Dalla grotta schizzarono fuori una folata di vento e pioggia, spuma di mare e furia.
«Che cosa vuoi dire che sei vincolato da giuramento a Majere?» La dea strillava e ululava. «Tu sei mio! Tu ti sei dedicato a me!»
Krell conosceva quella voce come nessun’altra. Zeboim. Ed era in tempesta.
Krell non aveva idea del perché la sua castigatrice si trovasse lì dentro; e nemmeno gli importava, poiché gli era appena venuto in mente che Chemosh sarebbe stato impaziente di ricevere il suo rapporto.
«Non devo far aspettare il mio padrone», si disse Krell, e si girò e scappò via.
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«Che cosa vuoi dire che sei vincolato da giuramento a Majere?» Zeboim urlava tempestosamente. «Tu sei mio, monaco! Tu ti sei dedicato a me!»
La dea si era materializzata nella grotta con una folata di vento e pioggia scrosciante. Il vestito verde le schiumava attorno. I lunghi capelli, agitati dal vento, sferzavano in viso Rhys, facendolo sanguinare. Gli occhi grigio-verdi della dea ardevano su di lui. Digrignando i denti, Zeboim colpì Rhys, con le unghie contratte in artigli.
«Miserabile ingrato! Dopo tutto quello che ho fatto per te! Potrei cavarti gli occhi! Al diavolo agli occhi, potrei strapparti il fegato!»
Nightshade si faceva piccolo per la paura contro la parete. Atta piagnucolava. Rhys rivolse una muta preghiera a Majere e attese.
Zeboim si drizzò, torcendosi le mani. Inspirò, quindi inspirò di nuovo. Lentamente padroneggiò la propria furia. Le riuscì perfino un sorriso a labbra serrate.
Zeboim si inginocchiò accanto a Rhys, gli fece scivolare la mano in maniera seducente su per il braccio e disse a bassa voce: «Ti darò un’altra possibilità per tornare da me, monaco. Ti salverò da Mina. Ti salverò da Chemosh. In cambio ti chiedo soltanto un piccolo favore».
«Maestà, io...»
Zeboim gli mise le dita sulla bocca. «No, no. Aspetta di sentire quello che voglio. È una cosa piccola, più piccola del piccolo. Infinitesima. Un nonnulla. Solo... dimmi la risposta.»
Rhys era perplesso.
«La risposta all’indovinello», chiarì Zeboim. «Chi è Mina? Da dove viene?»
Rhys sospirò e chiuse gli occhi. «In verità, non lo so, maestà. Come potrei? Perché è importante?»
Zeboim si alzò in piedi. Congiungendo le mani e tamburellando con le dita, prese a camminare su e giù per la caverna, col vestito verde che le ondeggiava attorno alle caviglie.
«Perché è importante? Io mi domando la stessa cosa. Perché è importante chi abbia messo al mondo questo irritante essere umano? Per me non è importante. Per qualche bizzarro motivo importa a mio fratello. Nuitari si è spinto a far visita a Sargonnas per domandargli che cosa sapesse di Mina. A quanto pare lei aveva un amico che era un minotauro o qualcosa del genere. Questo Galdar è stato trovato, ma non è stato di alcun aiuto.»
Zeboim emise un sospiro esasperato. «Il succo del discorso è: adesso tutti gli dèi si lambiccano su questo interrogativo stupido. Il drago che vi ha dato inizio è scomparso senza lasciare traccia, come se i mari l’avessero inghiottito, il che non è successo. Per lo meno per questo posso garantire io. Rimani solo tu.»
«Maestà», disse Rhys. «Io non so...»
Zeboim interruppe i propri passi e si girò per guardarlo in faccia. «Lei sostiene di sì.»
«Lei sostiene anche che io indossavo la veste arancione di Majere quando ci siamo incontrati. Voi c’eravate, maestà. Voi sapete che indossavo la veste verde che mi avevate donato.»
Zeboim lo guardò. Gli guardò la veste. Tornò a guardare lui. Smise di vederlo. Il suo sguardo si fece assorto.
«Mi domando...» disse a bassa voce.
Strinse gli occhi, tornando a metterli a fuoco su di lui. Si accovacciò davanti a Rhys, flessuosa, aggraziata e micidiale. «Donati a me, monaco, e io ti libererò. In questo momento. Libererò perfino il kender e il bastardino. Giura fedeltà a me, e io convocherò la nave dei minotauri, che ti trasporterà dovunque tu voglia andare in questo vasto mondo.»
«Non posso giurare a voi ciò che non ho più da dare, mia signora», rispose gentilmente Rhys. «La mia fedeltà, la mia anima sono nelle mani di Majere.»
«Mina mantiene la parola», ribatté rabbiosamente Zeboim. Indicò Nightshade. «Ucciderà il tuo cane e quel disgraziato di kender. Avranno una morte lenta e dolorosa, e tutto per causa tua.»
«Majere vigila sui suoi», disse Rhys. Guardò il bastone, appoggiato alla parete.
«Lascerai morire fra i tormenti coloro che confidano in te pur di raggiungere la tua salvezza! Bell’amico sei, fratello!»
«Rhys non ci lascerà morire fra i tormenti!» gridò fermamente Nightshade. «Noi vogliamo morire fra i tormenti, vero, Atta? Oops», soggiunse a bassa voce. «Non mi è venuta granché bene.»
Zeboim si alzò, maestosa e fredda. «Così sia, monaco. Ti ucciderei io stessa subito, ma non priverò Mina di questo piacere. Stanne certo, io starò a guardare e assaporerò ogni goccia di sangue! Oh, e caso mai tu pensassi che quello possa servirti...»
Puntò un dito contro il bastone, che esplose con un’orribile fiammata verde. In tutta la caverna volarono schegge di legno. Una scheggia incise la carne della mano di Rhys. Lui si coprì rapidamente la ferita, in modo che Zeboim non vedesse.
La dea svanì con un tuono, una folata di vento carico di pioggia e un ghigno.
Rhys si guardò la mano, la lunga e frastagliata lacerazione causata dalla scheggia. Dalla ferita sgorgava sangue. Rhys vi premette sopra l’orlo della manica. Tutto ciò che rimaneva del bastone (la scheggia che l’aveva tagliato) era steso sul pavimento al suo fianco. Rhys raccolse la scheggia e vi chiuse sopra la mano.
Aveva la risposta di Majere, ed era contento.
«Non essere triste, Rhys», stava dicendo allegramente Nightshade. «A me non importa di morire. E neanche ad Atta. Potrebbe essere divertente essere un fantasma: potrei scivolare attraverso i muri e andarmene in giro di notte. Io e Atta verremo a trovarti nella nostra forma spettrale. Non che io abbia visto molti fantasmi di cani, bada. Chissà perché? Forse perché le anime dei cani hanno già completato il loro viaggio e sono libere di andare a giocare per sempre nei campi erbosi. Forse rincorrono le anime dei conigli. Cioè, se i conigli hanno un’anima... non farmi parlare di conigli...»
Rhys attese pazientemente che il kender concludesse le sue divagazioni metafisiche. Quando Nightshade si stancò di parlare e fece per mettersi a giocare a sasso, tela e forbici con Atta, Rhys disse: «Tu puoi sfilarti i ceppi dalle mani, vero?».
Nightshade finse di non avere udito. «La tela avvolge il sasso. Hai perso di nuovo, Atta.»
«Nightshade...» insistette Rhys.
«Non interromperci, Rhys», disse Nightshade, interrompendolo. «Questo è un gioco assai serio.»
Rhys ci riprovò. «Nightshade, lo so...»
«No, non lo sai!» gridò Nightshade, guardando Rhys con occhio torvo. Tornando al gioco, il kender schiaffeggiò leggermente Atta sulla zampa. «Stai imbrogliando. Non puoi cambiare idea a metà! La prima volta hai detto "sasso"...»
Rhys rimase zitto.
Nightshade continuava a sbirciare verso di lui con la coda dell’occhio, dimenandosi imbarazzato. Continuò a giocare, ma dimenticò quello che aveva detto di avere (sasso, tela o forbici) e questo confuse il gioco.
All’improvviso gridò: «E va bene! I ceppi ai miei polsi potrebbero essere un po’ allentati».
Si guardò i piedi e si illuminò. «Ma non potrei mai far passare i piedi attraverso i ceppi delle caviglie!»
«Potresti», disse Rhys, «se li ungessi con un po’ di grasso della carne di maiale salata».
Il kender arricciò il labbro inferiore. «Mi rovinerà gli stivali.»
Rhys diede un’occhiata agli stivali. Due dita rosee dei piedi facevano capolino attraverso i buchi nelle suole.
«Quando fa buio», disse Rhys, «ti liberi e prendi Atta e te ne vai».