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Come per dargli ragione, la stanchezza lo sopraffece. La testa gli cadde sul petto, e la cosa successiva che percepì furono dei colpi per svegliarlo da parte di un membro dell’equipaggio, che indicava una scala di corda pendente sulla fiancata della nave.

La barchetta rollava e beccheggiava. Anche la scala ondeggiava, però la scala e la barca non erano sincronizzate. A volte erano vicine e altre volte fra la scialuppa e la nave si apriva un baratro enorme: un baratro pieno di acqua marina nera come l’inchiostro.

Il capitano era già salito a bordo, arrampicandosi con facilità sulla scala di corda. I minotauri dell’equipaggio guardavano con occhio torvo Rhys e indicavano energicamente la scala. Uno dei minotauri segnalò con gesti della mano che se Rhys non fosse saltato da solo l’avrebbe issato lui.

Rhys sollevò il bastone. «Non posso saltare col bastone», disse, sperando che venisse capito il gesto, se non le parole.

Il minotauro alzò le spalle e fece un movimento come per gettare. Rhys aveva l’impressione che il minotauro intendesse che lui doveva gettare in mare il bastone. Riteneva probabile che sarebbero finiti lì tutti e due. Scrutò il parapetto della nave, che sembrava lontano, lontano sopra di lui, e poi sollevando il bastone come una lancia, mirò e tirò.

Il bastone descrisse un arco aggraziato e veleggiò oltre il parapetto della nave atterrando sul ponte. Adesso toccava a Rhys.

Era in piedi sulla panca, cercando di sincronizzare il suo balzo con il violento beccheggio della barca. La scala di corda oscillò accanto a lui. Rhys si tuffò disperatamente verso la scala. La afferrò con una mano, la mancò con l’altra e cercò a tentoni un punto d’appoggio. Fu sul punto di mollare la presa e di finire in acqua, ma il minotauro lo spinse da sotto e Rhys fu in grado di arrampicarsi sulla scala. Altri due minotauri lo afferrarono quando raggiunse il parapetto e lo issarono oltre la fiancata, mollandolo sul ponte.

A bordo tutto sembrava in confusione, col capitano che urlava ordini e i marinai che correvano qua e là in risposta, sfrecciando sul ponte e arrampicandosi sul sartiame. Le vele si srotolarono, e l’ancora fu issata a bordo con un verricello. Rhys era fra i piedi di tutti, e fu urtato, spintonato, calpestato e maledetto. Finalmente un minotauro, su ordine del capitano, sollevò di peso Rhys e lo trascinò nel punto in cui venivano fissate al ponte delle casse contenenti il carico.

Il minotauro grugnì qualcosa che Rhys non capì. Dal dito puntato dedusse che doveva restare lì, fuori dei piedi.

Tenendosi stretto il bastone, Rhys osservò in una sorta di stordimento quella frenesia organizzata finché non lo scosse una voce ben nota.

«Eccoti qui! Mi domandavo dove fossi finito.»

«Nightshade?» chiamò, guardandosi attorno senza vederlo.

«Quaggiù», disse il kender.

Rhys guardò giù, e lì vi era il kender dentro una cassa. Atta, afflitta, era dentro un’altra cassa. Rhys si accovacciò, infilò una mano tra le assicelle e riuscì ad accarezzare la cagna sul naso.

«Mi dispiace, Nightshade», disse mestamente. «Cercherò di tirarci fuori di qui.»

«Non sarà facile», disse Nightshade imbronciato, sbirciando Rhys da dietro te assicelle.

Il kender e Atta erano stati messi col resto del bestiame. Accanto alle loro vi era una cassa contenente un maiale che sonnecchiava.

«Questa cosa puzza, Rhys, e non mi riferisco al pesce. Non pensi che sia strano?»

«Sì», disse arcignamente Rhys. «Ma d’altronde io so tanto poco dei minotauri...»

«Non intendo questo. Tanto per cominciare», spiegò Nightshade, «tu vedi altri prigionieri? Che razza di distaccamento va fuori in cerca di schiavi e riporta indietro appena due persone, una delle quali è un kender, anche se io sono un kender con le corna», soggiunse con notevole orgoglio.

«E poi la vista di una nave di pirati minotauri ancorata al largo di una città come New Port dovrebbe indurre la gente a prendere le armi. Dovrebbero esserci campane che suonano l’allarme, donne che urlano, soldati che fanno i soldati, catapulte che scagliano pietre. Invece i minotauri se ne andavano per le strade come fossero stati a casa loro.»

«Hai ragione», disse Rhys, pensieroso.

«È come se», disse Nightshade abbassando la voce, «non li vedesse nessuno. A parte noi».

Si tirò indietro a sedere sui talloni dentro la cassa e guardò Rhys.

La nave ormai era in viaggio, e veleggiava sul mare sotto una brezza che rinforzava. Prendendo il vento, la nave fendeva l’acqua. Onde nere volteggiavano all’indietro sulle fiancate. La spuma spruzzava il viso di Rhys.

Con quel forte vento a sospingerli, i remi furono tirati dentro. I tamburi erano silenziosi.

La velocità della nave aumentò. Le vele si gonfiarono, tese per lo sforzo. Il vento soffiava sempre più forte. Rhys veniva quasi scaraventato giù, e si aggrappava al parapetto per tenersi in piedi. Il ponte si sollevava e si abbassava, un momento quasi sprofondava nelle onde, un momento dopo si alzava sulle creste. L’acqua salata inondava il ponte.

Sicuro che sarebbero affondati, Rhys guardò i minotauri, per vedere come reagissero a quel viaggio spaventoso.

Il capitano era al timone, col petto gonfio come le vele. Prendeva il vento in pieno viso, aspirandolo grato nei polmoni. I membri dell’equipaggio, come Rhys, erano di buon umore, abbeverandosi a quel vento impetuoso.

Un’onda enorme si sollevò dietro di loro. La nave scivolò sulla superficie dell’onda, sollevandosi sempre più in alto, e continuò a procedere, spiccando il volo.

L’onda si franse con uno schianto tonante, molto sotto la chiglia della nave. La nave dei minotauri lasciò il mare per veleggiare sulle onde della notte.

Atta ululò di terrore. Nightshade picchiò sulle assicelle della cassa.

«Rhys! Che succede? Non vedo! No, aspetta! Se è orribile, non dirmelo. Non voglio sapere.»

Nightshade attese. Rhys rimase in silenzio.

«È orribile, vero?» disse con tono compassionevole il kender e si accasciò dentro la cassa.

Rhys si aggrappava al parapetto. Il vento gli sferzava attorno. Il mare si allontanava. L’acqua ribolliva e schiumava molto al di sotto della nave. Sbuffi di nuvole sventolavano come vele sbrindellate dall’albero.

«Te l’avevo detto, Rhys», gridò Nightshade. «Non puoi abbandonare un dio!»

Rhys fece scivolare la mano sul bastone. Ne conosceva ogni nodo e ogni voluta, ogni imperfezione. Sentiva la grana del legno, le strisce che indicavano la durata della vita dell’albero e narravano la storia della sua crescita: le estati calde e secche, le piogge lievi della primavera, i colori splendidi e provocatori dell’autunno, la silente attesa dell’inverno. Sentiva, dentro il bastone, il respiro del dio, e non soltanto perché questo bastone era stato benedetto dal dio. Il respiro del dio era presente in tutti gli esseri viventi.

Il respiro del dio era speranza.

Rhys aveva perduto la speranza, o meglio aveva gettato via la speranza. Però continuava a ritornare da lui. Ostinata, insistente.

Rimase ancorato sul ponte che sfrecciava, col vento della notte buia e malevola a sferzarlo, mentre la nave fantasma lo conduceva verso qualche destinazione ignota. Posò la testa sul bastone e chiuse gli occhi e guardò dentro di sé.

Il kender era saggio, come sono spesso i kender per coloro che hanno la saggezza di capire.

Non si può abbandonare un dio.

PARTE QUARTA

La Torre del Mare di Sangue

1

Chemosh si trovava sui bastioni del suo castello-fortezza e osservava la farsa che si svolgeva su un tratto di terreno riarso davanti a lui. La bella fronte del Signore della Morte era corrugata. Chemosh se ne stava con le braccia incrociate sul petto. Di quando in quando la crescente frustrazione lo costringeva a smettere di guardare e a mettersi a camminare su e giù per i bastioni. Quindi si fermava, tornando a guardare nella speranza che le cose avessero preso una piega per il meglio. Invece gli sembrava che andassero di male in peggio.