«Avevate ragione, mio signore», disse Krell esultante. «È andata a incontrarsi con Zeboim!»
«Non con un amante?» ripeté Chemosh, stupito.
Krell vide di avere commesso un errore. «Anche questo», si affrettò a dire. «Mina è andata a incontrarsi con la Strega del Mare e anche con un amante.» Alzò le spalle. «Probabilmente qualche sacerdote di Zeboim.»
«Probabilmente?» ripeté Chemosh, accigliandosi. «Non lo sai? Non l’hai visto?»
Krell era in agitazione. «Io... ehm... non potevo, mio signore. Zeboim era lì e... e voi non avreste voluto farle sapere che noi stavamo spiando...»
«Vuoi dire che non volevi farle sapere che sotto tutta quell’armatura d’acciaio si nasconde un vigliacco pusillanime.» Chemosh si incamminò verso la torre con le scale. «Vieni con me. Mi mostrerai dove trovare questo amante. Mi piacerebbe conoscerlo.»
Krell era in imbarazzo. Il suo resoconto era credibile... fin qui. Aveva lasciato fuori il kender e il cane, ma questo, più ci pensava, non aggiungeva nulla al suo racconto di amanti e appuntamenti segreti. Poi c’era la libertà che si era preso sulla cronologia degli eventi: Zeboim era arrivata, ma soltanto dopo che Mina se n’era andata, una cosa strana per due che dovevano far parte di un complotto.
«Aspettate, mio signore!» gridò con sollecitudine Krell.
«Che c’è?» Chemosh si girò a guardarlo impaziente.
«Ehm... l’imbrunire», disse Krell ispirato. «Ho sentito Mina dire a quest’uomo che sarebbe ritornata da lui stasera. Potrete coglierli sul fatto», soggiunse, sicuro che questo sarebbe piaciuto al padrone.
Chemosh si fece estremamente pallido. Le mani, sotto il pizzo sbrindellato, si serravano e si aprivano. I capelli scarmigliati erano arruffati dal vento.
«Hai ragione», disse Chemosh con una voce priva di inflessioni. «È quello che farò.»
Krell emise, ma solo interiormente, un grande sospiro di sollievo. Salutò militarmente il suo signore e girò sui talloni. Sarebbe ritornato alla grotta, assicurandosi che al suo arrivo Chemosh trovasse ciò che Krell gli aveva detto di aspettarsi.
«Krell», disse all’improvviso Chemosh. «Sono annoiato. Vieni a giocare a khas con me. Così mi distolgo la mente dalle cose.»
A Krell si accasciarono le spalle. Odiava giocare a khas con Chemosh. Tanto per cominciare, il dio vinceva sempre. Non è difficile quando si vedono con un’occhiata tutte le mosse possibili, tutti gli esiti possibili. E per finire Krell aveva un impegno urgente in quella grotta. Doveva sistemare un kender e un cane.
«Sarei fin troppo lieto di fare una partita con voi, mio signore, ma ho i Prediletti da addestrare. Perché non fate un giochino con Mina? Potreste anche rifarvi delle spese...»
Krell si rese conto mentre stava parlando di avere commesso un errore. Avrebbe voluto inghiottire quelle parole, se avesse potuto, e anche se stesso, ma era troppo tardi. Gli occhi scuri di Chemosh avevano un’aria che al cavaliere della morte fece desiderare di strisciare dentro la propria armatura e non uscirne più.
Vi fu un attimo di silenzio orribile, poi Chemosh disse freddamente: «D’ora in poi, Mina addestrerà i Prediletti. Tu giocherai a khas».
«Sì, mio signore», mormorò Krell.
Il cavaliere della morte andò a passi pesanti dietro a Chemosh, seguendolo giù per le scale e nella sala. Krell sarà anche stato in disgrazia, ma aveva un pensiero consolante: in questo momento non si sarebbe voluto trovare nei panni di Mina per nulla che il cielo o l’Abisso potessero offrire.
Mina fece una nuotata nel mare, anche se non fu proprio intenzionale. Le onde sollevate dall’ira di Zeboim allagarono la sottile striscia di spiaggia che andava dal frangiflutti di pietra al dirupo su cui sorgeva il castello. L’acqua non era profonda, e la forza delle onde era frenata dagli scogli. Mina sapeva nuotare bene e apprezzò quell’esercizio fisico che le riscaldò i muscoli e le sgombrò la mente, costringendola ad accettare una verità spiacevole.
Credeva al monaco. Lui non le stava mentendo. Mina conosceva gli uomini, e lui era del tipo incapace di mentire. Le ricordava, stranamente, Galdar, il suo ufficiale e fedele amico. Anche Galdar era incapace di dire una bugia, anche quando sapeva che lei avrebbe preferito una bugia piuttosto che la verità. Mina si domandò, con una fitta, dove fosse Galdar. Sperava che stesse bene. All’improvviso le venne il desiderio di vederlo. Desiderò per un attimo che lui fosse lì a cingerla con un braccio (con quel braccio che lei gli aveva miracolosamente restituito) e a dirle che tutto sarebbe andato bene.
Emergendo dal mare, Mina si strizzò l’acqua dai capelli e dall’abito e smise di desiderare ciò che non sarebbe mai avvenuto. Doveva decidere che fare del monaco. Adesso lui non la conosceva, ma l’aveva conosciuta quando si erano incontrati per la prima volta. Nei suoi occhi lei aveva visto che la riconosceva, che sapeva di lei. Lui l’aveva dimenticato, oppure era successo qualcosa che gliel’aveva fatto dimenticare.
Un modo per ristabilire i ricordi era mediante il dolore. Mina aveva ordinato di praticare la tortura sui suoi prigionieri. I Cavalieri delle Tenebre ne erano esperti. Aveva guardato degli uomini soffrire e talvolta morire, sicura di fare le cose più giuste, di servire una causa lodevole: la causa dell’Unico Dio.
Adesso era insicura, incerta. Incominciava a dubitare. Quella mattina era stata tanto in collera che avrebbe potuto levare la pelle dalle ossa del monaco senza provare mai neanche uno scrupolo. Riflettendoci si domandò: Posso torturare un uomo a sangue freddo? Se sì, posso fidarmi delle informazioni estorte con la violenza?
Galdar era stato sempre dubbioso sulla tortura come metodo per ricavare informazioni.
«Gli uomini sono disposti a dire qualunque cosa pur di far cessare il dolore», l’aveva avvertita.
Mina sapeva che era vero. Era lei quella in preda ai tormenti, e avrebbe fatto qualunque cosa per far cessare quel dolore.
C’era un altro modo. I morti non hanno segreti. Non certo davanti al Signore della Morte.
Portando la mano alla collana di perle nere, Mina si decise. Avrebbe detto tutto a Chemosh. Gli avrebbe aperto la propria anima. Lui l’avrebbe aiutata a estorcere la verità al monaco.
Mina afferrò la collana, se la strappò dal collo e la gettò in mare. Col cuore sollevato, ritornò al castello, si vestì con qualcosa di carino e andò a cercare Chemosh.
Trovò il Signore della Morte nel suo studio, che giocava a khas con Krell.
Mina e il cavaliere della morte si scambiarono occhiate che rivelavano il loro disprezzo reciproco, quindi Krell tornò a studiare il tabellone. Mina lo osservò più attentamente. Aveva quell’aria di bestione crudele e volgare che aveva sempre, eppure in lui vi era un compiacimento untuoso che lei trovò nuovo e inquietante. Trovò inquietante anche il fatto che lui e il suo signore paressero a proprio agio insieme. Quando lei entrò nello studio Chemosh stava addirittura ridendo di qualcosa che aveva detto Krell.
Mina fece per parlare, ma Chemosh la prevenne. Le rivolse un’occhiata indifferente.
«Ti è piaciuta la nuotata, signora?»
A Mina tremò il cuore. Il tono di lui era freddo, le sue parole un insulto. Signora! Come se parlasse a una sconosciuta.
«Sì», rispose Mina, e proseguì rapidamente prima di perdere il coraggio. «Mio signore, devo parlarvi.» Diede un’occhiata a Krell. «In privato.»
«Sono nel bel mezzo di una partita», ribatté languido Chemosh. «Sembra che Krell possa battermi. Che ne pensi, Krell?»
«Vi sto mettendo in fuga, mio signore», disse il cavaliere della morte senza entusiasmo.
Mina deglutì. «Dopo la partita, allora, mio signore?»
«Temo di no», disse Chemosh. Allungò la mano e mosse un cavaliere, facendolo scivolare sul tabellone e usandolo per gettare a terra una delle pedine di Krell. «So tutto del tuo amante, Mina, per cui non c’è bisogno che continui a mentirmi.»