La madre di Nuitari, Takhisis, aveva forse insegnato a Mina la magia?
Nuitari ci pensò su e respinse questa ipotesi.
Takhisis detestava la magia, ne diffidava. Sarebbe stata ben soddisfatta di un mondo che non avesse avuto in sé magia, poiché lei considerava la magia una minaccia ai suoi poteri. Takhisis non aveva insegnato la magia a Mina, e lei certamente non poteva avere imparato a leggere il linguaggio della magia dai mistici della Cittadella della Luce. E nemmeno da Chemosh.
Strano. Molto strano.
Mina si interruppe a metà frase, alzando gli occhi su di lui. «Volete che continui? Il resto è sempre uguale.»
«No, basta così», disse Nuitari. Le prese il libro dalle mani.
«Ho vinto la scommessa. Ho un’ora di libertà.» Mina si diresse verso la porta.
«Tutto a tempo debito», disse Nuitari, fermandola. «Non ho nessuno che possa farti da scorta. Basalt sta ripulendo il sangue versato e, come ho detto, troveresti Caele un accompagnatore pericoloso. Temo che dovrai sopportare me ancora per un po’.»
Nuitari decise di tentare con Mina un altro esperimento: una stranezza che le sue Vesti Nere avevano osservato in lei. Segretamente lanciò un incantesimo contro di lei. Era un semplice incantesimo del sonno, uno dei primi appresi dai maghi novizi. Nuitari avrebbe potuto crearlo in un batter d’occhio, ma non voleva che Mina avesse qualche sospetto di subire una magia. Filo dopo filo, ritorse avanti e indietro, avanti e indietro la trama della magia, tessendo l’incantesimo sopra di lei e attorno a lei, cosicché la magia ricoprì Mina come una coperta calda. Per tutto il tempo la tenne impegnata in una conversazione oziosa, in modo che non notasse ciò che lui stava facendo.
«Tu non sai niente della tua infanzia», le disse, mentre operava la sua magia. «Stando a quanto mi ha scritto Basalt, tu sei stata trovata all’età di otto anni a bordo di una nave abbandonata, portata dalle onde sulla costa dell’isola di Schallsea, presso la Cittadella della Luce. Tu non ricordi niente: né il tuo nome, né i tuoi genitori, né che cosa sia accaduto alla nave...»
«È vero», disse Mina, accigliandosi. Soggiunse con impazienza: «Non vedo che cosa c’entri questo con qualunque cosa».
«Fammi contento, mia cara. Sei stata adottata da Goldmoon, ex seguace di Mishakal, la quale era stata la prima a riportare nel mondo dopo il Cataclisma il culto dei veri dèi. Era stata lei a portare in questo mondo la potenza del cuore dopo la Quinta Era. Goldmoon era una donna buona, una donna devota. Si è interessata a te, ti ha amata come una figlia.»
Terminò il suo incantesimo del sonno e lo lanciò contro Mina. Nuitari osservò e attese.
Mina batté il piede per terra e guardò eloquentemente la porta chiusa. «Mi avete promesso un’ora di libertà», disse.
«Tutto a tempo debito. Da bambina, tu dimostravi curiosità verso molte cose», disse dolcemente Nuitari, mentre crescevano in lui la meraviglia e la perplessità. «Eri nota per fare domande. Eri particolarmente curiosa riguardo agli dèi. Perché se n’erano andati? Dov’erano andati? Goldmoon lamentava l’assenza degli dèi, e poiché tu le volevi bene volevi compiacerla. Le dicevi che saresti andata a cercare gli dèi per riportarli da lei... Ti sembra di avere sonno?»
Mina lo guardò con aria torva e accusatrice. «Non riesco a dormire, non certo in questa gabbia. Cammino così per metà della notte cercando di stancarmi...»
«Avresti dovuto dirmelo prima che soffrivi d’insonnia», disse Nuitari. «Io posso esserti d’aiuto.»
Allungò la mano nella magia, strappando all’etere alcuni petali di rosa. In quanto dio, non aveva bisogno di componenti di magia per eseguire questo incantesimo, ma i mortali ne rimanevano impressionati. «Creerò per te un incantesimo di sonno. Dovresti distenderti, per evitare di cadere e farti male.»
«Non osate eseguire la vostra schifosa magia su di me!» gridò rabbiosamente Mina, andando a grandi passi verso di lui. «Io non...»
Nuitari gettò in aria i petali di rosa, che caddero attorno a Mina mentre lui recitava le parole dell’incantesimo del sonno magico, lo stesso incantesimo che le aveva lanciato in precedenza.
Questa volta l’incantesimo funzionò. A Mina si chiusero gli occhi. Ondeggiò lì dov’era, poi crollò a terra. Al risveglio avrebbe avuto ginocchia e gomiti sbucciati e un bernoccolo in testa, ma d’altronde lui l’aveva avvertita di distendersi.
Nuitari si inginocchiò accanto a lei e la esaminò.
Secondo tutte le apparenze era profondamente addormentata, avvolta nell’incantesimo.
Le pizzicò il braccio, per vedere se fingesse.
Non si svegliò.
Nuitari si alzò in piedi. Diede ancora un’occhiata a Mina, poi uscì dalla stanza. Ripassò a mente la relazione di Basali.
Il soggetto, Mina, è resistente alla magia, aveva scritto Basalt, ma con questa riserva: è resistente alla magia solo se non sa che viene usata magia contro di lei! Basalt aveva sottolineato due volte questa frase. Se si lancia contro di lei un incantesimo a sua insaputa, la magia (anche quella più potente) non ha effetto su di lei. Se però le si dice preventivamente che si userà un incantesimo su di lei, Mina vi cade vittima immediatamente, senza neanche un tentativo di difendersi.
Basalt concludeva scrivendo: in diverse centinaia di anni di pratica della magia, io non ho mai visto prima d’ora un soggetto comportarsi così, e questo vale anche per il mio collega mago.
Nuitari si fermò fuori della stanza di Caele. Sbirciando attraverso le pareti, il dio vide Caele disteso scompostamente sul letto, mentre si concedeva un pisolino pomeridiano. Nuitari bussò alla porta e con voce perentoria chiamò per nome il mezzelfo. Osservò, divertito, Caele destarsi di colpo.
Soffocando uno sbadiglio, Caele aprì la porta. «Padrone», disse. «Stavo studiando i miei incantesimi...»
«Allora devi averli incisi sul retro delle palpebre», disse Nuitari. «Ecco, renditi utile. Riporta questo libro in biblioteca per me.»
Gettò a Caele il libro degli incantesimi dalla rilegatura bianca del mago delle Vesti Bianche.
Istintivamente, Caele lo afferrò.
Dalla rilegatura bianca si sprigionarono scintille azzurre e gialle. Caele guaì e lasciò cadere a terra il libro degli incantesimi. Si ficcò in bocca le dita scottate.
Nuitari grugnì. Girando sui talloni, si allontanò.
Era tutto molto strano.
4
Chemosh si trovava sul parapetto merlato del suo castello in cima al dirupo, scrutando di malumore il Mare di Sangue e pensando a vari modi per vendicarsi di Nuitari, salvare Mina, rubare la Torre e procurarsi i preziosi oggetti sacri accatastati all’interno. Concepì e poi scartò diversi piani d’azione, e dopo una prolungata riflessione fu costretto ad ammettere che la prospettiva di raggiungere tutti questi obiettivi era probabilmente irrealizzabile. Nuitari era in gamba, maledizione a lui. Nell’eterna partita a khas giocata fra gli dèi, Nuitari aveva previsto e sventato ogni mossa di Chemosh.
Chemosh osservò le onde frangersi sulla costa contornata da scogli. Sotto quelle onde languiva Mina, intrappolata nella prigione di Nuitari. Chemosh ardeva di un feroce desiderio di discendere sul fondo del mare e marciare dentro e prelevarla. Scacciò quella tentazione. Chemosh non avrebbe dato a Nuitari la soddisfazione di burlarsi di lui. Gliel’avrebbe fatta pagare, a Nuitari, e si sarebbe ripreso Mina. Ancora doveva escogitare un modo per riuscirci. Nuitari aveva il dominio assoluto sulla vittoria.
Quasi. C’era sul tabellone un pezzo su cui nessuno aveva dominio. Un pezzo che poteva assegnare la vittoria a Chemosh.
Chemosh stava pensando a questo o quel piano d’azione quando notò un’onda, più grande delle altre, sollevarsi e spostarsi rapidamente verso riva.
«Krell», disse al cavaliere della morte, che si muoveva furtivamente tenendosi ossequioso al servizio del suo signore, «Zeboim viene a rendermi visita».