Mina si trovava all’interno della Torre, nella sua prigione, e parlava con Nuitari. Era nell’acqua del globo, e parlava col drago. Era dentro il Solio Febalas, sopraffatta dallo sgomento e dalla meraviglia, circondata dal miracolo sublime rappresentato dagli dèi.
Mina tese le mani. Il suo desiderio ardente si intensificò, proruppe dentro di lei. Il cuore le martellava, i muscoli le si irrigidivano. Cadde in ginocchio con un gemito, e ancora tese le mani verso la Torre che era dappertutto dentro di lei.
Quel desiderio ardente si impadronì di lei e la sopraffece. Mina non riusciva a fermarsi. Non voleva fermarsi. Si abbandonò a quel desiderio, e le parve che il cuore le si lacerasse. Ansimò. Sentì in bocca il sapore del sangue. Rabbrividì e gemette di nuovo, e all’improvviso dentro di lei scattò qualcosa.
Il desiderio, la brama, le defluì dalle mani tese e Mina trovò la calma e la pace...
Krell aveva escogitato una via d’uscita dalla sua situazione incresciosa, ma non nel modo immaginato da Mina. Il piano d’azione secondo lei richiedeva che Krell lasciasse il castello, e lui era terrorizzato a farlo, per timore che Chemosh ritornasse da un momento all’altro. Krell avrà anche avuto il cervello di un roditore, ma aveva il doppio di astuzia per compensarlo. Il suo piano d’azione era semplice e diretto.
Non era necessario uccidere il kender, il monaco o il cane. Tutto ciò che dovesse fare Krell era uccidere Mina.
Una volta che Mina fosse morta, fine della storia. Chemosh non avrebbe avuto motivo di andare alla grotta per affrontare l’amante di lei, e il problema di Krell sarebbe stato risolto.
Krell detestava Mina e l’avrebbe assassinata molto tempo prima, ma temeva che Chemosh assassinasse lui; non certo una cosa facile a farsi, poiché Krell era già morto, ma Krell era piuttosto sicuro che il Signore della Morte avrebbe trovato un modo e non sarebbe stato piacevole.
Krell adesso riteneva privo di pericolo uccidere Mina. Chemosh la disprezzava. Provava avversione per lei. Non sopportava di vederla.
«Ha cercato di fuggire, mio signore», disse Krell, facendo le prove del suo discorso. «Non intendevo ucciderla. È che non mi rendo conto della mia forza.»
Essendosi risolto a uccidere Mina, Krell doveva soltanto decidere quando. A questo proposito tentennava. Chemosh aveva detto che sarebbe andato nella Sala delle Anime di Passaggio, ma diceva sul serio? Il dio se n’era andato, oppure era ancora appostato da qualche parte nel castello?
Ogni volta che Krell faceva per mettere la mano sulla maniglia della porta, aveva la visione di Chemosh che entrava nella stanza in tempo per osservare il cavaliere della morte tagliare la gola alla sua amante. Chemosh ormai la disprezzava, ma uno spettacolo tanto macabro poteva comunque sconvolgerlo.
Krell non osava abbandonare la propria postazione per andare ad accertarsene. Alla fine bloccò uno scagnozzo spettrale di passaggio e gli ordinò di andare a informarsi. Lo scagnozzo rimase lontano per un certo tempo, durante il quale Krell camminò su e giù per il corridoio e si raffigurò la propria vendetta su Mina, facendosi sempre più emozionato al pensiero.
Lo scagnozzo gli portò notizie gradite. Chemosh si trovava nella Sala delle Anime di Passaggio e a quanto pareva non aveva fretta di ritornare.
Perfetto. Chemosh sarebbe stato lì a vedere arrivare l’anima di Mina. Non avrebbe avuto motivo di andare alla grotta. Proprio nessun motivo.
Krell fece per allungare la mano verso la maniglia della porta e poi si fermò. Attorno all’intelaiatura della porta prese a brillare una luce d’ambra. Sotto il suo sguardo accigliato la luce ardente si fece sempre più intensa.
Quindi Krell sorrise. Era meglio di quanto avesse sperato. Mina a quanto pareva aveva incendiato quel luogo.
Colpì la porta col pugno, sguainò la spada ed entrò a grandi passi.
8
La grotta odorava di carne di maiale salata. Atta si leccò i baffi e fissò bramosa Nightshade, che rispettosamente, ancorché malinconicamente, si strofinava l’interno degli stivali con un pezzo di carne untuosa. Rhys aveva argomentato che sarebbe stato più facile per il kender fare scivolare i piedi fuori dagli stivali che cercare di fare scivolare gli stivali fuori dai ceppi.
«Ecco, ho finito!» annunciò Nightshade. Diede da mangiare ciò che rimaneva della carne di maiale sciupata ad Atta, che inghiottì tutto con un sol boccone e poi prese ad annusargli famelica gli stivali.
«Atta, ferma», ordinò Rhys, e la cagna obbediente arrivò trotterellando per stendersi al suo fianco.
Nightshade dimenò il piede destro ed emise un grugnito. «Niente», disse dopo un momento di sforzi. «Non si muove. Mi dispiace, Rhys. Valeva la pena tentare...»
«Devi muovere effettivamente il piede, Nightshade», disse Rhys con un sorriso.
«L’ho mosso», protestò Nightshade. «Gli stivali sono lì ben stretti. Mi sono stati sempre un po’ piccoli. È per questo che in punta mi escono le dita dei piedi. Adesso parliamo di come possiamo scappare tutti e due.»
«Ne parliamo dopo che tu ti sarai liberato», controbatté Rhys.
«Promesso?» Nightshade scrutò Rhys con aria sospettosa.
«Promesso», disse Rhys.
Nightshade afferrò la fascetta di ferro che gli stringeva la caviglia e prese a spingere la fascetta e lo stivale.
«Inclina il piede», disse Rhys con pazienza.
«Chi credi che io sia?» domandò Nightshade. «Uno di quei tipi del circo che si legano le gambe a nodo dietro il collo e camminano sulle mani? Io so che non so farlo, perché una volta ho provato. Mio padre ha dovuto slegarmi...»
«Nightshade», disse Rhys, «non abbiamo quasi più tempo».
La luce del giorno all’esterno svaniva. La grotta si faceva buia.
Nightshade emise un profondo sospiro. Contraendo il viso, spingeva e tirava. Il piede destro scivolò agevolmente fuori dallo stivale. Poi toccò al piede sinistro. Il kender tolse gli stivali dai ceppi e li scrutò malinconico.
«Tutti i cani di sei contee mi correranno dietro», disse scontroso. Si mise gli stivali untuosi e, afferrando un altro pezzo di carne salata, si chinò accanto a Rhys. «Tocca a te.»
«Nightshade, guarda.» Rhys indicò i ceppi che gli stringevano forte le caviglie ossute. Tirò su i ceppi che erano serrati sui polsi, tanto stretti da strofinargli la pelle a carne viva.
Nightshade guardò. Il labbro inferiore gli tremò. «È colpa mia.»
«No, naturalmente, non è colpa tua, Nightshade», disse Rhys, sconvolto. «Che cosa te lo fa pensare?»
«Se io fossi un kender come si deve, tu non saresti bloccato qui a morire!» gridò Nightshade. «Avrei con me degli attrezzi da scassinatore, capisci, e potrei aprire quei lucchetti così.» Fece schioccare le dita, o almeno ci provò. Per via del grasso, lo schiocco non gli venne molto bene. «Mio padre mi aveva regalato i miei attrezzi da scassinatore quando avevo dodici anni, e aveva provato a insegnarmi a usarli. Non ero molto bravo. Una volta mi è caduto l’attrezzo che ha fatto "bum!" e ha svegliato tutta la casa. Un’altra volta l’attrezzo ha attraversato la serratura (ancora non so bene come) ed è finito dall’altra parte della porta, e così quello l’ho perso...»
Nightshade incrociò le braccia sul petto. «Io non me ne vado! Non puoi costringermi!»
«Nightshade», disse fermamente Rhys, «devi.»
«No, non devo.»
«È l’unico modo per salvarmi», disse Rhys con tono solenne.
Nightshade alzò lo sguardo.
«Stavo pensando», proseguì Rhys. «Noi siamo sul Mare di Sangue. Dobbiamo trovarci da qualche parte vicino a Flotsam. A Flotsam c’è un tempio di Majere...»
«C’è? È meraviglioso!», gridò Nightshade, emozionato. «Io posso correre a Flotsam e trovare il tempio, radunare i monaci, portarli qui, e loro prenderanno tutti a calci nel sedere e noi ti salveremo!»
«È un piano d’azione eccellente», disse Rhys.