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Adesso era vedova, indigente, con due bambini piccoli da mantenere. La sua vecchia governante le aveva insegnato ad appassionarsi al cucito, e Camille, mandando giù il proprio orgoglio, fu costretta ad andare a chiedere lavoro nelle case delle giovani donne ricche che un tempo erano state sue pari.

La cosa non le procurava molto denaro. Aveva ventun’anni, era sola, mezzo morta di fame e disperata. L’unica altra cosa che avesse da vendere era il proprio corpo, e stava affrontando l’orribile scelta fra darsi alla prostituzione o vedere morire di fame i propri figli, quando conobbe Lleu.

Con le sue maniere affascinanti e il suo bell’aspetto, Lleu sarebbe stato la risposta alle sue preghiere, a parte il fatto che Camille non pregava mai. Aveva sentito parlare degli dèi (qualche vago accenno al fatto che fossero ritornati dopo una lunga assenza) ma era più o meno tutto qui. Remoti e distanti, gli dèi non avevano nulla a che vedere con lei.

Lleu invece era la soluzione ai suoi problemi. Camille non amava Lleu. Era decisa a sposarlo, però. Lleu avrebbe mantenuto lei e i suoi figli, e in cambio Camille sarebbe stata per lui una buona moglie. L’idea che lui potesse ingannarla non le passò mai per la testa. Anche se l’aveva conosciuto soltanto da un paio di giorni, Lleu sembrava stravedere per lei e per i suoi figli. Quando venne a sapere dal monaco che Lleu aveva prenotato un posto su una nave, Camille percepì un colpo alla bocca dello stomaco e trovò facile convincersi che il monaco stesse mentendo.

Diede ai figli quella scarsa quantità di cibo che vi era in casa, restando lei senza mangiare. Mise a letto il neonato, quindi trascorse del tempo a parlare col figlio più grande, un bambino di quattro anni, promettendogli che presto avrebbe avuto un nuovo papà, che l’avrebbe amato teneramente, e che vi sarebbe stato molto da mangiare e vestiti caldi da indossare e una bella casa nuova dove avrebbero tutti vissuto assieme.

Il bambino si addormentò fra le sue braccia, e lei lo portò al pagliericcio nell’angolo di quell’abitazione con un’unica stanza, e lo coricò. Gli rimboccò attorno una coperta, quindi fece quello che poteva fare per rendersi carina. Si sedette sull’unica sedia traballante per aspettare Lleu.

Arrivò più tardi del previsto. Puzzava di liquore dei nani ma non pareva ubriaco. La salutò col suo solito sorriso affascinante e la baciò sulla guancia. Si chiuse la porta dietro le spalle e la sbarrò.

Lleu si mise al centro della stanza con le braccia tese. «Vieni da me, mia dolcissima», disse allegramente.

Camille si abbandonò al suo abbraccio. I baci di lui erano ardenti e appassionati. Quando le sue mani bollenti presero a esplorarle il corpo, Camille però si staccò da lui.

«Lleu, dobbiamo parlare. Mi hai promesso di sposarmi. Io ti amo tanto che non voglio aspettare. Promettimi che mi sposerai domani.»

«Ti sposerò, ma tu in cambio devi promettermi qualcos’altro», disse Lleu, ridendo.

«Mi sposerai?» gridò Camille, estatica. «Domani?»

«Domani, dopodomani, quando vuoi», disse Lleu con indifferenza.

«Che cosa vuoi da me?» domandò Camille, avvicinandosi a lui.

Pensava di conoscere la risposta ed era pronta a concedere il proprio corpo all’uomo che sarebbe diventato suo marito. La risposta di Lleu la colse di sorpresa.

«Io sono un seguace di Chemosh», disse lui. «Voglio che tu ti unisca a me nella sua adorazione. È tutto ciò che ti chiedo. Se lo fai, sarai mia moglie.»

«Chemosh?» ripeté Camille. Si ritrasse, stupita e imbarazzata. «Non mi hai mai detto niente prima d’ora di un dio chiamato Chemosh. Chi è?»

«Il Signore della Vita Eterna», rispose Lleu. «Tu non devi far altro che giurargli di essere al suo servizio, e in cambio lui ti concederà giovinezza eterna, bellezza eterna, vita eterna.»

Le sue parole sembravano artefatte, un discorso che lui avesse imparato a memoria e pronunciasse meccanicamente, come un cattivo attore in una brutta commedia. A Camille tornò in mente l’avvertimento del monaco.

«Su, su, Lleu. Le persone intelligenti non credono negli dèi», disse, con una risata forzata. «L’adorazione degli dèi è per i deboli di mente, per i superstiziosi.»

«Mia moglie deve credere nel mio dio, Camille», disse Lleu, e il suo sorriso affascinante non c’era più. «Se devo sposarti, tu devi giurare di seguire Chemosh. Lui ti ricompenserà con giovinezza eterna, bellezza...»

«Sì, me l’hai già detto», sbottò Camille. Prese tempo. «Quando sarò tua moglie, sarò contenta di conoscere Chemosh. Tu mi insegnerai.»

«Te lo insegnerò subito», disse Lleu, e si chinò su di lei strofinandole il viso sul collo, baciandola.

I suoi baci erano dolci, e lui le aveva promesso di sposarla. Che male ci sarebbe stato nel cedere alla sua sciocca richiesta? Giurare fedeltà a Chemosh. Avrebbe comunque soltanto pronunciato delle parole. Fece scivolare le mani dentro il colletto aperto di lui e vide, sotto le proprie dita, il marchio di labbra di donna impresso a fuoco nella carne.

Camille lo respinse.

Lo guardò, lo guardò negli occhi.

Lì non c’era niente. Niente amore. Niente desiderio. Niente vita. La paura la attanagliò, la fece contorcere interiormente.

«Vattene!» ordinò tremante Camille. «Vai via! Qualunque cosa tu sia! Esci da casa mia!»

«Non posso», ribatté Lleu, con voce aspra. «Mina non me lo permette. Il dolore è troppo intenso da sopportare. Tu devi giurare fedeltà a Chemosh. Lui ti donerà giovinezza eterna, bellezza eterna...»

Camille era intrappolata. Lleu si frapponeva tra lei e la porta, e anche se lei fosse riuscita a fuggire, non l’avrebbe lasciato solo con i suoi figli.

«Lleu, vai via, per favore vai», implorò.

«Vita eterna», disse Lleu. «Giovinezza eterna...»

Se avesse potuto raggiungere la porta, avrebbe potuto aprirla e gridare per chiamare aiuto.

Camille cercò di aggirarlo rapidamente. Lleu fu troppo rapido per lei. La afferrò per i polsi e la trascinò vicino a sé.

«Giura fedeltà a Chemosh!» le ordinò.

Le strinse i polsi, al punto che le articolazioni si incrinarono e Camille urlò di dolore. Lleu la gettò a terra e si scagliò sopra di lei, inchiodandola con le ginocchia. Le strappò la camicetta, scoprendole il seno, e si chinò per baciarla. Lei si dimenò sotto di lui, cercando di spingerlo via, ma lui aveva una forza incredibile.

«Mamma?» La voce tremante del bambino giunse da qualche parte dietro di lei.

«Jeremy!» ansimò Camille. «Per favore, Lleu, no. Non farmi del male... non sotto gli occhi di mio figlio...»

«Giura fedeltà a Chemosh!» disse di nuovo Lleu, con l’alito caldo sul viso di lei. Le strinse le braccia con una forza schiacciante. «Altrimenti uccido il tuo moccioso.»

«Giurerò!» gemette Camille. «Non far del male a mio figlio.»

«Dillo!»

Il dolore e la paura erano troppo da sopportare per Camille.

«Giuro con la mia anima...»

Vi fu un colpo alla porta. Un cane abbaiava ferocemente.

Una voce urlò: «Signora, sono il fratello Rhys Mason. State bene?».

«Aiuto, fratello!» urlò Camille, a cui la speranza diede rinnovata energia. «Aiuto!»

«Abbattetela!» ordinò il monaco, e vi fu uno scalpiccio di passi e un tonfo fragoroso. La porta di legnò tremò.

Lleu era ancora a cavalcioni sopra di lei, le faceva ancora male. Sembrava ignaro di quel fracasso.

«Giura!» Aveva la bava alla bocca. La saliva gocciolava su Camille.

«Ancora una volta dovrebbe bastare!» disse il monaco.

Di nuovo il tonfo, e questa volta la porta si spaccò.

Il monaco e un kender ruzzolarono all’interno. Il monaco balzò su Lleu, ma il bambino, Jeremy, fu il primo a raggiungerlo.

«Smettila di far male alla mia mamma!» gridò il bambino, e colpì Lleu col suo pugnetto.

Lleu emise uno strillo spaventoso. La sua carne si annerì e avvizzì. I globi oculari si seccarono e caddero dalle orbite. Le labbra si ritrassero dai denti creando una smorfia sorridente. Le mani che stringevano Camille erano le mani imputridite di un cadavere. Il nauseante fetore della morte riempì la piccola stanza, ma Lleu non moriva. Il suo cadavere continuava a stringere la donna. Il cranio la guardava con occhi lascivi. La bocca continuava a muoversi.