«Eccovi qui, mio signore», disse Mina, emergendo da una porta ricavata in una delle torri d’angolo. «Vi ho cercato dappertutto.»
Andò da lui e lo cinse con le braccia.
Chemosh la respinse, disgustato dal contatto con lei. «Non sono di buon umore», le disse. «Faresti bene a lasciarmi solo.»
Mina seguì il suo sguardo irato verso il punto in cui il cavaliere della morte, Ausric Krell, stava tentando di addestrare i Prediletti di Chemosh facendone una truppa combattente.
«Che cosa c’è che non va, mio signore?» domandò Mina.
«Guarda tu stessa!» Chemosh fece un gesto. «Quella marmaglia indisciplinata è il mio esercito. L’esercito che deve marciare sotto il mare per conquistare la torre di Nuitari. Bah!» Si voltò disgustato. «Quell’esercito non riuscirebbe a razziare un picnic di kender!»
Krell stava tentando di disporre in ranghi i Prediletti. Molti di quei morti viventi semplicemente lo ignoravano. Quelli che effettivamente obbedivano ai suoi comandi prendevano posto in riga solo per dimenticarsi dopo pochi istanti perché fossero lì e allontanarsi. Krell cercava di angariare e minacciare quelli che si rifiutavano di obbedire, ma i Prediletti erano insensibili alla sua presenza terrificante. Krell avrebbe potuto spezzare loro tutte le ossa del corpo e quelli avrebbero alzato le spalle e si sarebbero bevuti un’altra sorsata dalle fiaschette che portavano alla cintola.
Krell andò a radunare quelli che si erano allontanati e ordinò loro di rimettersi in riga. Mentre lui era via, altri disertarono, costringendo Krell ad andare con passi pesanti a inseguirli. Alcuni Prediletti semplicemente restavano dove era stato loro detto di restare, senza interessarsi di nulla, guardando in su verso il cielo oppure giù verso l’erba oppure di fianco l’uno verso l’altro.
«Ecco che cosa faccio alle reclute che non obbediscono ai miei comandi!» urlò infuriato Krell. «Che vi serva da lezione!»
Sguainando la spada, prese a menare fendenti ai Prediletti, staccando braccia e mani e teste. I Prediletti caddero morti a terra, dove nel giro di pochi istanti presero a contorcersi e a rimettersi orribilmente a posto.
«Ecco! Voi altri avete visto?» Krell si girò, ma scoprì che il resto della compagnia se n’era andato, in direzione della città più vicina, tutti sospinti dal loro disperato bisogno di uccidere.
«Ho creato i soldati perfetti», si adirò Chemosh. «Insensibili al dolore. Dieci volte più forti del mortale più forte. Inattaccabili da magie di ogni tipo. Non conoscono paura. Non possono essere uccisi. Sarebbero capaci di uccidere la propria madre. C’è un unico problema.» Inspirò fremendo. «Sono tutti idioti!»
Mina rammentò di essersi una volta immaginata un esercito di morti: cadaveri che marciavano in battaglia. Al pari del Signore della Morte, aveva immaginato che questo fosse l’esercito perfetto. Come lui, Mina adesso incominciò a capire che proprio le caratteristiche che rendevano debole un uomo erano quelle che pure ne facevano un buon soldato.
«Non me ne va dritta una!» Chemosh smise di osservare quella scena ridicola sulla piazza d’armi e si diresse a grandi passi verso la porta che conduceva all’interno del castello. «Tutti mi hanno deluso. Perfino tu, che sostieni di amarmi.»
«Non dite che vi ho deluso, mio signore», supplicò Mina.
Lo raggiunse e intrecciò le mani attorno al braccio di lui.
«No?» La guardò con occhio furioso e la scaraventò via. «Dove sono i miei oggetti sacri? Tu eri all’interno del Solio Febalas. Avevi i miei oggetti sacri a portata di mano, e sei tornata senza niente. Niente! E ti rifiuti di tornare là.»
Mina abbassò gli occhi davanti alla furia di lui. Gli guardò le mani, il pizzo che gli ricadeva sulle dita snelle. Quelle mani ormai da molte notti non la accarezzavano più, e lei desiderava ardentemente quel contatto.
«Non siate in collera con me, mio amato signore. Ho cercato di spiegarvi. Il Solio Febalas è... sacro. Santificato. In quella sala vi sono la potenza e la maestà degli dèi: di tutti gli dèi. Io non potevo toccare niente. Non osavo! Non potevo fare altro che cadere in ginocchio in adorazione...»
«Risparmiami queste stupidaggini!» ringhiò Chemosh. «Forse con la tua ostentazione di pietà ingannavi Takhisis. Ma non inganni me!»
Se ne andò, lasciando lì Mina nel suo silenzio offeso. Raggiungendo la porta, si fermò, quindi si voltò e tornò indietro a grandi passi.
«Lo sai che penso, signora?» disse freddamente. «Penso che tu abbia preso alcuni di quegli oggetti sacri e li tenga per te.»
«Non farei una cosa simile, mio signore!» ansimò Mina, sconvolta.
«O forse li hai dati a Zeboim. Voi due siete così amiche...»
«No, mio signore!» gridò Mina.
Chemosh la afferrò, la strinse forte. Mina sobbalzò per il dolore.
«Allora ritorna nella Torre del Mare di Sangue! Dimostra il tuo amore per me. La magia di Nuitari non può fermarti. Il drago ti lascerà passare...»
«Non posso tornare là, mio signore», disse Mina, con la voce bassa e tremante. Si fece piccola nella stretta di lui. «Io vi amo. Farei qualunque cosa per voi. Solo... questo non posso farlo.»
Chemosh la scagliò via, scaraventandola contro la parete di pietra.
«Proprio come pensavo. Tu hai gli oggetti sacri e vuoi tenere per te la loro potenza.» Chemosh puntò un dito contro di lei. «Li troverò, signora! Non puoi tenerli nascosti a me, e quando li troverò...»
Non terminò la sua minaccia, ma guardò Mina con occhio furioso, tenebroso e minaccioso. Poi, girando sui talloni, se ne andò a grandi passi. Spalancò la porta con uno schianto, entrò e la richiuse sbattendosela dietro le spalle.
Mina scivolò giù lungo la parete, era troppo debole per restare in piedi. Era sfinita, sbigottita e confusa. Chemosh era rimasto compiaciuto della descrizione delle meraviglie da lei scoperte nella Sala del Sacrilegio. Il compiacimento era rapidamente svanito quando Mina aveva parlato della propria riverenza e del proprio sgomento.
«Lascia perdere questo. Quali mie meraviglie hai portato via con te?» le aveva domandato.
«Nessuna, mio signore», aveva balbettato Mina. «Come potevo osare toccare qualcosa?»
Lui si era alzato dal letto ed era uscito a grandi passi e non era più tornato.
Adesso Chemosh credeva che lei gli stesse mentendo, gli nascondesse qualcosa. Peggio ancora, era geloso di Zeboim, la quale aveva fatto tutto il possibile per alimentare la sua gelosia, anche se Mina non ne era al corrente.
«Perdonami per non averti riportato immediatamente questa affascinante giovane umana», aveva detto Zeboim a Chemosh, al loro ritorno. «Abbiamo fatto una piccola deviazione. Volevo che lei conoscesse il mio monaco. Te lo ricordi? Rhys Mason. Me l’hai dato in cambio di Krell. Si è rivelata un’esperienza particolarmente interessante.»
Chemosh si sarebbe gettato fra le braccia del Chaos piuttosto che concedere a Zeboim la soddisfazione di domandarle che cosa era successo. Aveva domandato a Mina del monaco, ma lei era stata vaga ed evasiva, alimentando ulteriormente i sospetti del dio.
Mina non voleva parlare di quella visita fuggevole e fastidiosa. Non riusciva a togliersi di testa il viso del monaco. Ancora adesso, amaramente infelice e addolorata, Mina vedeva gli occhi di quell’uomo. Non amava il monaco. Non pensava affatto a lui in quel modo. L’aveva guardato negli occhi e aveva visto che lui la conosceva. Proprio come la conosceva il drago.
Sto nascondendo dei segreti al mio signore, ammise a se stessa Mina, consumata dal senso di colpa. Non i segreti di cui mi accusa lui. D’altronde, ha importanza? Forse dovrei dirgli la verità, dirgli perché non posso tornare nella Torre. Dirgli che è il drago a spaventarmi. Il drago e i suoi terribili indovinelli.
Terribili... perché Mina non sapeva risolverli.