Gerard pareva a disagio. «Io le ho parlato con una certa durezza, temo, fratello. E l’ho portata alle stalle per legarla finché avesse imparato a comportarsi bene. Adesso penso di doverle delle scuse.» Prendendo una fettina di pollo, la porse alla cagna. «Mi dispiace, Atta. Sembra che tu sapessi fin da principio quello che facevi.»
«Che è successo al contadino?»
Gerard scrollò il capo. «Non l’ho più rivisto.» Si appoggiò all’indietro sulla sedia, accigliandosi.
«Che pensate, sceriffo?» domandò Rhys.
«Penso che se questi due sanno riconoscere a vista uno di questi Prediletti, potremmo organizzare una trappola. Coglierne uno sul fatto.»
«Io ci ho provato», disse cupo Rhys. «Sono rimasto lì inerme mentre mio fratello uccideva una ragazza innocente. Non commetterò di nuovo lo stesso errore.»
«Questa volta non succederà, fratello», arguì Gerard. «Ho un piano d’azione. Prenderemo con noi delle guardie. I miei uomini migliori. Inviteremo il Prediletto ad arrendersi. Se non funziona, prenderemo provvedimenti più drastici. Nessuno si farà male. Ci penserò io.»
Rhys rimaneva poco convinto.
«Ancora una domanda», disse Gerard. «Che c’entra Zeboim in tutto questo?»
«Sembra che ci sia una guerra fra gli dèi...»
«Proprio quello che ci serve», sbottò incollerito Gerard. «Noi mortali finalmente conseguiamo la pace su Ansalon – relativamente parlando – e adesso gli dèi si mettono a darsele di nuovo. Qualche sorta di lotta di potere adesso che la Regina delle Tenebre è morta e sepolta, scommetto. E noi poveri mortali siamo presi in mezzo. Perché gli dèi non ci lasciano in pace, fratello? A risolvere i nostri problemi!»
«Ce la siamo cavata bene finora», disse asciutto Rhys.
«Tutti i guai che hanno mai infestato questo mondo sono stati causati dagli dèi», affermò accalorato Gerard.
«Non dagli dèi», ribatté con delicatezza Rhys. «Dai mortali in nome degli dèi.»
Gerard sbuffò. «Non dico che le cose andassero benissimo quando gli dèi non c’erano, ma per lo meno non avevamo dei morti che andassero in giro a commettere omicidi...» Vide che Rhys pareva a disagio e interruppe la sua arringa.
«Mi dispiace, fratello. Non badatemi. Io mi irrito per queste cose. Andate avanti con la vostra storia. Mi serve sapere tutto il possibile se devo combattere contro questi esseri.»
Rhys esitò, quindi disse con calma: «Quando ho perduto la mia fede, ho invocato un dio – qualunque dio – perché parteggiasse per me. Zeboim ha risposto alla mia preghiera. Una delle poche volte in cui abbia risposto a qualche mia preghiera. La dea mi ha detto che la persona dietro tutto questo era una certa Mina...».
«Mina!»
Gerard si alzò tanto di scatto che rovesciò la zuppiera, versando lo stufato per terra, con grande gioia di Atta. Lei era troppo ben addestrata per implorare ma, secondo la Legge Immortale dei Cani, se del cibo cade in terra è a disposizione di chi se lo prende.
Nightshade emise un grido di costernazione e si tuffò per salvare il pranzo, ma Atta fu troppo rapida per lui. La cagna trangugiò il resto del pollo, senza nemmeno preoccuparsi di masticarlo.
«Che sapete di questa Mina?», domandò Rhys, sbalordito dalla reazione violenta di Gerard.
«Che so di lei? Fratello, l’ho conosciuta», disse Gerard. Si passò la mano fra i capelli gialli, facendoseli rizzare. «E vi dico, Rhys Mason, non è una cosa che io voglia ripetere. È stramba, quella lì. Se c’è lei dietro tutto questo...» Si zittì, rimuginando.
«Sì?» lo sollecitò Rhys. «Se c’è lei dietro tutto questo, allora?»
«Allora credo che farei meglio a riesaminare il mio piano d’azione», disse cupo Gerard. Si diresse verso la porta. «Voi e il kender restate qui. Io ho del lavoro da sbrigare. Mi serve che restiate a Solace alcuni giorni, fratello.»
Rhys scrollò il capo. «Mi dispiace, sceriffo, ma devo proseguire la ricerca di mio fratello. Ho perso del tempo prezioso già così...»
Gerard si fermò davanti alla porta aperta, si girò.
«E se lo trovate, fratello, che fate? Continuate a seguirlo, lo osservate uccidere la gente? Oppure volete bloccarlo una volta per tutte?»
Rhys non rispose. Guardò in silenzio Gerard.
«Mi farebbe comodo il vostro aiuto, fratello. Il vostro e quello di Atta e, ebbene sì, perfino del kender», soggiunse con riluttanza Gerard. «Non volete fermarvi tutti e tre, solo per pochi giorni?»
«Uno sceriffo che chiede aiuto a un kender!» disse Nightshade, sgomento. «Scommetto che non è mai successo in tutta la storia del mondo. Restiamo, Rhys.»
Gli occhi di Rhys furono attratti verso l’emmide, in piedi nell’angolo. «E va bene, sceriffo. Restiamo.»
PARTE SECONDA
La Sala del Sacrilegio
1
«Krell!» La voce riecheggiò nei corridoi cavernosi del Bastione della Tempesta e continuò a rimbombare anche quando gli echi svanirono, rimbalzando all’interno dell’elmo vuoto del cavaliere della morte. «Fatti vedere.»
Il cavaliere della morte riconobbe la voce e si ficcò ancora più in profondità nella sua fossa. Perfino qui, in profondità sottoterra, l’acqua delle tempeste continue che sferzavano l’isola riuscivano a penetrare attraverso fenditure e crepe. La pioggia scorreva in rivoli giù per la parete di pietra. L’acqua filtrava negli stivali vuoti di Krell e gli scorreva negli schinieri.
«Krell», disse cupa la voce, «lo so che sei laggiù. Non farmi venire a prenderti».
«Sì, mio signore», mormorò Krell. «Vengo fuori.»
Sguazzando nell’acqua, il cavaliere della morte percorse il breve corridoio che conduceva a una botola chiusa da una grata di ferro, incardinata in modo che gli schiavi potessero aprirla quando venivano mandati giù a pulire.
Krell salì a passi pesanti le scale infide intagliate nella parete del dirupo. Sbirciando attraverso le fessure per gli occhi dell’elmo, Krell vide la casacca nera e il colletto di pizzo bianco del Signore della Morte. Non vide altro. Krell non aveva il coraggio di guardare negli occhi il dio.
Krell prontamente cadde in ginocchio.
«Mio signore Chemosh», pregò il cavaliere della morte facendosi piccolo per la paura. «Lo so che vi ho deluso. Ammetto di avere perso il pezzo del khas, ma non è stata colpa mia. C’erano un kender e un bastone che si è trasformato in un insetto gigantesco... e come potevo sapere che il monaco avesse intenti suicidi?»
Il Signore della Morte non disse nulla.
In senso metaforico, Krell prese a sudare.
«Mio signore Chemosh», supplicò. «Vi ricompenserò. Vi sarò debitore per sempre. Farò qualunque cosa mi ordinerete. Qualsiasi cosa! Risparmiatemi la vostra collera!»
Chemosh sospirò. «Sei fortunato perché ho bisogno di te, disgraziato miserabile. Alzati in piedi! Mi goccioli sugli stivali.»
Krell si alzò in piedi ponderosamente. «Mi salverete anche da lei?» Spinse il pollice verso il cielo per indicare la dea vendicativa. La furia di Zeboim illuminava il cielo, il suo pugno tonante martellava il terreno.
«Ritengo di esserne costretto», disse Chemosh, e sembrava letargico, troppo sfinito per curarsene. «Come ho detto, ho bisogno di te.»
Krell era a disagio. Non gli piaceva il tono del dio. Azzardandosi a osservare più da vicino, il cavaliere della morte rimase sbalordito da ciò che vide.
Il Signore della Morte appariva peggiore della morte. Si poteva dire che paresse vivo: vivo e sofferente. Aveva il volto pallido, tirato e smunto. Aveva i capelli scarmigliati, gli abiti trasandati. Il pizzo sulla manica era strappato e macchiato. Il colletto era slacciato, la camicia mezzo aperta. Gli occhi erano assenti, la voce cupa. Chemosh si muoveva in maniera languida, come se perfino sollevare la mano gli costasse un grande sforzo. Anche se parlava con Krell, non sembrava realmente vederlo né avere grande interesse per lui.