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«Dovrai aiutarmi a spostare questo», disse Basalt. Indicò un materasso in cima alla catasta che era fuori portata delle braccia corte del nano. «Non riesco a raggiungerlo.»

Caele emise il sospiro di lunga sofferenza di chi lavora troppo e afferrò le estremità del materasso. Fece un tentativo poco convinto, poi gemette e si strinse la schiena.

«Tutto questo piegarsi e sollevare. Mi sono preso uno strappo muscolare.»

Basalt lo guardò con occhio torvo. «Come hai fatto a prenderti uno strappo muscolare? La cosa più pesante che tu abbia sollevato finora è un bicchiere del vino migliore del padrone, e non pensare che non glielo dirò!»

«Lo assaggiavo per vedere se fosse andato a male», disse Caele scontroso. «Non vorrai servire vino cattivo agli arcimaghi, vero?»

«Aiutami a sollevare questo dannato materasso e basta», ringhiò Basalt.

Caele sollevò le mani, e prima che Basalt potesse fermarlo l’elfo agitò le mani e mormorò alcune parole. Il materasso si sollevò dalla catasta e rimase sospeso in aria.

«Che stai facendo? Non devi usare la magia per i lavori domestici!» gridò Basalt, scandalizzato. «E se ti vede il padrone? Termina quell’incantesimo!»

«Molto bene», disse Caele, e ritrasse la magia, col risultato che il materasso si abbatté sopra il nano, travolgendolo.

Caele sogghignò. Basalt emise un ululato attutito. Il nano emerse da sotto il materasso con occhi da omicida.

«Mi hai detto tu di terminare l’incantesimo.» Caele arricciò il labbro. «Io stavo semplicemente obbedendo agli ordini. Sei tu il Custode, dopo tutto...»

Caele smise di parlare. Spalancò gli occhi. «Che cos’è questo?»

Basalt aveva gli occhi contornati di bianco. Rabbrividì a quel suono terribile. «Non lo so! Non ho mai udito niente di simile.»

Quel rumore sordo e rimbombante, come enormi macigni che venissero fatti ruzzolare qua e là, frantumandosi l’uno contro l’altro, proveniva da molto, ma molto lontano sotto i loro piedi. Il rumore si faceva più forte, avvicinandosi sempre più. La catasta di materassi prese a dondolare. Il pavimento incominciò a tremare. Scrivanie e intelaiature dei letti presero a spostarsi e a danzare sul pavimento. Le pareti fremevano.

Il tremito entrò nei piedi di Basalt e da lì gli penetrò nelle ossa. I denti gli sbattevano, e si morse la lingua. Caele barcollò finendo contro la catasta di materassi e vi rimase appoggiato.

Il tremito cessò.

Basalt emise un gracchiare ansimante e puntò il dito.

Il pavimento, che era stato perfettamente orizzontale, adesso era inclinato con un’angolazione ripida. Un’intelaiatura di letto arrivò scivolando lentamente lungo il corridoio con una scrivania subito dietro. Caele si spinse via dai materassi.

«Zeboim!» ringhiò. «La vacca del mare è tornata!»

Basalt barcollò nell’attraversare il pavimento inclinato, camminando in salita, ed entrò in una delle camere. Tutti i mobili erano accatastati in mucchio contro la parete opposta. Basalt ignorò quella devastazione e si diresse verso la finestra di cristallo, che offriva un panorama spettacolare del regno subacqueo della Torre. Caele seguiva da presso, alle calcagna del nano.

Entrambi guardarono fuori verso l’acqua che era densa del limo rosso del fondo marino rimescolato. Il limo vorticava attorno alla Torre come ondate di sangue.

«Non vedo niente in questo buio», si lamentò Caele.

«Neanch’io», disse Basalt, frustrato.

La Torre riprese a tremare. Questa volta il pavimento si inclinò nell’altra direzione.

Caele e Basalt furono investiti da una cascata di mobili che scivolavano sul pavimento. Entrambi finirono sbattuti contro la parete, Basalt intrappolato da una scrivania e Caele inchiodato da un’intelaiatura di letto.

Il tremito cessò. Basalt ebbe la stranissima sensazione che qualunque cosa provocasse questo sollevamento stesse riposando, riprendendo fiato.

Spinse via l’intelaiatura di letto e, ignorando le richieste di aiuto di Caele, corse di nuovo alla finestra e guardò fuori.

Col naso premuto contro il cristallo, Basalt vide, in mezzo alla fanghiglia vorticante e pezzi di alghe e pesci che schizzavano qua e là freneticamente, una barriera corallina che si innalzava serpeggiando dal fondo del mare. Basalt si era spesso goduto lo spettacolo di questa barriera, poiché gli rammentava le formazioni del mondo sotterraneo in cui aveva vissuto per tanto tempo e di cui di quando in quando sentiva ancora la mancanza.

Da questo punto di osservazione avrebbe dovuto vedere la barriera direttamente davanti a sé.

Adesso invece vedeva la barriera al di sotto. Si trovava centinaia di metri sotto di lui. Guardò su e vide la luce lunare e le stelle...

«Padrone», disse sottovoce Basalt, e poi urlò: «Padrone! Nuitari! Salvateci!».

La Torre riprese a tremare.

14

Mina si trovava da sola sul parapetto merlato del castello del Signore della Morte. Un misterioso fulgore d’ambra illuminava il cielo, l’acqua e la terra. Mina era un’oscurità al centro del bagliore e nessuno poteva vederla, anche se la stavano cercando. Dèi, mortali, tutti stavano cercando il motivo per cui la terra tremasse.

Mina guardò l’acqua. Il suo amore, la sua brama ardente, il suo desiderio fluivano da lei e diventavano acqua. Mina ne espresse la volontà, e il Mare di Sangue prese a ribollire. Mina ne espresse la volontà, e il movimento dell’acqua si fece irregolare. Le onde si incrociavano e si intersecavano e venivano ricacciate l’una sull’altra.

Mina infilò le mani in quell’acqua rosso-sangue e afferrò il gioiello, l’oggetto del desiderio del suo signore, il dono che l’avrebbe fatto innamorare di lei. Lo scosse per liberarlo, poi lo strappò via dagli ormeggi. I suoi sforzi la sfinivano, e Mina dovette fermarsi per riposare e recuperare, quindi ricominciò.

L’acqua del Mare di Sangue prese a vorticare lentamente attorno a un punto centrale. Il Vortice (creato dagli dèi per costituire per sempre un avvertimento all’umanità nella Quarta Era) ritornò, muovendosi dapprima pigramente, poi roteando sempre più veloce attorno al punto centrale costituito da Mina. Le onde si schiantavano sui dirupi, spruzzando spuma e acqua marina. Mina sentì la spuma salata fresca sul viso. Si leccò le labbra e sentì il sapore del sale, amaro come le lacrime, e dell’acqua, dolce, come il sangue.

Mina sollevò la mano, e dal centro del vortice uscì un’isola di roccia vulcanica nera. L’acqua marina si riversò via dall’isola quando questa spuntò fuori dal centro del vortice, con l’acqua che scendeva a cascata lungo rupi nere lucenti. Mina collocò il suo gioiello sull’isola, come una pietra preziosa su un vassoio nero. La Torre dell’Alta Magia che in precedenza era stata sotto le onde adesso si innalzava al di sopra di esse.

La Torre, con le sue pareti di cristallo sfaccettate, attirava e tratteneva la luce d’ambra degli occhi di Mina, così come l’ambra dei suoi occhi attirava e tratteneva la Torre.

Il vortice smise di roteare. Il mare si acquietò. L’acqua defluì dalle rocce nere dell’isola appena nata e si riversò a catinelle giù dalle lisce pareti di cristallo della Torre.

Mina sorrise. Quindi crollò.

Il bagliore d’ambra svanì. Soltanto la luce delle due lune, argentea e rossa, brillava sulle pareti della Torre, e questi occhi divini non ammiccavano più.

Erano spalancati per la sorpresa.

15

Nightshade si svegliò con l’acqua fredda in viso e un dolore martellante in testa. Questo lo indusse ad arguire di essere di nuovo un kender bambino, tornato nel suo letto e svegliato dai genitori, i quali avevano scoperto che solo applicando insieme l’acqua e un bel colpo sulla guancia potevano svegliare il figlio che trascorreva le notti a vagare nei cimiteri.

«È ancora buio, mamma!» mormorò irritato Nightshade, e si girò dall’altra parte.

Sua madre abbaiò.

Nightshade lo considerò un comportamento strano per una madre, perfino per una madre kender, ma la testa gli doleva troppo per pensarci. Lui voleva solo tornare a dormire, per cui chiuse gli occhi e cercò di ignorare l’acqua fredda che gli filtrava nei pantaloni alla zuava.