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Jenna lo osservò attentamente. Rhys notò come le linee sottili attorno agli occhi di lei avessero l’effetto di intensificare il suo sguardo, concentrandolo, come la luce del sole che brillasse attraverso un prisma.

«O voi non capite la natura grave di questa minaccia, fratello, oppure immaginate che non la capisca io», disse bruscamente Jenna. «Io non sono qui in quanto Jenna, amica di lunga data di Palin Majere. Io sono qui nella mia qualità di presidente del Conclave dei Maghi. Subito dopo il mio ritorno presenterò al Conclave una relazione completa, poiché dobbiamo decidere il modo migliore per affrontare questa crisi. Lo stesso vale per il nostro paladino devoto. Lui presenterà relazioni ai sacerdoti e ai chierici di tutti gli dèi della luce, così come alla riunione del Consiglio dei Cavalieri di Solamnia. Questa per noi non è un’escursione tra kender, fratello. Io e Dominique siamo venuti armati per la battaglia. Portiamo con noi le armi migliori che abbiamo a disposizione.»

«Chiedo scusa, Vostra Signoria», disse a bassa voce Rhys. «Non intendevo mancarvi di rispetto.»

Doveva esserne grato. Era quello che voleva, eppure adesso si sentiva fortemente imbarazzato. Da un lato, era soddisfatto perché almeno il mondo avrebbe saputo di questa minaccia. Dall’altro lato, la paura poteva condurre a inquisizioni, torture, persecuzioni di innocenti. Il rimedio poteva essere di gran lunga peggiore del male.

«Nel bene o nel male, la questione adesso non è più nelle vostre mani, fratello», disse Sua Signoria Jenna, indovinando i pensieri di lui. «Oh, no, così no, signore!»

Tirò via una manina, appartenente a Nightshade, che si stava avvicinando alla lanterna. «Guardate laggiù. Mi pare di vedere un poltergeist vagare attorno alla base di quella quercia.»

«Un poltergeist?» disse emozionato Nightshade. «Dove?»

«Laggiù», indicò Jenna. «No, più a sinistra.»

Nightshade corse via all’inseguimento, con Atta che lo tallonava con aria dubbiosa.

Jenna si rivolse di nuovo a Rhys. «Dovete promettermi di tenere quel kender lontano da me quanto umanamente possibile. A proposito, sa davvero parlare con i morti?»

«Sì, signora. L’ho visto io stesso.»

«Straordinario. Una volta o l’altra dovete portarmelo in visita a Palanthas. Ci sono diverse persone morte con cui io vorrei mettermi in contatto. Uno di loro aveva in suo possesso un libro di incantesimi che si ritiene scritto da mio padre, Justarius. Ho cercato di comprarlo da lui, ma quel vecchio sciocco ha detto che se lo sarebbe portato nella tomba piuttosto che vendermelo. A quanto pare ha fatto così, perché io dopo la sua morte gli ho perquisito la casa e non sono riuscita a trovarlo.»

Jenna guardò il cielo. «Lunitari sarà piena stanotte. Ottimo per gli incantesimi.» Fissò Rhys con i suoi occhi prismatici. Aveva l’espressione seria, il tono grave. «Io e il paladino affronteremo il Prediletto, fratello. Voi tenete d’occhio il nostro amico sceriffo.»

Parlando diede un’occhiata a Gerard. «Non bisogna consentirgli di interferire nel nostro operato. Se lo fa, io non sarò responsabile delle conseguenze. Adesso lasciatemi sola, fratello. Voglio ripassare ancora una volta i miei incantesimi.»

Chiuse gli occhi e giunse le mani in grembo.

«Nessuna traccia di poltergeist», disse Nightshade, di ritorno; pareva deluso.

Rhys condusse via il kender allontanandolo sia da Sua Signoria Jenna sia da Dominique, anche se il paladino non avrebbe notato nemmeno cento kender. Dominique era fra loro col corpo, non con lo spirito. Equipaggiato con un’armatura completa e un elmo d’acciaio, indossava la cotta d’arme contrassegnata dal simbolo di Kiri-Jolith. Era inginocchiato a terra, con la spada davanti a sé. Gli occhi gli brillavano di sacro fervore mentre lui mormorava le parole di una preghiera, chiedendo al suo dio di dargli forza nell’ora della prova imminente.

Il fresco vento serale scendeva dalle montagne, raccoglieva foglie secche e le mandava a percorrere la strada deserta sfiorandola e frusciando. Quello stesso vento fresco soffiava nel vuoto dell’anima di Rhys mentre lui guardava il cavaliere pregare.

«C’è stata un’epoca in cui io conoscevo una fede così», disse fra sé sottovoce.

Seguace di Zeboim, avrebbe dovuto invocare l’aiuto della sua dea nell’ora della prova. Non pensava però che la signora approvasse granché i suoi compagni, per cui non la infastidì. Il compito di Rhys, per come lo vedeva lui, era accertarsi che tutti ne venissero fuori relativamente illesi, compreso (per amore di Gerard) quell’essere disgraziato che era stato un giovanotto di buon cuore e amante del divertimento.

Gerard vagava inquieto sotto gli alberi, tenendo d’occhio la strada. Si teneva a una certa distanza dal resto del gruppo, rendendo evidente che non volesse compagnia. Rhys guardò indietro e vide Nightshade inerpicarsi di nuovo per andare a guardare la lanterna, e si affrettò a suggerire che lui, Atta e il kender giocassero a «sasso, tela, forbici.»

Nightshade aveva di recente insegnato ad Atta a praticare questo gioco che richiedeva a ciascun giocatore di scegliere in tre turni se essere «sasso» (pugno chiuso), «tela» (mano aperta) o «forbici» (due dita). Il vincitore veniva stabilito nel modo seguente: il sasso schiaccia le forbici; la tela avvolge il sasso; le forbici tagliano la tela.

Atta metteva la zampa sul ginocchio del kender, e Nightshade interpretava l’azione secondo quanto a suo parere intendesse la cagna, per cui a turno Atta poteva essere «tela» che avvolgeva il sasso o «forbici» che tagliavano la tela.

«Tutti sono così seri», osservò Nightshade. «Atta ha le forbici, Rhys. Tu hai la tela, per cui perdi. Io ho il sasso, Atta. Anche tu perdi. Mi dispiace. Forse la prossima volta vincerai tu.» Diede alla cagna una pacca per alleviarle i sentimenti feriti. «Ho visto riunioni più vivaci in cimitero. Davvero credi che siano in grado di ucciderlo?»

«Zitto, abbassa la voce», avvertì Rhys, dando un’occhiata a Gerard. «Noi abbiamo già combattuto contro i Prediletti. Che pensi delle loro possibilità?»

Nightshade rifletté. «So che la maga non considera granché le mie capacità magiche, e che il guerriero devoto guarda di traverso il tuo bastone. Se vuoi il mio parere, non credo che loro se la caveranno molto meglio. Atta! Hai vinto tu! La tela per asciugare i piatti ci batte tutti e due!»

Il sole era tramontato. Il cielo era illuminato da un giallo pallido che si fondeva con un azzurro tremolante, il quale si scuriva fino a un nero illuminato da stelle oltre le montagne. La luna rossa mandava un luccichio arancione nel riverbero del tramonto. La fiammella della lanterna di Jenna appariva molto più luminosa adesso che l’oscurità li circondava.

Jenna sedeva immobile, tenendo gli occhi chiusi e compiendo con le mani movimenti elaborati nel fare le prove degli incantesimi. Dominique aveva terminato le preghiere. Si alzò rigidamente dalla posizione inginocchiata e con riverenza rinfoderò la spada.

Il silenzio della notte fu rotto da Gerard.

«Cam sta arrivando quassù! Nightshade! Ho bisogno di te! Vieni con me. No, il cane resta qui.»

Nightshade balzò in piedi e partì con Gerard. Rhys si alzò. Con una parola e un colpetto sulla testa tenne Atta al proprio fianco.

Con l’espressione calma e concentrata, Sua Signoria Jenna si spostò da sotto i rami degli alberi verso una chiazza di luce lunare rossa. Sollevò il viso verso la luna e sorrise, come crogiolandosi sotto i raggi benedetti. Dominique la raggiunse e sussurrò qualcosa. Jenna annuì in silenzio per dirsi d’accordo. Infilando la mano in uno dei suoi borsellini, ne estrasse un oggetto e se lo tenne stretto in mano. Dominique si allontanò per prendere posizione a una certa distanza da lei, tenendola però in vista.

I due avevano elaborato segretamente la loro strategia, si rese conto Rhys, probabilmente senza curarsi di parlarne con Gerard.

Rhys strinse forte il suo emmide.

Gerard e Nightshade si trovavano assieme accanto al macigno.

«Eccolo lì», disse Gerard e mise la mano sulla spalla di Nightshade.