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I Prediletti frattanto avevano preso velocità. Essendo morti, potevano correre per tutto il mese se volevano, mentre Nightshade immaginava di farcela ancora per qualche istante. Non osava perdere tempo a guardarsi indietro, ma non gli serviva: sentiva il respiro aspro e i tonfi dei passi, e sapeva che stavano guadagnando terreno.

Atta abbaiava furiosamente, per metà correndo dietro a Nightshade e per metà girandosi per minacciare i Prediletti.

A Nightshade il respiro prese ad arrivare con ansimi irregolari e dolorosi. I piedi gli vacillavano e incespicavano sul terreno irregolare. Era quasi spacciato.

Uno dei Prediletti afferrò la falda svolazzante della camicia del kender. Nightshade diede uno strattone, cercando di liberarsi, ma finì col ruzzolare a capofitto in una grande chiazza di erbacce. Era pronto a combattere per salvarsi la vita, quando all’improvviso si trovò nel mezzo di quella che si poteva descrivere soltanto come un’esplosione di cavallette.

Nugoli di quegli insetti volanti e saltellanti ronzarono in aria. Vivevano in quella chiazza di erbacce, ed erano furiosi per essere stati disturbati in maniera tanto sgarbata. Nightshade aveva cavallette negli occhi, su per il naso e giù per il collo e nei pantaloni. Il kender rotolò via dalla chiazza di erbacce, dando manate e schiaffi e dimenandosi. Atta correva in cerchio, facendo scattare le mascelle e mordendo gli insetti. Nightshade freneticamente se ne scacciò diversi dagli occhi e quindi vide con stupore che le cavallette avevano aggredito i Prediletti.

I due uomini erano letteralmente brulicanti di insetti. Le cavallette si aggrappavano a ogni parte del loro corpo; erano in bocca e sciamavano attorno agli occhi e intasavano le narici. Quegli insetti ronzanti e frenetici strisciavano tra i capelli e decoravano le braccia e coprivano le gambe, e altre cavallette ancora convergevano sui Prediletti, alzandosi in volo con un ronzio irato dalle erbacce di tutto il ciglio della strada.

I Prediletti agitavano le braccia e saltavano anche loro lottando per scacciare gli insetti, ma più lottavano e più le cavallette parevano offendersi e attaccarli freneticamente.

Le cavallette che avevano infastidito Nightshade parvero rendersi conto che si stavano perdendo il divertimento, poiché si allontanarono ronzando per unirsi alle colleghe. Nel giro di qualche istante i Prediletti scomparvero alla vista, intrappolati dentro un nugolo roteante di insetti.

«Accidenti!» disse Nightshade con sgomento, e poi soggiunse, parlando ad Atta: «È la nostra occasione! Via di corsa!».

Gli restava ancora un piccolo impulso di energia, e si mise a testa bassa, gonfiando i muscoli delle gambe, e corse a rotta di collo lungo la strada.

Correva, correva, correva senza guardare dove stesse andando, e Atta gli ansimava accanto, quando il kender finì a capofitto contro qualcosa: blam!

Il kender rimbalzò e si rovesciò cadendo a terra sulla schiena lungo la strada. Scuotendo la testa stordito, alzò lo sguardo.

«Accidenti», disse di nuovo Nightshade.

«Mi dispiace, amico», disse il monaco, e allungò una mano premurosa per aiutare Nightshade ad alzarsi in piedi. «Avrei dovuto guardare dove stavo andando.»

Il monaco guardò Nightshade, e poi lungo la strada dove i Prediletti fuggivano in direzione opposta, cercando di sbarazzarsi delle cavallette, che li attaccavano ancora. Il monaco ebbe un lieve sorriso e osservò preoccupato il kender.

«Stai bene?» domandò. «Ti hanno fatto del male?»

«N-no, fratello», balbettò Nightshade. «È stata una fortuna che siano arrivate quelle cavallette...»

Il kender ebbe un pensiero improvviso.

Il monaco era magro, snello e tutto muscoli, come Nightshade aveva motivo di sapere, poiché scontrarsi col monaco era stato come scontrarsi col fianco di una montagna. Il monaco aveva i capelli grigio-ferro che portava in una semplice treccia sulla nuca. Indossava una veste semplice di un colore arancione lucido, decorata con un disegno di rose attorno all’orlo e alle maniche. Aveva gli zigomi alti e la mascella forte e occhi scuri che adesso sorridevano, ma che probabilmente sapevano essere molto feroci se il monaco voleva.

Nightshade consentì al monaco di sollevarlo in piedi. Lasciò che il monaco gli spazzolasse via la polvere dagli abiti e gli strappasse via dai capelli una cavalletta dispersa e ostinata. Il kender vide che Atta si teneva indietro, facendosi piccola per la paura, senza avvicinarsi al monaco, e allora e soltanto allora il kender liberò la propria voce, che gli si era impigliata in gola.

«Ti ha mandato Majere, fratello? Che sto dicendo? Certo che ti ha mandato lui, così come ha mandato quelle cavallette!» Nightshade afferrò la mano del monaco e la strattonò. «Andiamo! Ti porto da Rhys!»

Il monaco rimase immobile. Nightshade non riuscì a spostarlo e finì quasi a gambe all’aria lui stesso.

«Io sto cercando Mina», disse il monaco. «Tu sai dove posso trovarla?»

«Mina! Chi se ne importa di lei?» gridò Nightshade.

Fissò il monaco con uno sguardo severo. «Ti sei confuso, fratello. Tu non stai cercando Mina. Io non ho mai chiesto niente a Majere riguardo a Mina. Tu stai cercando Rhys. Rhys Mason, seguace di Majere. Mina lavora per Chemosh... tutto un altro dio.»

«Nondimeno», disse il monaco, «io sto cercando Mina e devo trovarla rapidamente, prima che sia troppo tardi».

«Troppo tardi per che cosa? Oh, troppo tardi per Rhys! Ecco perché dobbiamo affrettarci! Su, fratello! Andiamo!»

Il monaco non si mosse. Diede un’occhiata accigliata verso il cielo.

«Già, strano colore, vero?» Nightshade allungò il collo. «Lo stavo notando anch’io. Una sorta di strano bagliore d’ambra. Credo che sia l’aura bori-rale o come la chiamano.»

Il kender si fece severo e assai serio. «Adesso guarda, fratello monaco, io sono grato per le cavallette e tutto, ma non abbiamo tempo di star qui a cianciare dello strano colore del cielo notturno! Rhys è in pericolo. Dobbiamo andare! Subito!»

Il monaco non sembrava udirlo. Guardava in lontananza, come cercando qualcosa, e poi scrollò il capo.

«Cieco!» mormorò. «Io sono cieco! Tutti noi... ciechi. Lei è qui, ma io non la vedo. Non la trovo.»

Nightshade udì il dolore nella voce del monaco, e gli si strinse il cuore. Vedeva anche qualcos’altro, qualcosa nel monaco che, al pari dei Prediletti, avrebbe dovuto notare in precedenza. Guardò Atta, che si faceva piccola per la paura: una cosa che quel cane valoroso non faceva quasi mai.

Nessuna luce di vita brillava nel corpo del monaco, ma diversamente dai Prediletti il corpo aveva in sé una qualità eterea e inconsistente, quasi come se il monaco fosse stato dipinto sulla tela della notte. I pezzi del rompicapo presero a combaciare per Nightshade, cadendo tanto forte che gli assestarono un bel colpo sul lato della testa.

«Oh, mio dio!» ansimò Nightshade, e poi, rendendosi conto di ciò che aveva detto, si sbatté la mano sulla bocca. «Mi dispiace, signore!» mormorò fra le dita. «Non intendevo pronunciare il vostro nome invano. Mi è scappato!»

Cadde in ginocchio e chinò il capo.

«Va tutto bene riguardo a Rhys, maestà divina», disse miserevolmente il kender. «Adesso so perché dovete andare da Mina. Be’, forse non lo so, ma posso immaginarlo.» Sollevò la testa e vide che il monaco lo osservava stranamente. «È una cosa tanto triste, vero? Riguardo a Mina, intendo.»

«Sì», disse il monaco con tranquillità. «Tanto triste.»

Majere si inginocchiò accanto a Nightshade e gli posò la mano sulla testa. Mise l’altra mano su Atta, che abbassò la testa sotto il tocco delicato del dio.

«Avete la mia benedizione, tutti e due, e Rhys Mason ha la mia benedizione. Lui ha fede e ha coraggio, e ha l’affetto di veri amici. Tornate da lui. Ha bisogno del vostro aiuto. Il mio dovere è altrove stanotte, ma sappiate che io sono con voi.»