Nightshade si interruppe per riprendere fiato e per cercare di mettere ordine nei pensieri, che si erano piuttosto ingarbugliati. Fatto questo, proseguì la sua argomentazione, accalorandosi sempre più. «Rhys ha dimostrato la sua fedeltà a voi respingendo Zeboim quando lei avrebbe potuto salvare lui e anche noi, e sta dimostrando la sua fedeltà restandosene lì in quella grotta in attesa di morire quando Mina torna per torturarlo. Voi che state facendo in cambio? Lo lasciate lì incatenato in quella grotta!»
Nightshade alzò le braccia e la voce e gridò: «Tutto questo ha un senso per voi, Majere?».
Si zittì, lasciando al dio il tempo per rispondere.
Nightshade udì dei gabbiani accapigliarsi per un pesce morto, le onde frangersi sulla riva, il vento fare crepitare l’erba morta. Niente di tutto questo gli parve la voce di un dio.
Nightshade emise un sospiro. «Immagino che potrei offrirvi qualcosa perché tutto questo valga la pena per voi. Potrei offrirvi di diventare un vostro fedele, ma (a essere sincero) sarebbe una menzogna. A me piace essere un "nightstalker". Mi piace aiutare le anime morte a trovare la strada per lasciare questo mondo se è questo che vogliono, e mi piace tenere loro compagnia se preferiscono restare. Mi piace la sensazione che provo quando creo uno dei miei incantesimi mistici e lo spirito della terra si insinua dentro di me e mi prorompe nel cuore e mi si riversa nella punta delle dita, e le mani mi formicolano tutte e io (io, un kender) faccio piegare in due un grosso, enorme minotauro. Allora non penso di poter contrattare con voi, e sapete una cosa, Majere, io non penso che la gente debba contrattare con gli dèi. Perché? Perché voi siete davvero un dio e perché voi siete grande, meraviglioso e potente, e perché io sono solo un kender, e Atta è solo un cane, e Rhys è solo un uomo, e noi abbiamo bisogno di voi. Allora mandatemi quei sei monaci e sbrigatevi.»
Nightshade abbassò le braccia, emise un sospiro tremendo e attese fiducioso.
Il bisticcio fra i gabbiani si concluse quando uno di loro se ne volò via col pesce. Le onde continuarono a frangersi, ma lo facevano da sempre. Il vento si era smorzato, per cui l’erba era silenziosa. E così pure il dio.
«Forse non proprio sei monaci», prese tempo Nightshade. «Che ne direste di due monaci e un cavaliere? Oppure un monaco e un mago?»
Atta piagnucolò e gli batté la zampa sulla gamba. Nightshade si chinò per accarezzarle la testa, ma la cagna ritrasse la testa da sotto la mano. Lo guardò e strinse gli occhi. Non lo stava sollecitando. Gli stava dicendo qualcosa.
Basta con queste sciocchezze. Torniamo indietro.
Lo sguardo intenso della cagna lo fece sentire tutto contorto dentro.
«Adesso so che cosa si prova a essere una pecora», mormorò, cercando di evitare lo sguardo penetrante di Atta. «Aspettiamo ancora un minuto, Atta. Diamo una possibilità al dio. Sono quei macigni, lo sai. Non mi resta più pelle sulle mani... Che cos’è?»
Nightshade intravide del movimento. Ruotò su se stesso e guardò fisso lungo la strada e vide, alla luce delle lune ammiccanti, due persone che arrivavano nella sua direzione.
«Grazie, Majere!» gridò Nightshade e prese a correre lungo la strada agitando le braccia e gridando: «Aiuto! Aiuto!»
Atta gli corse dietro, abbaiando furiosamente. Il kender era tanto emozionato e sollevato che non prestò attenzione al tono dell’abbaiare. Continuava a correre e continuava a urlare. «Ragazzi, sono contento di vedervi!» e soltanto quando fu molto più vicino ai due e li guardò bene si rese conto che non lo era.
Contento di vederli.
Erano i Prediletti.
10
Mina guardò fuori dalla finestra verso il Mare di Sangue che era calmo nell’oscurità illuminata dalla luna. La luce rossa di Lunitari brillava sulle onde, formando una radura lunare, un percorso rosso sull’acqua rossa macchiata del viola della notte. Il desiderio ardente di Mina la trasportava fuori dalla sua prigione verso il mare eterno e infinito. Le onde le lambivano i piedi e lei entrava a grandi passi nell’acqua...
Alle sue spalle la porta cigolò nell’aprirsi.
«Chemosh!» disse Mina con gioia accorata. «È venuto da me!»
Mina in un attimo fu di nuovo nella sua camera, di nuovo nella sua prigione. Con le braccia tese, si girò per accogliere il suo amato, pronta a gettarsi ai suoi piedi e a implorare il suo perdono.
«Mio signore...» gridò.
Le parole le morirono sulle labbra. La gioia le morì nel cuore.
«Krell», disse, e non fece alcuno sforzo per mascherare il proprio disprezzo. «Che vuoi?»
Il cavaliere della morte entrò nella stanza sferragliando pesantemente. La testa munita di elmo, decorato con le corna di ariete incurvate, la guardava con occhi lascivi. Quegli occhi suini fiammeggiavano.
«Ucciderti.»
Krell chiuse la porta con un calcio. Estrasse la spada dal fodero e avanzò verso di lei.
Mina si drizzò, lo affrontò con sdegno. «Il mio signore non ti permetterà di toccarmi!»
«Al tuo signore non importa un culo di topo di te», la schernì Krell. «Avanti. Invocalo. Vedi se ti risponde.»
Mina rammentò lo sguardo di odio che Chemosh le aveva rivolto, rammentò che lui l’aveva scacciata dalla sua presenza, si era perfino rifiutato di ascoltarla. Si immaginò di invocare il suo aiuto e udì nel proprio cuore il silenzio riecheggiante del rifiuto di Chemosh.
Questo non poteva sopportarlo.
Krell l’aveva minacciata in precedenza, ma le sue minacce erano state semplici spavalderie e spacconate. Non aveva osato farle del male fintanto che Chemosh la proteggeva. Questa era un’occasione per Krell. Lei era sola e inerme. Non aveva armi. Nemmeno preghiere, poiché Chemosh le aveva voltato le spalle.
Mina perlustrò la stanza alla ricerca di qualcosa, qualunque cosa, che potesse usare a propria difesa. Non che potesse fare qualche differenza. La spada più affilata mai costruita non avrebbe potuto neanche ammaccare l’armatura del cavaliere della morte.
Mina non intendeva però morire senza combattere. La sua anima sarebbe andata con orgoglio alla Sala delle Anime di Passaggio. Chemosh non si sarebbe vergognato di lei.
Anche Krell si guardava attorno nella camera, ma non per lo stesso motivo.
«Da dove viene quella strana luce?» domandò. «Hai dato fuoco a qualcosa?»
Su un tavolo vi era un candeliere; era fatto di ferro contorto, con un piede artigliato e tre mani simili ad artigli che reggevano le candele. Era grosso e pesante. Il problema era che si trovava a diversi passi da lei.
«Sì», disse Mina. «Ho evocato uno spiritello del fuoco.»
Indicò una parte della stanza dall’altro lato rispetto al candeliere.
«Uno spiritello del fuoco!» Soltanto Krell ci sarebbe cascato. Ruotò la testa.
Mina balzò verso il tavolo e si tuffò per prendere il candeliere. Strinse le mani attorno alla base e lo sollevò e, oscillando nel girarsi, colpì con tutta la propria forza l’elmo di Krell.