C’era una sola persona che poteva saperlo, una sola persona che era stata vicina a Takhisis più di chiunque altro nella storia. L’unica persona che lui aveva scacciato dalla propria presenza.
Mina.
9
Nightshade si allontanò dalla grotta con un peso sul cuore: il cuore gli pesava troppo per restare nel petto, gli sprofondò nello stomaco, dove si offese per via della carne di maiale salata e gli fece venire il mal di pancia. Da lì il cuore sprofondò ulteriormente, aumentandogli il peso dei piedi cosicché questi si muovevano sempre più lenti, finché non divenne uno sforzo anche il minimo movimento. Il cuore gli si faceva sempre più pesante quanto più lui si allontanava.
Il cervello di Nightshade continuava a dirgli che lui era in missione urgente per salvare Rhys. Il problema era che il cuore non ci credeva, per cui non solo il cuore era giù dalle parti delle scarpe, a imbarazzargli i piedi, ma il cuore era anche impegnato a discutere con la testa, per non parlare della carne di maiale salata.
Nightshade ignorò il cuore e obbedì alla testa. La testa significava Logica, e gli esseri umani erano impressionati dalla Logica e sottolineavano sempre quanto fosse importante comportarsi in maniera logica. La Logica affermava che Nightshade avrebbe avuto maggiori possibilità di salvare Rhys se gli avesse portato aiuto sotto forma di monaci di Majere anziché se lui (un semplice kender) fosse rimasto con Rhys nella grotta. Era stata la Logica dell’argomentazione di Rhys a persuadere Nightshade ad andarsene, e questa stessa Logica lo faceva avanzare anche se il cuore lo sollecitava a voltarsi e tornare indietro di corsa.
Atta gli restava alle calcagna, come le era stato ordinato. Anche lei doveva essere infastidita dal cuore, poiché continuava a fermarsi, attirandosi severi rimproveri da parte del kender.
«Atta! Qui, ragazza! Devi starmi dietro!» la ammoniva Nightshade. «Non abbiamo tempo per bighellonare.»
Atta gli trotterellava dietro perché le era stato detto di fare così, ma non era contenta, e non lo era nemmeno Nightshade.
Il camminare stesso era un altro problema. Solinari e Limitari erano entrambe nel cielo quella notte. Solinari era mezza piena e Lunitari completamente piena, per cui sembrava che le lune facessero l’occhiolino a Nightshade come occhi male assortiti. Il kender vedeva in alto il contorno di una cresta montuosa e calcolava (logicamente) che in cima a quella cresta avrebbe trovato una strada, e che quella strada avrebbe condotto a Flotsam. La cresta non sembrava tanto lontana: appena un saltino sopra certe dune di sabbia, seguito da un’arrampicata fra certi macigni.
Le dune di sabbia si rivelarono però difficili da superare. Il saltino fu un fallimento completo. La sabbia era instabile e molliccia e gli scivolava via da sotto gli stivali che erano già viscidi per la carne di maiale. Nightshade invidiava Atta, che scalpicciava sopra la sabbia, e desiderava avere quattro zampe. Nightshade si dibatté nella sabbia per quello che gli parve un tempo infinito, passando più tempo carponi che in piedi. Si sentì accaldato e sfinito, e ogni volta che guardava gli pareva che te cresta si spostasse più lontano.
Tutte le cose giungono al termine, però, perfino le dune di sabbia. Restavano i macigni. Nightshade immaginava che i macigni fossero meglio delle dune e con sollievo prese ad arrampicarsi sulla cresta.
Il sollievo evaporò presto.
Nightshade non sapeva che i macigni fossero anche di dimensioni così enormi, né che fossero tanto aguzzi, né che scalarli fosse così difficile, né che i ratti dimoranti in mezzo ai macigni fossero così grossi e cattivi. Fortunatamente aveva con sé Atta, altrimenti i ratti l’avrebbero portato via, poiché non avevano la minima paura di un kender. Il cane però a loro non piaceva. Atta abbaiava ai ratti. Loro la fissavano torvi con gli occhi rossi, squittivano verso di lei, poi sgattaiolavano via.
Dopo appena un breve soggiorno fra i macigni, Nightshade aveva le mani graffiate e sanguinanti e la caviglia ferita dopo essere scivolato ed essersela incuneata in una fenditura. Dovette fermarsi a un certo punto per vomitare, ma in questo modo almeno risolse il problema della carne di maiale salata.
Poi, proprio quando pareva che questi macigni dovessero proseguire all’infinito, raggiunse la cima della cresta.
Nightshade arrivò sulla strada che l’avrebbe condotto a Flotsam e ai monaci, e guardò in su e in giù per quella strada. Il suo primo pensiero fu che la parola «strada» rivolgesse a questa striscia rocciosa di solchi di carri un complimento che non si meritava. Il suo secondo pensiero fu più cupo. La cosiddetta strada si estendeva all’infinito, per quanto lui potesse vedere, in entrambe le direzioni.
Al termine di entrambe le direzioni non vi era nessuna città.
Flotsam era immensa. Per tutta la vita lui aveva udito storie riguardo a Flotsam. Era una città che non dormiva mai. Era una città di luci delle fiaccole, di luci delle taverne, falò sulle spiagge e fuochi domestici che brillavano alle finestre delle case. Nightshade aveva ipotizzato che quando avesse raggiunto la strada sarebbe stato in grado di vedere le luci di Flotsam.
Le uniche luci che vedeva erano le stelle pallide e fredde e gli esasperanti occhi ammiccanti delle due lune.
«E allora dov’è?» Nightshade si girò da una parte, poi dall’altra. «Da che parte vado?»
La verità giunse a destinazione. La verità gli fece sprofondare il cuore. La verità fece affondare la logica.
«Non importa da che parte sia Flotsam», disse Nightshade con un’improvvisa e terribile constatazione. «Perché, da qualunque parte sia Flotsam, è troppo lontana. Rhys lo sapeva! Sapeva che non saremmo mai arrivati a Flotsam e ritornati in tempo. Ci ha mandati via perché sapeva che lui sarebbe morto!»
Il kender si sedette a terra e, cingendo con le braccia il collo della cagna, la abbracciò forte. «Che facciamo, Atta?»
Per tutta risposta, la cagna si staccò da lui e corse indietro verso i macigni. Fermandosi, lo guardò ansiosa e scodinzolò.
«Non servirebbe a niente tornare indietro, Atta», disse sconsolato Nightshade. «Anche se io riuscissi a scendere per quelle stupide rocce senza rompermi l’osso del collo, cosa che non credo di poter fare, non servirebbe.»
Si deterse il sudore dal viso.
«Non possiamo salvare Rhys, non certo noi due soli. Io sono un kender e tu un cane. Abbiamo bisogno di aiuto.»
Era seduto sulla strada, immerso nella disperazione, con la testa fra le mani. Atta gli leccò la guancia e gli diede un colpetto col naso sotto l’ascella, cercando di pungolarlo all’azione.
Nightshade sollevò la testa. Gli era venuto un pensiero, un pensiero che lo faceva ardere di follia.
«Eccoci qui, Atta, quasi ci uccidiamo per aiutare Rhys, e il suo dio che cosa sta facendo in tutto questo tempo? Niente, ecco che cosa! Gli dèi possono fare qualunque cosa! Majere poteva mettere Flotsam dove noi potevamo trovarla. Majere poteva rendere dura quella sabbia molliccia e teneri quei macigni aguzzi. Majere poteva far cadere via le catene di Rhys! Majere poteva mandare da me sei monaci subito, in cammino lungo la strada per salvare Rhys. State ascoltando, Majere?» Nightshade strillava verso il cielo.
Attese alcuni istanti, dando una possibilità al dio, ma i sei monaci non comparvero.
«Adesso l’avete combinata», disse minaccioso il kender e si alzò sui due piedi, guardò su verso il cielo, si mise le mani sui fianchi e diede al dio una lavata di capo.
«Non so se mi state ascoltando o no, Majere», disse Nightshade con tono severo. «Probabilmente no, poiché io sono un kender e nessuno ascolta noi, e io sono anche un mistico, il che significa che non vi venero. Comunque, sapete, non dovrebbe fare nessuna differenza. Voi siete un dio del bene, secondo quanto dice Rhys, e questo vuol dire che dovreste ascoltare la gente (tutti, compresi i kender e i mistici), che noi vi veneriamo o no. Ora, io posso capire che voi non consideriate giusto da parte mia chiedervi aiuto, poiché io non ho mai fatto niente per voi, ma voi siete molto più grande di me e molto più potente, per cui penso voi possiate permettervi di essere magenta o magnesio o qualunque sia quella parola che vuol dire essere gentile e generoso con la gente anche se non se lo merita. E forse io non merito il vostro aiuto, ma Rhys sì. D’accordo, ha smesso di venerare voi per venerare Zeboim, ma dovete sapere che l’ha fatto solo perché voi l’avevate abbandonato. Oh, ho sentito tutte quelle chiacchiere sul fatto che noi non possiamo capire la mente degli dèi, ma si presume che voi dèi capiate invece il cuore degli uomini, per cui voi Majere dovreste capire che Rhys se n’è andato perché era incollerito e offeso. Adesso ve lo siete ripreso e questo è davvero bello da parte vostra, ma dopo tutto non è che quanto avreste dovuto fare in primo luogo, poiché voi siete un dio del bene, per cui non ve ne faccio un gran merito.»