L’ultima volta che aveva lottato con Krell nel Bastione della Tempesta, gli aveva staccato la testa dalle spalle. Quella volta Chemosh era con lei.
Questa volta nessun dio parteggiava per lei. Nessun dio combatteva per lei.
Il candeliere di ferro si schiantò contro l’elmo di Krell, ma il colpo non gli fece nulla. Forse non lo sentì nemmeno. L’urto del colpo e il contatto feroce col cavaliere della morte fecero vibrare le braccia di Mina dal polso alla spalla, paralizzandola momentaneamente. Il candeliere le scivolò dalle mani che le si erano all’improvviso intorpidite.
Krell si girò di nuovo verso di lei. Le afferrò il braccio, glielo torse e la scagliò contro il muro. Mina restò senza fiato per il dolore ma non urlò. Lui la circondò con le braccia, cosicché lei non poteva scappare. Krell spinse la testa munita di elmo vicino a lei. Mina vedeva il vuoto all’interno e sentiva il fetore nauseabondo della corruzione e della morte.
«Vorrei essere un uomo vivo», disse Krell, gongolando sopra di lei. «Mi divertirei un po’ con te prima di ucciderti, proprio come ai vecchi tempi. Mi piaceva vedere la paura nei loro occhi. Sapevano che cosa avrei fatto a loro, e strillavano e pregavano e imploravano per salvarsi la miserabile vita, e io dicevo loro che se avessero fatto le brave bambine e mi avessero lasciato divertire con loro le avrei lasciate vivere. Mentivo, naturalmente. Quando avevo finito, stringevo loro le mani al collo (avevano un collo morbido e snello, come il tuo) e le strozzavo.»
Prese ad accarezzarle il collo con una forza dolorosa.
«Immagino che dovrò accontentarmi di strozzarti.»
Le sue dita le si chiusero attorno al collo e presero a stringere.
La furia (ardente e arroventata e dal sapore amaro) ribolliva nel profondo di Mina. La luce d’ambra le ardeva negli occhi. Una luce d’ambra le proruppe dalla punta delle dita. Mina afferrò i polsi di Krell, gli strappò via le mani dal proprio collo e lo scaraventò via da lei.
«Uomo vivo!» gridò, e la sua furia scosse le mura del castello. «Tu vuoi essere un uomo vivo! Io esaudisco il tuo desiderio!»
Puntò il dito contro Krell, e la luce d’ambra lo inondò. Krell urlò e prese a dimenarsi dentro l’armatura, e all’improvviso l’armatura andò in pezzi e scomparve.
Ausric Krell era davanti a lei, con la carne nuda che tremava, il corpo nudo che rabbrividiva. Gli occhietti suini erano iniettati di sangue, contornati di bianco, e la fissavano con uno stupore terrorizzato.
«Inginocchiati davanti a me!» comandò Mina.
Krell crollò bocconi afflosciandosi ai suoi piedi.
«D’ora in poi sarai al mio servizio!» gli disse Mina.
Krell borbottò qualcosa di inintelligibile.
Mina lo scalciò e lui gridò di dolore.
«Sì, sì! Sarò al tuo servizio!» gemette Krell.
Mina superò Krell, che si faceva piccolo per la paura, e avanzò a grandi passi verso la porta. La toccò e la porta esplose con una fiammata color ambra. Mina attraversò la pioggia di tizzoni e uscì nel corridoio buio. Guardò una parete di pietra e questa si fuse; comparve una scala di pietra. Mina salì la scala che procedeva a spirale, conducendo su verso i bastioni.
«Riferisci al mio signore Chemosh, quando ritorna», la voce di Mina risuonava negli orecchi di Krell, «che sono andata a prendere ciò che desidera il suo cuore.»
Krell rimase accasciato e apatico a terra. Era terrorizzato ad aprire gli occhi per paura di vedere Mina. Alla fine però il pavimento di pietra cominciò a fargli male sulle ginocchia ossute. Il freddo gli provocava la pelle d’oca sulle braccia nude e gli faceva raggrinzire le parti intime. Krell si pizzicò il braccio ed emise un guaito, quindi gemette e imprecò.
Non c’era da dubitarne. Di mezza età, con i capelli grigi e la calvizie incipiente, la pelle giallastra e il ventre floscio, aveva visto avverarsi il suo desiderio.
Krell era di nuovo un uomo vivo.
11
Mentre Ausric Krell se la passava molto male dentro il Castello dei Prediletti, Nightshade se la passava ancora peggio al di fuori.
Avrebbe dovuto riconoscere subito i morti viventi discepoli di Chemosh. Se avesse prestato attenzione, avrebbe notato che i due uomini (quelli che lui aveva sperato fossero stati mandati dal dio a salvare Rhys) in cammino lungo la strada non erano affatto uomini. In loro non vi era nessun bagliore confortante, nessuna luce di vita che ardesse dentro di loro. Non erano altro che forme nella notte. Atta lo sapeva. Il suo abbaiare era stato un avvertimento, non un benvenuto. Adesso la cagna se ne stava tremante al suo fianco, ringhiando a denti sbarrati.
I due Prediletti si fermarono. Fissarono Nightshade con i loro occhi vuoti, e lui incominciò a sentirsi a disagio. Non sapeva bene perché, anche se più o meno si ricordava di avere sentito da Gerard qualcosa riguardo al marito di una tizia fatto a pezzi. Ma all’epoca stava pensando a che cosa ci sarebbe stato per cena e non vi aveva prestato attenzione.
I Prediletti che lui aveva incontrato in precedenza erano stati tutti piuttosto docili, fintanto che non avevano cercato di sedurre qualcuno, e finora nessun essere umano (Prediletto o no) aveva mai cercato di sedurre Nightshade (se si esclude quella prostituta in un vicolo di Palanthas, la quale in quel momento era completamente ubriaca).
Comunque a Nightshade non piaceva il modo in cui questi due lo guardavano. I Prediletti in genere non si preoccupavano di fissarlo. I più si limitavano a ignorarlo, e lui era giunto a preferire che fosse così.
«Scusate, amici», disse Nightshade, rivolgendo loro un saluto con la mano. «Errore mio. Pensavo foste qualcun altro. Qualcuno di vivo», mormorò sottovoce.
Non sapeva che fare. Doveva forse superarli spensieratamente con un allegro «ciao ciao» o doveva voltarsi e scappare? L’istinto votava per voltarsi e scappare. Stava per obbedire, quando vide uno degli uomini estrarre un coltello.
«Che stai facendo?» domandò il suo compagno. «È un kender.»
«Sì», disse Nightshade, indietreggiando. «Sono un kender.»
«Non mi interessa», disse l’uomo con voce cattiva. «Lo spedisco da Chemosh.»
«Ma è un kender», ripeté il suo compagno con disgusto. «Chemosh non vuole kender.»
«Ha ragione, sai», assicurò Nightshade a quello che brandiva il coltello. «Come dicono nelle taverne, "non si fa servizio ai kender; niente kender nell’Abisso". Io ho visto i cartelli. Sono appesi dappertutto.»
Si guardò attorno inquieto, ma non era in vista nessun aiuto, nient’altro che strada deserta. Continuò a indietreggiare.
«A Chemosh non interessa», ribatté il Prediletto. «Per lui i morti sono morti, e uccidere fa passare il dolore.»
Avanzo verso Nightshade, brandendo il coltello. Nightshade vedeva macchie scure sulla lama.
«Ho assassinato una donna la notte scorsa», proseguì il Prediletto con tono colloquiale. «Ho sventrato quella vacca. Non voleva giurare fedeltà a Chemosh, ma il dolore mi si è alleviato. Prova anche tu. Aiutami a uccidere questa mezza cartuccia.»
Alzando le spalle, l’altro Prediletto raccolse un pezzo di legno da usare come bastone, e tutti e due si avvicinarono a Nightshade.
I Prediletti non uccidevano più per guadagnare convertiti a Chemosh, si rese conto con sgomento Nightshade. Uccidevano e basta!
Era intento a puntare il dito contro i Prediletti, pronto ad abbatterli come aveva abbattuto il minotauro, quando si rammentò all’improvviso che la sua magia non avrebbe funzionato contro di loro. Il cuore, che gli era finito nelle scarpe, adesso gli si arrampicò lungo le interiora fino a prenderlo per la gola e scuoterlo.
Nightshade col suo tentativo di incantesimo aveva perso del tempo prezioso per fuggire. Lo compensò ruotando su se stesso e scappando più forte che poté, e anche di più.
«Atta, vieni!» ansimò, e la cagna gli corse dietro.
Nightshade era bravo negli scatti; aveva molta pratica nel correre più veloce di sceriffi, casalinghe arrabbiate, contadini furiosi e mercanti irati. Il suo improvviso impeto di velocità colse di sorpresa i Prediletti, e per un po’ lui li distanziò, ma era già stanco per essersi trascinato sulla sabbia ed essersi graffiato le mani sui macigni. Il suo scatto non aveva la potenza per durare. Le forze cominciarono a venirgli meno. Non lo aiutavano i solchi sulla strada né le sparse zolle di erba ed erbacce secche né gli stivali viscidi per la carne di maiale.