«È tutto finito», disse. «Lleu non c’è più.»
Rhys non provava tristezza per la morte di suo fratello. Suo fratello era morto molto tempo prima. Questo essere non era Lleu, anche se lui ancora lo chiamava così.
«Sì, Rhys», disse Nightshade. Non gli piaceva l’aria che aveva il suo amico (sembrava perso e stordito) e il kender gli stringeva forte la mano.
Rhys guardò in su e in giù lungo la strada e si rese conto all’improvviso che questa strada e tutte le strade non erano più dei percorsi verso la disperazione desolante. Conducevano tutte verso un unico luogo. Come aveva detto Nightshade, conducevano a casa. Rhys strinse più forte il bastone. Desiderava ardentemente tornare a casa, ma non era pronto per essere accolto lì. Non poteva presentarsi sulla soglia con vesti sudice e scolorite, macchiate dal sangue di innocenti e dalla cenere nera della morte. Doveva rinunciare al mondo, purificare il proprio corpo, purificare la propria anima. Nudo come un bebè, rimproverato e umiliato, si sarebbe presentato davanti al suo dio e avrebbe implorato il suo perdono. Quindi sarebbe tornato a casa.
«Grazie, Nightshade», disse Rhys. Chinandosi, baciò il kender sulla fronte. «Sei un vero amico.»
Nightshade si passò la mano sugli occhi e tirò su col naso nascondendosi nella manica.
Stringendo forte il bastone, Rhys perlustrò con gli occhi la strada. Si era radunata una folla. La storia di ciò che era successo veniva raccontata con entusiasmo, e il racconto si faceva maggiormente fantastico a ogni passaggio. Lo sceriffo ordinò ripetutamente alla gente di tornare a casa, ma nessuno lo ascoltava, e la folla si faceva più numerosa e indisciplinata. Diversi giovani birbanti decisero che volevano vedere di persona quello spettacolo macabro e cercarono di fare irruzione nell’abitazione, provocando una zuffa con le guardie.
Lo sceriffo, prevedendo folle ancora più numerose dopo il sorgere del sole, decise che il modo migliore per porre fine a tutto questo sarebbe stato abbattere la catapecchia e non lasciare ai curiosi altro che una catasta di legname da guardare. Mandò degli uomini a procurarsi gli attrezzi. Alcune guardie non poterono aspettare e si misero subito a buttare giù la catapecchia, usando le mani nude. Altre guardie tenevano a bada la folla. Patrick e Galena non si vedevano da nessuna parte.
«Ho detto loro di portare al tempio quella povera donna e i suoi figli», disse lo sceriffo a Rhys. «Ne hanno già passate troppe senza bisogno di questo.» Diede un’occhiata torva alla gente che lo attorniava sulla strada, allungando il collo e spintonando per vedere meglio.
«Grazie per il vostro aiuto, fratello», soggiunse lo sceriffo. «Peccato che non siamo arrivati un po’ prima, ma quel che è fatto è fatto e per lo meno ci siamo sbarazzati di uno di questi mostri.» Si voltò per rimettersi all’opera.
Rhys rimase zitto e pensieroso durante il ritorno al tempio. Anche Nightshade era silenzioso e di quando in quando guardava Rhys ed emetteva un profondo sospiro. Atta trotterellava dietro di loro, alternando lo sguardo fra l’uno e l’altro, senza capire.
Entrarono nel tempio che odorava fortemente di pittura fresca. L’interno era calmo, dopo il baccano della strada.
«Come sta la donna?» domandò Rhys.
«Galena l’ha portata in cucina e la sta sollecitando a mangiare qualcosa. Oltre a tutto il resto, la povera donna è mezzo morta di fame. Si sentirà meglio quando avrà un po’ di nutrimento.»
«E il bambino?»
Patrick scrollò il capo. «Pregheremo Mishakal e lasceremo il bambino nelle mani benedette della dea. Voi che farete, fratello, adesso che la vostra tenebrosa ricerca è terminata?»
«Ho delle spiegazioni da dare», disse Rhys mestamente, «e molte preghiere di contrizione da recitare e peccati di cui pentirmi. Sapete dirmi dove trovare il tempio di Majere?».
«Volete dire quello di Solace?» domandò Patrick.
«No, Riverito Figlio. Il tempio qui a New Port.»
«Non esiste nessun tempio di Majere a New Port», obiettò Patrick. «Non vi ricordate la nostra conversazione di ieri, fratello? A New Port ci sono soltanto due templi dedicati agli dèi: il nostro e quello di Zeboim.»
«Di sicuro vi sbagliate, Riverito Figlio», disse seriamente Rhys. «Proprio questa sera ho incontrato un gruppo di sacerdoti di Majere, uno dei quali era un abate. Mi ha parlato di un tempio qui...»
«Potete domandare allo sceriffo se volete, fratello, ma per quanto ne so io il più vicino tempio di Majere è quello di Solace. Io non ho sentito parlare di sacerdoti di Majere da queste parti. Se ce ne fossero, sarebbero indubbiamente venuti a cercarci. Avete detto di avere incontrato questi sacerdoti stasera?»
«Sì», rispose Rhys. «Il nostro incontro non è stato particolarmente cordiale. È questo che mi ha fatto ritardare. L’abate mi ha riconosciuto, mi conosceva per nome.»
Rimase in silenzio, sentendo svanire all’improvviso la sensazione di pace e tranquillità.
Patrick lo guardò stranamente. «Voi conoscevate questo abate?»
«No», disse Rhys. «Non l’avevo mai visto prima. Sul momento non ci ho pensato (ero troppo sconvolto) ma adesso che ripenso al nostro incontro trovo molto strano che mi conoscesse. Come faceva?»
Nightshade lo tirò per la manica.
«Rhys», disse il kender, e poi si interruppe.
«Che c’è?» domandò Rhys piuttosto impaziente.
«È solo che... se tu non fossi stato in ritardo, avremmo raggiunto la catapecchia in tempo per fermare Lleu prima che facesse del male alla madre, e allora il bambino non avrebbe dovuto picchiare il Prediletto e lui non si sarebbe incendiato.»
Rhys rimase in silenzio, stringendo il bastone.
«I sacerdoti ti hanno trattenuto quel tanto che bastava, Rhys», insistette Nightshade. «Quel tanto che bastava per farti ritardare, ma non tanto da farti ritardare troppo. Adesso il Riverito Patrick qui ci dice che non ci sono sacerdoti di Majere nel raggio di forse centocinquanta chilometri in ogni direzione e... be’... non posso fare a meno di domandarmi...»
Nightshade si interruppe. Non gli piaceva l’aria che aveva Rhys.
«Di domandarti che cosa?» domandò aspramente Rhys.
Nightshade non sapeva se proseguire o no. «Penso che forse possiamo lasciar perdere fino a domattina.»
«Dimmi», disse Rhys.
«Forse questi sacerdoti non erano veri», ipotizzò umilmente Nightshade.
«Pensi che io menta in proposito?» domandò Rhys.
«No, no, no, non questo, Rhys.» Nightshade incespicò nel parlare per la fretta. «Penso che tu pensi che i sacerdoti fossero veri. È solo...»
Non sapeva come spiegarsi e guardò Patrick per ricevere aiuto.
«Dice che i sacerdoti erano veri, fratelli: veri come li ha creati Majere», disse Patrick.
Rhys si trovava nella pace del tempio di Mishakal, a ripensare agli eventi orripilanti di quella sera. All’improvviso si sentì profondamente e intensamente in collera.
«Che cosa vogliono da me gli dèi?» gridò.
Patrick pareva solenne. Atta si fece piccola per la paura per via di quel tono, e Nightshade fece un passo indietro.
«Giocano con la mia vita», proseguì infuriato Rhys, «e con la vita degli altri. Quel povero bambino e sua madre. Era necessario farli soffrire così? Avranno per il resto della loro vita la maledizione del terribile ricordo di questa notte. Se Majere voleva farmi sapere come annientare questi Prediletti, perché non è venuto da me in persona a dirmelo? Perché Zeboim porta Mina da me e poi me la strappa via?».
«Fratello Rhys», disse Patrick, posando la mano sul braccio del monaco. «Le vie degli dèi non sono comprensibili a noi mortali...»
Rhys lo guardò freddamente. «Risparmiatemi il sermone, Riverito Figlio. L’ho già sentito in precedenza.»
Si girò tanto all’improvviso che calpestò Atta, la quale guaì per il dolore. Si diede una rapida leccata alla zampa offesa e poi corse dietro al suo padrone con aria disposta a perdonare. Nightshade esitò. Rivolse a Patrick un’occhiata rapida e addolorata.
«Penso che sia davvero infuriato con me», disse il kender.