppure penso di avere trascorso moltissimo tempo a leggere, poiché quando prendo in mano un libro scopro di averlo già letto».
«Scommetto che non hai letto questo qui.» Nuitari si fece materializzare in mano un volume. «Incantesimi di evocazione per le Vesti Bianche, livello avanzato.»
Mina alzò le spalle. «Perché dovrei leggerlo? A me non interessa la magia.»
«Accontentami», disse Nuitari. «Leggi il primo capitolo. Se mi fai questo favore, io ti darò il permesso di uscire dalla tua stanza per un’ora ogni giorno. Potrai percorrere le sale e i corridoi della Torre. Sotto sorveglianza, naturalmente. Per la tua stessa incolumità.»
Mina lo scrutò, come domandandosi a che gioco stesse giocando. Tese la mano.
Nuitari non sapeva bene che cosa si aspettasse di ricavare da questo esperimento: forse nulla più del piacere di umiliare questa giovane mortale, che nel complesso era troppo arrogante e audace, per i suoi gusti.
«Ti avverto», disse, consegnandole il libro, «questo ha su di sé un incantesimo...».
«Che genere di incantesimo?» domandò Mina. Prese il libro dalle mani di lui e l’aprì.
«Un incantesimo di protezione», rispose Nuitari, osservando meravigliato.
Rammentava quando Caele aveva preso in mano quel libro. L’autore, un mago delle Vesti Bianche, vi aveva posto sopra un incantesimo di protezione, affinché soltanto i maghi delle Vesti Bianche potessero usarne gli incantesimi. Caele, delle Vesti Nere, aveva lasciato cadere il libro con un’imprecazione e aveva trascorso gli istanti successivi a torcersi le dita scottate e a imprecare. Aveva tenuto il broncio per un giorno e mezzo per via di quell’episodio e si era rifiutato di tornare ad aiutare Basalt a disfare i pacchi.
Una discepola di Chemosh certamente non poteva maneggiare quel libro senza una punizione.
Mina passò le mani sulla rilegatura in pelle morbida. Percorse con le dita il titolo stampato in oro sulla copertina.
Nuitari si domandò se l’incantesimo di protezione si fosse logorato.
Mina aprì il libro, esaminò la prima pagina.
«Voi volete che io legga questa roba?» domandò, scettica.
«Se ti aggrada», disse Nuitari.
Alzando le spalle, Mina incominciò a leggere.
Nuitari era stupito, e non si ricordava l’ultima volta in cui un mortale l’avesse stupito. Mina leggeva le parole del linguaggio della magia, una prodezza che soltanto un mago addestrato poteva eseguire.
La sua pronuncia delle parole dell’incantesimo era impeccabile. Anche dopo ore di studio, i maghi delle Vesti Bianche avrebbero incespicato in questo incantesimo, ed ecco qui Mina, discepola di Chemosh, senza neanche un grammo di magia lunare nelle ossa, che lo leggeva perfettamente la prima volta. Quelle parole filiformi avrebbero dovuto ostruirle la bocca, le si sarebbero dovute conficcare in gola, bruciandole la lingua. Nell’ascoltarla sciorinare le parole con voce monotona e annoiata, Nuitari la osservava con stupore.
Nuitari avrebbe potuto dedurre che Mina fosse una maga mascherata, se non fosse stato per una cosa.
Mina leggeva l’incantesimo in maniera impeccabile ma senza neanche capirlo.
Così poteva leggere una poesia d’amore degli elfi uno studioso umano della lingua elfica. L’essere umano poteva conoscere e capire e saper pronunciare le parole, ma soltanto un elfo poteva assegnare alle parole le delicate sfumature di significato intese dall’elfo autore. Soltanto un mago poteva conferire a queste parole la vita necessaria per creare l’incantesimo. Mina sapeva che cosa stava dicendo. Però non le importava. Recitare l’incantesimo per lei era un esercizio, niente più.