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Majere si alzò e guardò verso il castello, le cui mura erano inondate di quel bagliore livido e misterioso. Si incamminò in quella direzione.

Nightshade balzò in piedi. Si sentì rinvigorito, come se avesse dormito per una settimana e per giunta avesse mangiato quattordici pranzi enormi. Il corpo gli ferveva di rinnovata forza ed energia. Diede un’occhiata lungo la cresta in direzione della grotta, e la gioia gli svanì.

«Fratello dio!» gridò Nightshade. «Mi dispiace importunarvi ancora, dopo tutto quello che avete fatto per noi. Grazie per le cavallette, a proposito, e per la vostra benedizione. Mi sento molto meglio. C’è soltanto una cosa ancora.»

Agitò la mano. «Quei macigni sono difficili da scalare e sono terribilmente duri, signore», disse umilmente, «e aguzzi».

Il monaco sorrise e a quel sorriso i macigni scomparvero e il fianco della collina fu inondato di rigogliosa erba verde.

«Evviva!» gridò Nightshade. Agitando le braccia e urlando, sfrecciò giù per la collina. «Rhys, Rhys, tieni duro! Stiamo venendo a salvarti! Majere ci ha benedetti, Rhys! Ha benedetto me, un kender!»

Atta, contenta di trovarsi finalmente nella direzione giusta, sfrecciò sul terreno, superando agevolmente il kender urlante e lasciandolo presto molto indietro.

12

Rhys sedeva nell’oscurità della grotta e, all’avvicinarsi della morte, pensava alla vita. Alla sua vita. Pensava alla paura e alla codardia, all’arroganza e all’orgoglio, e tenendo stretta la scheggia di legno che gli aveva inciso la carne si inginocchiava davanti a Majere e umilmente gli chiedeva perdono.

Majere chiede a ciascuno dei suoi monaci di allontanarsi dalla vita in convento e viaggiare nel mondo almeno una volta nella vita. Intraprendere questo viaggio è volontario, non è obbligatorio. Nessun monaco è costretto a farlo, così come nessun monaco è mai costretto a fare alcunché. Tutti i voti che i monaci prendono sono ispirati dall’amore e vengono rispettati perché vale la pena di rispettarli. Il dio insegna saggiamente che le promesse fatte per costrizione e per paura della punizione sono prive di significato.

Rhys aveva scelto di non allontanarsi dal monastero. All’epoca non l’avrebbe mai ammesso, ma adesso si rendeva conto del motivo. Aveva pensato, per orgoglio e arroganza, di avere raggiunto la perfezione spirituale. Il mondo non aveva più niente da insegnargli. Majere non aveva più niente da insegnargli.

«Io sapevo tutto», disse sottovoce Rhys rivolto all’oscurità. «Ero felice e contento. Il cammino che percorrevo era agevole e facile e procedeva ripetutamente in circolo. L’avevo percorso tante volte che non lo vedevo più. Avrei potuto percorrerlo alla cieca. Mi sarebbe bastato continuare a camminare e sarebbe stato sempre lì per me. Mi dicevo che il cammino girava attorno a Majere. In verità, non girava attorno a niente. Il centro era vuoto. Senza saperlo, percorrevo il ciglio di un precipizio e, quando è arrivata la catastrofe e il cammino mi si è frantumato sotto i piedi, non avevo più dove andare. Sono caduto nell’oscurità. Anche allora Majere ha cercato di salvarmi. Mi ha teso la mano, ma io l’ho respinto categoricamente. Avevo paura. La mia vita comoda e illuminata dal sole mi era stata strappata via. Ne davo la colpa al dio, quando avrei dovuto dare la colpa a me stesso. Forse se fossi stato presente non avrei potuto impedire a Lleu di uccidere i miei genitori, ma sarei dovuto essere maggiormente comprensivo riguardo al dolore dei miei genitori. Avrei dovuto tendere loro la mano quando sono venuti da me in cerca di aiuto. Invece li ho respinti. Provavo risentimento verso di loro per avere introdotto indebitamente nella mia vita il loro dolore e la loro paura. Non provavo alcun sentimento per loro. Soltanto per me stesso.»

Rhys alzò gli occhi verso il cielo che non poteva vedere. «Soltanto quando ho perso la fede l’ho trovata. Come può avvenire un miracolo del genere? Perché voi, mio dio, non avete mai perso fede in me. Io percorro senza timore l’oscurità, perché ho dentro di me la vostra luce...»

Una luminosità pallida e fredda rischiarò la grotta, come la luce chiamata fuoco fatuo, quella fiamma lambente che talvolta si vede ardere sopra una tomba e che la superstizione ritiene essere un presagio di morte.

L’uomo si materializzò nella grotta. Era pallido e di una bellezza fredda. Aveva lunghi capelli scuri ed era vestito sontuosamente di velluto nero e fine lino bianco con pizzi ai polsini. Osservò Rhys con occhi che non avevano né fine né inizio.

«Io sono Chemosh, Signore della Morte, e chi» soggiunse il dio, con occhio torvo, «sei tu?».

Rhys si alzò in piedi, facendo sferragliare le catene attorno a sé, e si inchinò con riverenza. Avrà anche aborrito Chemosh per il male che apportava al mondo, però lui era un dio e davanti a questo dio l’intera umanità doveva un giorno presentarsi.

«Io mi chiamo Rhys Mason, mio signore.»

«Non mi interessa affatto come ti chiami!» disse stizzoso Chemosh. «Tu sei l’amante di Mina! Ecco chi sei!»

Rhys guardò il dio con uno stupore tanto profondo che non gli venne in mente nessuna risposta da poter offrire a questa accusa sbalorditiva.

Chemosh stesso parve avere un ripensamento. Il Signore della Morte si guardò attorno in quella grotta spoglia, notando le catene e i resti untuosi della carne di maiale salata, l’acqua fetida e il fetore nauseabondo, poiché Rhys non poteva andare da nessuna parte per fare i suoi bisogni se non nella grotta.

«Questo non è precisamente quello che definirei un nido d’amore», osservò Chemosh. «E nemmeno», scrutò Rhys con ripugnanza, «tu mi impressioni molto come amante.»

«Io sono un monaco di Majere, mio signore», disse Rhys.

«Questo lo vedo», disse Chemosh, arricciando il labbro nel dare un’occhiata alla veste sbrindellata di Rhys che in quella luce misteriosa aveva assunto una sfumatura arancione. «L’interrogativo allora diventa: se tu non sei l’amante di Mina, che cosa sei per lei? Mina ha portato qui te: un monaco macilento e pulcioso.» Chemosh si avvicinò. «Perché?»

«Dovete domandarlo a lei, mio signore», disse Rhys.

Aveva parlato con fermezza, anche se gli ci era voluto uno sforzo. Tenendo stretta la scheggia di legno del bastone, Rhys in silenzio chiese a Majere di dargli coraggio. Il suo spirito poteva accettare l’inevitabilità della morte, ma la sua carne mortale rabbrividiva e lo stomaco gli si stringeva.

«Perché tu dovresti esserle fedele?» domandò Chemosh, irato. «Perché tutti le sono fedeli? Io giuro sul Dio Supremo che ci ha creati e sul Chaos che ci annienterà che io non capisco!»

La sua furia investì la caverna come un vento caldo. Sudando, Rhys si conficcò nei palmi della mano la punta aguzza della scheggia, usando il dolore per impedirsi di crollare.

«Mina ti incatena a una parete e ti tormenta: vedo il segno della sua ira sulla tua guancia. Ti ha lasciato qui a morire di fame oppure...»

Chemosh si interruppe, osservò attentamente Rhys. «Ha intenzione di ritornare. Per torturarti. Perché? Tu hai qualcosa che lei vuole. Questo è il motivo. Che cos’è, Rhys Mason? Deve essere di grande valore...»

Rhys avrebbe potuto fornire la spiegazione, ma andava contro tutte le sue convinzioni. L’anima di un uomo è sua, insegnava Majere. I suoi misteri possono essere svelati oppure no, a sua scelta. Mina, per qualunque ragione, aveva scelto di mantenere il proprio segreto. Non l’aveva detto a Chemosh. Anche se l’anima di Mina poteva essere nera per i suoi crimini, quell’anima era sua. Il segreto doveva svelarlo lei, non lui.

Rhys rimase in silenzio. Gli colava sangue lungo il palmo della mano e fra le dita serrate.

«La tua carne può sfidarmi», disse Chemosh, con l’alito freddo come aria che fuoriuscisse da una tomba. «Ma il tuo spirito no. I morti non possono mentirmi. Quando la tua anima sarà davanti a me nella Sala delle Anime di Passaggio, tu mi dirai tutto ciò che sai.»