«Sono tornato a casa per stare con te, amore mio», disse Timothy. La cinse con le braccia e la baciò. «Vieni a letto, moglie.»
«Tim!» Gerta ridacchiò e cercò con poca convinzione di respingerlo. «È ancora chiaro!»
«Che importa?» Lui la baciava, la toccava, e la sentì sciogliersi tra le sue braccia.
Gerta oppose un’ultima fievole protesta: «Il bambino...».
«Dorme. Vieni.» Timothy trascinò la moglie sul letto. «Lascia che ti dimostri il mio amore!»
«Lo so che mi ami», disse Gerta e si rannicchiò accanto a lui, cominciando a rispondere ai suoi baci.
Gerta prese a slacciargli la tunica, ma lui le afferrò le mani e gliele strinse.
«C’è una cosa che devi fare per dimostrare che mi ami, moglie. Ultimamente sono diventato un seguace del dio Chemosh. Voglio che tu condivida la gioia che io ho scoperto nel seguire questo dio.»
«Ma certo, marito mio, se è questo che vuoi», disse Gerta. «Ma io non so niente degli dèi. Che razza di dio è questo Chemosh?»
«Il dio della vita eterna», disse Timothy. «Vuoi prometterti a lui?»
«Farò qualunque cosa per te, marito mio.»
Timothy aprì la bocca per dire qualcosa, poi si fermò. Gerta percepì in lui una qualche lotta interiore. Il volto di Timothy si contorse per il dolore.
«Che ti succede?» domandò Gerta, allarmata.
«Niente!» ansimò lui. «Un crampo al piede. Tutto qui. Pronuncia le parole: "Io mi offro a Chemosh".»
Gerta ripeté le parole e soggiunse: «Ti amo».
Allora Timothy disse qualcosa di molto strano mentre si chinava e premeva le labbra sul seno sinistro di lei, sopra il cuore.
«Perdonami...»
1
Sotto gli occhi sbalorditi di Ausric Krell, cavaliere della morte, il pezzo del khas con la forma di un kender bianco sfrecciò sul tabellone, balzò tutto piegato in avanti contro il pezzo del khas con la forma di un cavaliere nero di Ausric e lottò a corpo a corpo con quest’ultimo. Entrambi i pezzi caddero dal tabellone e presero a rotolare qua e là sul pavimento.
«Ehi! Questo è contro le regole», fu il primo pensiero risentito di Krell.
Il secondo e più stupefatto pensiero fu: «Non ho mai visto prima d’ora un pezzo del khas fare così».
Il terzo pensiero fu accompagnato da un barlume di rivelazione: «Questo non è un pezzo del khas normale».
Il quarto pensiero fu profondamente sospettoso: «Qui sta succedendo qualcosa di strano».
I suoi pensieri successivi furono confusi, indubbiamente a causa del fatto che Ausric era impegnato in una battaglia per salvare la propria vita di morto vivente contro un’orribile mantide gigante.
Krell aveva sempre detestato gli insetti, e questa particolare mantide era davvero terrificante, poiché era alta tre metri e aveva occhi tondeggianti, una corazza verde e sei enormi zampe verdi, due delle quali afferrarono Krell mentre le mandibole gli stringevano lo spirito che si faceva piccolo per la paura, e incominciavano a masticargli il cervello.
Dopo un momento orripilante Krell si rese conto che questo non era un insetto normale. Da qualche parte in tutto questo era mescolato un dio, un dio a cui lui non piaceva granché. Non era niente di straordinario. Krell durante la sua vita era riuscito a offendere diversi dèi, compresa la defunta e non compianta Takhisis, Regina delle Tenebre, e la sua figlia caotica e vendicativa, la dea del mare Zeboim, la quale si era risentita quando aveva scoperto che Krell era responsabile del tradimento e dell’assassinio dell’amato figlio della dea, Lord Ariakan.
Zeboim aveva catturato Krell e l’aveva ucciso lentamente, facendo le cose con calma. Quando alla fine nel corpo straziato di Krell non rimase più alcuna scintilla di vita, Zeboim l’aveva maledetto trasformandolo in un cavaliere della morte e imprigionandolo sull’isola sperduta ed esecranda chiamata Bastione della Tempesta, dove un tempo lui era stato al servizio dell’uomo che aveva tradito, e dove avrebbe ora vissuto la sua esistenza eterna con il ricordo del suo crimine sempre davanti agli occhi.
La punizione di Zeboim non aveva avuto precisamente l’effetto da lei sperato. Un altro famoso cavaliere della morte, Lord Soth, era stato una figura tragica, consumata dal rimorso e alla fine in grado di trovare la salvezza. A Krell, invece, piaceva abbastanza essere un cavaliere della morte. Aveva trovato nella morte ciò che gli era sempre piaciuto in vita: la capacità di angariare e tormentare quelli che erano più deboli di lui. In vita, quel guastafeste di Ariakan aveva impedito a Krell di indulgere nei suoi piaceri sadici. Adesso Krell era uno degli esseri più potenti di Krynn e ne approfittava con gioia.
La sola vista di Krell con l’armatura nera e l’elmo dalle corna d’ariete, dietro al quale ardevano gli occhi rossi da morto vivente, infondeva terrore nel cuore di quanti erano tanto sciocchi o intrepidi da avventurarsi sul Bastione della Tempesta alla ricerca del tesoro presumibilmente abbandonato dai cavalieri. Krell apprezzava enormemente questa compagnia. Costringeva le sue vittime a giocare a khas con lui, ravvivando il gioco con la loro tortura finché non soccombevano.
Zeboim era stata una seccatura, l’aveva tenuto prigioniero sul Bastione della Tempesta finché lui aveva attirato l’attenzione di Chemosh, Signore della Morte. Krell aveva stretto un patto con Chemosh e aveva guadagnato la libertà dal Bastione della Tempesta. Con Chemosh a proteggerlo, Krell aveva potuto perfino fare marameo a Zeboim, premendosi il naso imputridito.
Chemosh aveva in suo possesso l’anima di Lord Ariakan, amato figlio della dea del mare. L’anima era intrappolata in un pezzo del khas. Chemosh teneva in ostaggio quell’anima per garantirsi un «buon comportamento» da parte di Zeboim. Chemosh aveva dei progetti su una certa torre ubicata nel Mare di Sangue, e non voleva che la dea del mare si intromettesse.
Zeboim, furibonda, aveva inviato al Bastione della Tempesta un suo fedele (un certo monaco disgraziato) per salvare suo figlio. Krell aveva scoperto il monaco che curiosava in giro e, sempre felice di ricevere visite, aveva «invitato» il monaco a giocare a khas con lui.
Per essere giusti con Krell, lui non sapeva che il monaco fosse stato inviato dalla dea. Il pensiero che il monaco potesse essere lì per rubare il pezzo del khas contenente l’anima di Ariakan non si insinuò mai nel cervello di Krell, un cervello che dichiaratamente non era tanto grande già per cominciare e adesso era ulteriormente ostacolato dal fatto di essere racchiuso in un elmo d’acciaio ponderoso e temibile; un cervello su cui ora banchettava un insetto gigantesco, inviato da un dio.
Il dio appoggiava questo malefico monaco, un monaco che non aveva giocato lealmente. Primo, il monaco aveva portato con sé un pezzo del khas irregolare; secondo, quel pezzo del khas aveva compiuto una mossa illegale; terzo, il monaco, invece di contorcersi e gemere per il dolore dopo che Krell gli aveva spezzato diverse dita, aveva attaccato fisicamente il cavaliere della morte con un bastone che si era rivelato essere un dio.
Krell combatté contro la mantide accecato dal panico, portando pugni e calci e agitando le braccia contro l’insetto finché questo all’improvviso scomparve.
Il bastone del monaco era di nuovo un bastone, steso a terra. Krell era pronto a calpestarlo per ridurlo in frammenti quando gli venne un quinto pensiero.
Supponiamo che toccare il bastone lo faccia trasformare di nuovo in insetto?
Tenendo d’occhio guardingo il bastone, Krell compì un’ampia deviazione attorno a questo mentre valutava la situazione. Il monaco era scappato. Questo poteva aspettarselo. Krell l’avrebbe sistemato più tardi. Dopo tutto, non sarebbe andato da nessuna parte, non certo via da questo scoglio maledetto. La massiccia fortezza sorgeva in cima a dirupi scoscesi graffiati dalle onde sferzanti del mare turbolento. Krell raddrizzò il tabellone rovesciato dal monaco. Raccolse i pezzi, giusto per accertarsi che il prezioso pezzo del khas donatogli da Chemosh fosse al sicuro.
Non lo era.
Febbrilmente Krell sistemò tutti i pezzi sul tabellone del khas. Ne mancavano due, uno dei quali era il pezzo del khas contenente l’anima di Ariakan: il pezzo del khas che Chemosh aveva ordinato a Krell di custodire a prezzo della propria vita di morto vivente.