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«Chemosh!» gridò Caele, dibattendosi al di sotto di Mina, che gli era caduta addosso.

«No, è una voce di donna!» disse Basalt, col volto pallido e gli occhi spalancati. «Zeboim! Ha scoperto la Torre.» Gemette. «Proprio adesso il padrone doveva essere via!»

«Devi parlarle!» ansimò Caele, soggiungendo con un ringhio e una spinta: «Tirati via da me, vacca maldestra!».

Anche se Mina era snella, pesava più del mezzelfo pelle e ossa e gli ostacolava i tentativi di rimettersi in piedi. Aveva le gambe aggrovigliate alle sue; i piedi di lei lo facevano incespicare. Mina lo colpì con un gomito e gli ficcò un ginocchio nel ventre.

Lui cercava di strangolarla quando un’altra scossa investì la Torre e questa volta andò giù perfino il nano. Udirono un rumore di vetri infranti. Le assi di legno gemettero per la sollecitazione.

Caele si rese conto piuttosto tardivamente che questo sarebbe stato il momento ideale per uccidere Mina, e infilò la mano nella manica per prendere il coltello.

Non c’era.

Pensò inizialmente che gli fosse caduto, poi alzando lo sguardo Caele lo trovò.

Mina era in piedi sopra di lui, col coltello in mano.

Chinandosi, gli premette la punta della lama contro la gola.

«Se le tue labbra appena si contraggono, ti apro da un orecchio all’altro», disse. «Lo stesso vale per te, nano. Se pronunci un’unica parola di magia, il tuo compagno muore.»

Vedendo dall’espressione irresoluta di Basalt che forse il nano sarebbe stato disposto a rischiare una simile tragica perdita, Mina gridò: «Mio signore Chemosh, vi prego, tenete a bada questi due mentre io mi occupo della vostra questione».

Nella stanza comparvero due sarcofagi di pietra. Su un sarcofago era intagliata una raffigurazione di Basalt, con gli occhi chiusi e le mani ripiegate sul petto. L’altro sarcofago recava un’analoga rappresentazione di Caele.

«Entra», disse Mina, parlando a Basalt.

Il nano guardò il sarcofago e scrollò la testa incappucciata.

Caele in quel momento si contrasse, e Mina premette un po’ più in profondità la punta del coltello. Sul collo del mezzelfo scivolò giù un rigagnolo rosso, dopo di che lui rimase immobile.

«Ho detto: entra», disse Mina.

Vedendo che il nano non muoveva muscolo, alzò la voce: «Mio signore...».

Basalt si affrettò ad arrampicarsi dentro il sarcofago. Una lastra di pietra discese sulla bara, chiudendo dentro il nano.

«Tocca a te», disse Mina a Caele. Spostò la lama dalla gola alle costole e lo accompagnò all’altro sarcofago. Poiché lui esitava, Mina gli fendette la carne a sufficienza da persuaderlo a obbedire.

Caele si affrettò ad arrampicarsi all’interno, e discese su di lui una lastra di pietra.

«Sono morti, mio signore?» domandò Mina.

«No», rispose Chemosh, la cui voce risuonò al di sopra del rombo furioso della dea del mare. «Non ancora. Hanno aria sufficiente per respirare per breve tempo, se non si fanno prendere dal panico e non consumano tutta l’aria gridando.»

Gli ululati attutiti che provenivano dalla bara del mezzelfo cessarono di colpo.

«Adesso vai dove devi andare», le disse Chemosh.

«E Zeboim?»

«Non ti infastidirà. Cosa piuttosto strana, è qui per salvarti.»

Un altro tremito scosse la Torre, facendo barcollare Mina.

«E Nuitari?»

«Questioni familiari terranno occupato per un periodo considerevole il dio dalla faccia di luna. Sta cercando di sistemare le cose con i cugini. Al suo ritorno scoprirà di dovere molte spiegazioni a sua sorella. Per adesso la Torre del Mare di Sangue è tutta tua, Mina. Sei sola al suo interno.»

«A parte il guardiano. Mi serve un’arma, mio signore.»

«No, non ti serve, Mina», ribatté Chemosh. «Solo una delle dragonlance ti sarebbe d’aiuto contro questo guardiano, e purtroppo non ne ho nessuna a disposizione. Hai il tuo ingegno, Mina, e hai la mia benedizione. Usali entrambi.»

«Sì, mio signore», disse Mina, e rimase sola.

11

Mina trovò la lunga scala a chiocciola che percorreva l’interno della Torre e incominciò a scenderla. La scala era fatta di madreperla e ruotava a spirale, rammentando a Mina l’interno di una conchiglia di nautilo. Mina vedeva qua e là crepe sulle pareti, presumibilmente dovute alle scosse che la Torre subiva per mano della dea infuriata, e temeva che il prossimo tremito spaccasse le pareti. Fortunatamente le scosse che facevano tremare la Torre cessarono. Mina non riusciva a vedere fuori, ma immaginò che Nuitari fosse ritornato e stesse ora cercando di placare la furiosa sorella.

All’interno della Torre vi era silenzio. L’acqua marina che circondava la struttura sembrava aspirare via i suoni, per cui ogni rumore provocato all’interno risultava attenuato.

Il silenzio aveva un effetto calmante. Adesso che non era più prigioniera, Mina qui si sentiva a casa propria. Trovava confortante sapere che il mare la cullava. Forse questo suscitava qualche ricordo da tempo sepolto del naufragio che le aveva portato via i genitori e l’aveva lasciata orfana, un ricordo che era sempre presente, subito sotto la superficie. Un ricordo che lei non riusciva mai a rievocare del tutto.

«La nostra mente cancella simili eventi traumatici per proteggerci da questi», le aveva detto una volta Goldmoon. «Forse un giorno ricorderai ciò che ti è successo o forse non lo ricorderai mai. Non crucciarti per questo, bambina. È del tutto naturale.»

Mina si era crucciata. Si sentiva in colpa e provava vergogna per non avere alcun ricordo di quei genitori che l’avevano amata teneramente, forse perfino avevano sacrificato la vita per lei, e si sforzava di riportare alla mente i loro volti o il suono della voce di sua madre. Divenne ossessionata dallo sforzo di ricordare, un’ossessione che era terminata soltanto quando l’Unico Dio, Takhisis, l’aveva rimproverata di perdere tempo.

«Non importa chi ti ha dato alla luce!» le aveva detto Takhisis, fredda e furiosa. «Sono io tua madre. Sono io tuo padre. Vieni da me per avere protezione e soccorso e nutrimento.»

Mina aveva obbedito al comando così come aveva obbedito a tutti gli altri impartitile dall’Unico Dio. Non si era mai permessa di pensare più ai suoi genitori, finché non era stata imprigionata in questa Torre sotto il mare. Nella Torre aveva tanto tempo a disposizione, tempo per pensare, tempo per ricordare la propria infanzia. Le erano ritornate la frustrazione e la vergogna e l’esigenza di sapere. Mina aveva cura di tenere per sé la propria ossessione. Non voleva far incollerire Chemosh così come aveva fatto incollerire Takhisis.

La scala a chiocciola era illuminata da globuli magici di luce collocati a intervalli regolari e ravvivati quotidianamente da Basali. Le porte che si aprivano di fianco alle scale conducevano ai vari piani della Torre. Mina le guardò con curiosità. Le sarebbe piaciuto esplorare, vedere come fossero edificate le stanze e che aspetto avessero, poiché la Torre la affascinava.

Non ne aveva il tempo, però. «Lo rimanderò a un altro giorno», si disse, sorridendo a quel pensiero, poiché sapeva perfettamente che non aveva probabilità di rivedere mai più l’interno di questa Torre.

La scala finalmente la condusse alla base della Torre. Mina si imbatté in una porta di acciaio con listelli di bronzo e iscrizioni in rune. Erano state intagliate rune anche sull’arco di pietra attorno alla porta. Mina riconobbe in quelle rune il linguaggio della magia, lo stesso che aveva letto nel libro datole da Nuitari. Sapeva che cosa dicessero le rune; però non sapeva che cosa significassero.

Lasciando perdere le rune, Mina esaminò la porta, cercando qualche modo per entrare. La porta non aveva maniglia né serratura. Le rune probabilmente fornivano informazioni su come aprire la porta. Mina cercò di recitarle ad alta voce, invano. La porta non si smosse.

Frustrata, Mina diede un calcio alla porta.

La porta ruotò agevolmente e silenziosamente attorno a un perno centrale e si aprì.

«È troppo facile. È una trappola», mormorò Mina.