Mina si fermò all’esterno della grotta. Adesso che l’aveva raggiunta, esitava a entrarvi. Era il luogo ideale per un’imboscata, non visibile dalle mura del castello. Nessuno avrebbe potuto vederla né udirla se avesse avuto bisogno di aiuto. Si rammentò della grande impronta di stivale. Era tre volte le dimensioni del suo piede.
Portando la mano alle perle, Mina ne percepì il calore rassicurante. Era arrivata fin qui, rischiando l’ira del suo signore. Ora non poteva tornare indietro.
L’ingresso era abbastanza grande da consentire l’accesso a due uomini dalle spalle larghe, ma la volta era bassa. Mina doveva chinare la testa e le spalle per incunearsi all’interno. Si stava chinando quando, da qualche parte lì dentro, udì l’abbaiare di un cane.
A Mina per l’emozione si accelerò il battito cardiaco. La paura scomparve. Il monaco era stato nell’occhio della sua mente fin dal loro incontro. Il suo volto era chiaro; Mina avrebbe potuto dipingerne il ritratto. Vedeva il viso di lui: scolpito, smunto. Gli occhi: grandi e calmi come l’acqua scura. La veste arancione: il colore sacro a Majere, decorata con l’emblema della rosa del dio, che gli pendeva dalle spalle magre e muscolose; la veste era allacciata attorno alla vita sottile. Ogni suo movimento, ogni sua parola: controllati e disciplinati.
E il cane, bianco e nero, che guardava al monaco come a un padrone.
«Grazie, maestà», disse sottovoce Mina e sollevò le perle alle labbra e le baciò.
Quindi entrò nella grotta.
Ausric Krell, muovendosi silenzioso e furtivo, seguiva Mina a distanza con discrezione. Sorprendentemente Krell sapeva muoversi silenzioso e furtivo, quando voleva. Al cavaliere della morte non piaceva procedere a passi felpati come qualche viscido ladro dei bassifondi. Krell si divertiva ad avanzare sferragliando nella sua armatura. L’acciaio cigolante significava morte, infondeva terrore in coloro che lo udivano arrivare. Ma se necessario sapeva camminare cauto. Al pari della sua vita, la sua armatura era del materiale della magia maledetta, e anche se lui era legato per sempre alla sua armatura poteva farla risuonare e sferragliare oppure no, a suo piacimento.
Krell avrebbe sacrificato ben di più per poter scaraventare Mina giù da quell’alto trespolo su cui si trovava e da cui lo scherniva.
Mina non aveva mai tenuto segreto il fatto che lo disprezzava per avere tradito Lord Ariakan. Non solo, lei aveva prevalso su di lui in combattimento e l’aveva umiliato davanti al Signore della Morte. I Prediletti non avevano alcun rispetto per Krell, neanche quando lui li faceva a pezzi, ma bastava che Mina agitasse il mignolo e loro le facevano le feste e gridavano il suo nome.
Krell avrebbe potuto ucciderla subito, ma sapeva che non se la sarebbe mai cavata. Chemosh l’avrà anche guardata con occhio torvo imprecando contro di lei, ma continuava a saltare nel suo letto ogni notte. E poi c’era Zeboim, arcinemica di Krell, che la colmava di doni. Zeboim si sarebbe potuta risentire se Krell avesse assassinato la sua pupilla, e pertanto il cavaliere della morte doveva trattenersi, agire subdolamente. Un compito difficile, ma l’odio può smuovere le montagne.
Adesso tutto ciò che doveva fare Krell era cogliere Mina in un atto di tradimento. Sapeva per triste esperienza che cosa avveniva quando si faceva arrabbiare un dio, e Krell si divertiva, mentre la seguiva, a immaginarsi in dettagli vividi il tormento che Mina avrebbe subito. È sorprendente quanto a lungo si possa vivere dopo essere stati sbudellati.
Quando vide Mina entrare nella grotta, Krell saltò alla conclusione che lei avrebbe incontrato un amante. Avvicinandosi di soppiatto, Krell provò una soddisfazione immensa nell’udire la voce profonda di un uomo. Rimase piuttosto sconcertato nell’udire anche quella che sembrava in modo sospetto la voce acuta di un kender, ma Krell era di larghe vedute. Quello che più ti aggrada era sempre stato il suo motto.
Strofinandosi con gioia le mani guantate, si spostò guardingo verso l’ingresso, sperando di udire più chiaramente. Scoprì, con delusione, che i suoni provenienti dalla grotta erano attutiti e indistinti. Krell non se ne preoccupò. Non importava che cosa avvenisse veramente lì dentro. Poteva sempre inventarsi qualcosa. Il geloso Chemosh sarebbe stato lesto a credere il peggio. Krell si acquattò fuori della grotta e attese che Mina ne riemergesse.
3
A bordo della nave dei minotauri Rhys perse ogni senso del tempo. Il viaggio attraverso le onde sferzanti della notte, sballottato dalle tempeste della magia, pareva infinito. Il vento gemeva tra il sartiame, le vele erano gonfie. La nave sbandava precariamente. Il capitano ruggiva, e l’equipaggio acclamava e urlava al vento la propria sfida.
Quanto a Rhys, trascorse la notte buia in preghiera. Rhys aveva abbandonato il suo dio, ma il suo dio si era rifiutato di abbandonare lui. Rhys si inginocchiò sul ponte, con la testa china per la vergogna e la contrizione, le guance bagnate di lacrime, mentre chiedeva umilmente perdono al dio. Anche se la notte e quel viaggio spettrale erano terribili, lui era in pace.
Spuntò l’alba. La nave uscì dal mare della magia e si depositò sull’acqua calma. Il minotauro capitano trascinò fuori dalle casse il kender tremante e il cane accasciato e li consegnò all’equipaggio. Guardò giù verso Rhys, che era ancora inginocchiato sul ponte.
«Stavi pregando, presumo», disse il capitano facendo con la testa un cenno di approvazione. «Ebbene, fratello, le tue preghiere hanno trovato risposta. Hai superato la notte incolume.»
«Davvero, signore», disse Rhys con tranquillità, e si alzò in piedi.
I minotauri li spinsero ruvidamente nella scialuppa, quindi vogarono per condurli a un approdo sconosciuto. Rhys guardò giù l’acqua del mare che aveva il colore del sangue. Guardò il sole che sorgeva dal mare, e di colpo capì. Durante quella notte tumultuosa, la loro nave aveva viaggiato nel tempo e nello spazio. Adesso si trovavano sull’altro lato del continente.
Rhys vide la silhouette di un castello-fortezza sullo sfondo delle stelle che svanivano, ma fu tutto ciò che vide prima che i minotauri lo sollevassero dalla barca e lo trascinassero oltre una spiaggia umida e sopra dune sabbiose fino al fianco di un dirupo.
Arrivando sul punto di una frana, i minotauri lasciarono cadere a terra Rhys e il kender e il cane e presero a sollevare macigni giganteschi e a gettarli di lato. Rhys non capiva la loro lingua, ma udì le parole «grotta» e «Zeboim» ed ebbe l’impressione, per via del loro atteggiamento silenzioso e riverente, che dietro la frana vi fosse qualche sorta di tempio della dea del mare.
Finalmente i minotauri sgomberarono la frana ed entrarono nella grotta, lasciando fuori Rhys con una guardia. Lui udì colpi e martellamenti e il tintinnare del ferro. I minotauri ritornarono e raccolsero Rhys trascinandolo dentro, assieme ad Atta e a Nightshade.
Da anelli di ferro di recente conficcati nelle pareti di pietra pendevano catene. Lavorando alla luce fioca che riusciva a insinuarsi all’interno, i minotauri incatenarono Rhys e Nightshade agli anelli di ferro, gettarono giù un sacchetto di viveri e un secchio d’acqua, quindi si allontanarono senza una parola, rifiutandosi di rispondere a qualunque domanda di Rhys.
Le catene erano assicurate con pesanti ceppi alle caviglie e ai polsi ed erano abbastanza lunghe da consentire a Rhys e a Nightshade un limitato movimento. Ciascuno di loro poteva distendersi sul fondo roccioso oppure alzarsi in piedi e camminare per circa cinque passi.
Traumatizzata dagli eventi a bordo della nave, Atta era troppo scossa per stare in piedi. Rotolò su un fianco e rimase stesa ansimando sul fondo della caverna. Rhys, esausto, prese fra le braccia la cagna terrorizzata e fece del proprio meglio per cercare di calmarla. Nightshade aveva gli abiti inzuppati, e la grotta era fredda. Il kender si sedette rannicchiato e abbattuto e cercò di scaldarsi dandosi manate sulle braccia.