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Sua madre lo morsicò piuttosto dolorosamente all’orecchio.

«Ma insomma, mamma!» esclamò Nightshade, indignato, si tirò su a sedere e aprì gli occhi.

«Mamma?» Non vedeva niente, ma al tatto capiva che non si trovava a letto. Era seduto su un mucchio di pietre estremamente aguzze che lo punzecchiavano nei punti molli: le pietre erano bagnate e si bagnavano sempre più.

Gli rispose un abbaiare, una lingua ruvida gli leccò il viso, una zampa dalle unghie affilate lo grattò, e Nightshade ricordò tutto.

«Rhys!» Rimase senza fiato e allungò la mano per toccare quella di Rhys. Rhys era appena tiepido, e anche lui era bagnato.

Nightshade non aveva idea del perché una grotta precedentemente asciuttissima dovesse ora riempirsi di acqua marina, ma a quanto pareva stava accadendo proprio questo. Il kender sentiva l’acqua gorgogliare fra le macerie disseminate sul fondo della caverna. Ancora non era molto profonda; finora era solo un rigagnolo. L’acqua poteva continuare a essere un rigagnolo, ma d’altronde anche no. Poteva diventare un’inondazione. Se la grotta fosse stata inondata, loro non avrebbero avuto via di scampo. L’acqua si sarebbe fatta sempre più profonda...

«Rhys», disse con fermezza Nightshade, e questa volta faceva sul serio. «Dobbiamo uscire da qui.»

Picchiò la mano sulle pietre per sottolineare la propria determinazione e disse: «Ahi!» seguito da: «Maledizione!».

Aveva picchiato la mano su una scheggia di legno che gli si era sepolta nella parte morbida e carnosa della mano. La estrasse e stava per gettarla via quando gli venne in mente che era una cosa strana trovare una scheggia di legno qui nella grotta. Essendo un kender, Nightshade era per natura curioso (perfino in una situazione così terribile) e passò la mano sulla scheggia, notando che era lunga e liscia e aveva una punta aguzza a entrambe le estremità.

«Ah, capisco. Fa parte del bastone di Rhys», disse tristemente Nightshade serrando la mano sopra la scheggia. «La terrò da parte per lui. Un ricordo. Gli piacerà.»

Nightshade emise un sospiro e appoggiò sulle braccia la testa dolorante, domandandosi come potessero mai uscire da questo luogo orribile. Si sentiva nauseato e assonnato, e di nuovo era un kender bambino, però questa volta suo padre stava cercando di mostrargli come scassinare una serratura.

«Si sfruttano il tatto e il rumore», gli stava spiegando suo padre. «Metti qui dentro l’attrezzo e lo fai oscillare attorno finché non senti che prende...»

Nightshade tirò su la testa tanto rapidamente che gli esplose un dolore lancinante dietro i globi oculari. Non lo notò. Non più di tanto. Guardò giù verso la scheggia che aveva in mano, anche se non riusciva a vederla, essendo tanto buia la grotta, ma non gli serviva vedere. Si sfruttavano il tatto e il rumore.

L’unico problema era che Nightshade non era mai riuscito a scassinare una serratura in vita sua. Per molti versi era stato, come suo padre lamentava spesso, un fallimento in quanto kender.

«Non questa volta», promise solennemente Nightshade, determinato. «Questa volta ci riuscirò. Devo riuscirci», soggiunse in silenzio. «Devo proprio!»

Annaspò con le mani finché trovò uno dei ceppi serrati attorno ai polsi ossuti di Rhys. Il livello dell’acqua continuava a salire, ma Nightshade se lo tolse di testa.

Atta gemette sottovoce e leccò il viso a Rhys e si stese sul ventre accanto a lui. Il fatto che in questo modo causasse uno spruzzo fu piuttosto sconcertante. Nightshade non si permise di pensarci. Aveva altre cose a cui pensare, la prima delle quali era convincere la propria mano a smettere di tremare. Gli ci vollero alcuni istanti e poi, trattenendo il fiato e spingendo fuori la lingua, cosa essenziale per scassinare con successo una serratura, inserì la scheggia di legno nel lucchetto sul ceppo.

«Per favore non spezzarti!» disse alla scheggia, quindi rammentò che il bastone era stato benedetto dal dio, per cui forse anche la scheggia era benedetta.

E anch’io! si rammentò all’improvviso Nightshade.

«Non credo», mormorò Nightshade, parlando al dio, «che abbiate mai aiutato nessuno a scassinare una serratura prima d’ora, né che abbiate mai inteso aiutare qualcuno a scassinare una serratura prima d’ora, ma per favore, Majere, per favore aiutatemi a farlo!».

Il sudore gli colava lungo il naso. Nightshade fece ruotare la scheggia qua e là nel lucchetto, cercando quella cosa che doveva trovare e che doveva fare clic e aprire il lucchetto. Tutto ciò che sapeva era che l’avrebbe sentita al tatto, l’avrebbe fatta scattare e, in caso di successo, avrebbe udito un rumore secco.

Si concentrò, escludendo da sé ogni altra cosa, e all’improvviso lo inondò una sensazione dolce: una sensazione di gioia, la sensazione che tutto in questo mondo appartenesse a lui, e che se non ci fossero state serrature, né porte chiuse, né segreti, questo mondo sarebbe stato un luogo notevolmente migliore. Sentì la gioia della strada aperta, del non dormire mai due volte nello stesso posto, del trovare una prigione che fosse calda e asciutta e un carceriere simpatico come Gerard. Sentì la gioia dell’imbattersi in cose interessanti che luccicavano, avevano un buon odore o erano morbide o lucenti. Sentì la gioia dei borsellini pieni.

La scheggia toccò ciò che doveva toccare, e qualcosa scattò, e quello fu il rumore più bello dell’universo.

Il ceppo si aprì nella mano di Nightshade.

«Papà!» gridò emozionato. «Papà, hai visto?»

Non aveva il tempo di attendere una risposta, che poteva metterci molto ad arrivare, poiché suo padre da tempo se n’era andato a scassinare serrature in un’altra esistenza. Strisciando sopra le macerie e nell’acqua, e tenendosi stretta la scheggia, Nightshade trovò il ceppo che era serrato attorno all’altro polso di Rhys e spinse la scheggia nel lucchetto e anche questo scattò.

Nightshade impiegò un momento per sollevare la testa di Rhys fuori dall’acqua. Appoggiò Rhys a una pietra e poi cercò nell’acqua finché trovò i piedi di Rhys. Nightshade dovette estrarli da sotto una catasta di macerie ma Atta lo aiutò, e dopo altre abili operazioni di scasso udì altri due scatti immensamente soddisfacenti, e Rhys fu libero.

Un’ottima cosa, poiché ormai il livello dell’acqua nella grotta si era innalzato tanto che, anche con la testa sollevata, Rhys era in pericolo di annegamento.

Nightshade si accovacciò accanto all’amico. «Rhys, se tu adesso potessi svegliarti, sarebbe davvero utile, perché a me fa male la testa, ho le gambe tutte malferme e ci sono tante pietre in mezzo, per non parlare dell’acqua. Non credo di poterti trasportare fuori di qui, per cui se tu potessi alzarti e camminare...»

Nightshade attese speranzoso, ma Rhys non si mosse.

Il kender emise un altro sospiro profondo e poi, infilandosi in tasca la preziosa scheggia, abbassò le mani e afferrò Rhys per le spalle, intendendo trascinarlo sul fondo della grotta.

Ci riuscì per una quindicina di centimetri, poi le braccia gli cedettero e anche le gambe. Si sedette con un tonfo nell’acqua e si deterse il sudore.

Atta ringhiò.

«Non ce la faccio, Atta», mormorò Nightshade. «Mi dispiace. Ci ho provato. Davvero ci ho provato...»

Atta non ringhiava verso di lui. Nightshade udì un rumore di piedi (tantissimi piedi) che sguazzavano nell’acqua. Quindi vi fu una luce vivida che gli fece dolere gli occhi, e sei monaci di Majere, abbigliati con vesti arancioni e con in mano fiaccole ardenti, superarono di corsa il kender.

Due dei monaci tennero le fiaccole. Quattro monaci si chinarono, sollevarono delicatamente Rhys per le braccia e le gambe e lo trasportarono rapidamente fuori della grotta. Atta corse dietro di loro.

Nightshade rimase seduto da solo nel buio, a guardarsi attorno con meraviglia stupita.

La luce delle fiaccole ritornò. Un monaco si mise davanti a lui e lo guardò. «Sei ferito, amico?»