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Non entrò. Avvicinandosi alla soglia ad arco, la esaminò attentamente.

«Che idiota sono!» si rimproverò. «Se questa è una trappola, è magica, e io non la scoprirò comunque. Tanto vale provarci.»

Mina varcò la soglia e rimase piacevolmente sorpresa nel trovarsi a emergere incolume dall’altra parte. Rimase meno piacevolmente sorpresa nell’udire la porta ruotare e chiudersi di scatto alle sue spalle. Da questa parte della porta non vi erano rune. A quanto pareva, una volta dentro, bisognava conoscere il segreto di come tornare fuori.

Alzando le spalle, Mina si girò. Avrebbe affrontato questo problema quando fosse giunto il momento. Adesso aveva davanti a sé il suo compito. Un compito strabiliante. Si trovava davanti quella che pareva un’enorme vasca sferica per pesci.

Mina e gli altri bambini dell’orfanotrofio tenevano pesci in vaschette sferiche di vetro piene d’acqua. Ai bambini veniva insegnato a dare da mangiare ai pesci e a prendersi cura di loro. I bambini osservavano le loro abitudini e si meravigliavano di come quelle creature respirassero acqua con altrettanta facilità quanto le persone respiravano aria. Questo globo era simile a quelle vaschette per i pesci, con la differenza che era molto, ma molto più grande: aveva una circonferenza pari alla Torre stessa. Le pareti erano coperte di rune incise nel vetro. Raggi di sole illuminavano il globo e le creature che nuotavano all’interno.

«È bellissimo», disse sottovoce Mina, sgomenta. «Bellissimo e micidiale.»

Le aggraziate meduse, che andavano alla deriva alla mercé delle correnti turbinanti, uccidevano le loro prede pungendole con un veleno che paralizzava la vittima e le impediva di scappare. Queste meduse erano enormi, diverse volte più grandi di Mina, con tentacoli abbastanza lunghi da invischiare un uomo adulto.

Un calamaro gigante, tanto grande da trascinare una nave sotto le onde, era steso scompostamente sul fondo, con i tentacoli che fremevano nel sonno. Vari esemplari di pastinaca scivolavano lungo i lati di cristallo del globo. Mostruosi squali toro nuotavano qua e là, aprendo e chiudendo le fauci colme di denti affilati come rasoi. Il fondo era coperto di coralli urticanti, belli da vedere, ustionanti al contatto.

Al centro del globo, circondato da queste guardie micidiali, vi era il Solio Febalas.

Mina rimase a fissare, sbalordita. La Sala non era affatto ciò che lei si aspettava.

La struttura assomigliava al castello di sabbia di un bambino. Era di disegno semplice, con quattro mura, una torre su ciascun angolo e merlature sul parapetto. Non vi erano finestre. Mina vedeva, da questa angolazione, quella che pareva una porta, ma non riusciva a distinguerne i dettagli. La cosa davvero stupefacente era che la Sala del Sacrilegio, in cui si presumeva fosse contenuto un numero enorme di oggetti sacri, era alta appena un metro e venti centimetri circa e larga altrettanto.

«Deve essere un’illusione, uno scherzo dell’acqua», si disse Mina.

Passò la mano sulla superficie della parete di cristallo, con le rune incise, che le bloccava il passaggio.

«La domanda è: come faccio a raggiungerla? Mi trovo al di fuori di una parete di cristallo impenetrabile che racchiude acqua in cui nuotano centinaia di creature micidiali. Non ho idea di come entrare nel globo, e se ci riesco non posso respirare acqua, e anche se potessi dovrei combattere contro gli squali e queste creature marine e...»

Trattenne il fiato. Una grande barriera corallina che formava una collinetta all’interno del globo di cristallo ebbe un sobbalzo, facendo spostare migliaia di pesci, che si allontanarono in un panico di squame balenanti. Da sotto la barriera corallina emerse una testa, che ora si rivelò essere un guscio enorme, come quello di una testuggine.

Occhi gialli luccicanti la fissarono. Mina aveva trovato il guardiano: un drago marino.

Più esattamente, il drago marino aveva trovato Mina.

Il guardiano della Sala del Sacrilegio era una femmina di drago marino chiamata Midori. Solitaria, irascibile e irritabile, Midori era il più vecchio drago di Krynn, il che la rendeva la più vecchia creatura vivente del mondo.

Contava i suoi anni non in decenni bensì in secoli. Non sapeva esattamente quanto fosse vecchia. Aveva perso il conto attorno alla soglia dei dieci secoli. Il passare del tempo aveva per lei scarso significato. Midori contrassegnava la propria vita in base agli eventi importanti e per di più soltanto quegli eventi che l’avevano influenzata direttamente.

Uno di questi era il Cataclisma, poiché era stato decisamente una seccatura. La montagna infuocata che aveva colpito il mondo, causando migliaia di morti e distruggendo una città, aveva anche fatto crollare una parete della sua grotta marina, destandola rudemente da un pisolino di cinquant’anni. Le rocce erano ruzzolate giù, mezzo seppellendo lei e seppellendo interamente il tesoro da lei accumulato. Midori era riuscita a estrarre dalle macerie gran parte del tesoro, ma alcuni oggetti preziosi erano andati perduti in maniera irrecuperabile. Furiosa, Midori aveva abbandonato la sua tana in rovina e aveva nuotato nel mare aperto per scoprire che cosa fosse tutto quel chiasso.

Solitaria incallita, drago che non faceva segreto di disdegnare e disprezzare ogni altro essere del pianeta, Midori fu costretta ad andare a cercare altri del suo genere e addirittura intrattenere conversazioni con loro. La cosa non migliorò il suo umore.

Udì il racconto del Cataclisma da un giovane ed emozionato drago marino, il quale le narrò la storia dei Re-Sacerdoti umani e delle loro trasgressioni e della susseguente punizione da parte degli dèi. Midori ascoltò con ira crescente. Gli esseri umani erano come i pesci. Un momento qui, un momento là, e sempre molto più numerosi nel luogo da cui provenivano gli altri. Midori non vedeva motivo per cui gli dèi dovessero distruggere una tana così perfetta per una questione tanto insignificante. Fremente, Midori trasportò in un’altra tana ciò che restava del suo tesoro e tornò a dormire.

Dormì per tutta la Guerra delle Lance. l’Estate di Fiamma, la Guerra del Chaos, il furto del mondo e l’arrivo dei draghi dominatori, i quali non sospettarono mai della sua esistenza. Midori avrebbe continuato a dormire profondamente, se non fosse stato per un urlo orripilante che la ridestò di colpo e le fece aprire gli occhi per la prima volta da diversi secoli.

L’urlo era il grido di morte di Takhisis.

Midori non aveva mai avuto una grande opinione della Regina delle Tenebre. Alcuni draghi marini avevano preso parte alle guerre di Takhisis. Midori non era stata fra questi. La sua vita era preziosa per lei, e Midori non vedeva alcuna necessità di rischiarla per la causa di qualcun altro. Che Takhisis dominasse il mondo o no, per Midori faceva lo stesso. Ma ora, come il bambino che è scappato di casa da tempo ma è contento di sapere che la mamma è ancora lì in caso di bisogno, Midori si sentiva in lutto e perfino un po’ timorosa.

Se un destino tanto terribile poteva colpire un dio, nessuno (nemmeno un drago) era al sicuro.

Per la seconda volta nella sua vita, Midori uscì dalla sua tana e andò alla scoperta della verità. Nuotò lentamente e pesantemente nell’acqua, gravata non tanto dagli anni quanto dal peso del guscio enorme che aveva sul dorso. Mentre i draghi di terra hanno sul dorso protuberanze spinose e ali che consentono loro di volare, i draghi marini hanno un guscio enorme, come quello di una testuggine, e pinne al posto delle zampe munite di artigli. Il guscio aveva funzioni di difesa. Midori poteva ritrarvi dentro la testa e le zampe per sicurezza, ed era così che dormiva. Nel corso dei secoli, mentre lei dormiva, il guscio si era ricoperto di coralli e conchiglie, per cui nuotare con tale guscio era equivalente a raccogliere e spostare una barriera corallina.

Pensando che quest’ultima calamità avesse qualcosa a che vedere con Istar e quell’altro Cataclisma, Midori ritornò nel Mare di Sangue e lì si imbatté in Nuitari, impegnato a riedificare le rovine di una vecchia torre in sfacelo. Il dio rimase sbigottito e non fu particolarmente contento di vedere un drago marino, poiché non aveva idea che ce ne fosse uno nelle vicinanze e temeva che provocasse seccature.