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“Già, lo vedo. Immagino di essermi dimenticato dell’esca perché ero tanto emozionato per avere trovato qualcos’altro. Non volevo portarlo dentro se c’era ancora tu sai chi. Ma, visto che se n’è andata, vado a prenderlo.”

Balzò fuori dalla grotta e ritornò portando un pezzo di legno lungo e sottile. Lo porse con orgoglio a Rhys.

“L’ho trovato portato a riva dall’acqua. Non ti ricorda il tuo vecchio bastone? L’emetico o come lo chiamavi? Comunque io e Atta abbiamo pensato che saresti stato capace di usarlo.”

“Emmide”, disse sottovoce Rhys. Prese in mano il bastone, lo strinse con le dita. Un calore piacevole gli si insinuò nel braccio e gli si diffuse in tutto il corpo. E fu in questo calore che udì la voce del dio, conobbe la risposta di Majere.

Rhys appoggiò il bastone alla parete e stese il vestitino bagnato della bambina accanto al fuoco ad asciugare. Lei dormiva profondamente, il suo respiro era regolare e tranquillo. Rhys si accasciò a terra e si appoggiò alla parete. Era esausto, mentalmente e fisicamente. Non si ricordava quando avesse dormito l’ultima volta.

“Ho sentito Zeboim urlare contro di te. Che cosa voleva?” domandò Nightshade.

“Tu e Atta avevate ragione. Questa bambina è Mina”, disse Rhys. Chiuse gli occhi.

“Oooh, ragazzi!” sospirò Nightshade.

Si staccò di dosso i borsellini, quindi si tolse gli stivali e li svuotò dell’acqua, disponendoli poi vicino alla fiamma per asciugarli.

“I miei stivali odorano ancora di maiale salato”, disse. “E questo mi fa venire in mente che è passato tanto tempo dalla cena. Chissà se è rimasto un po‘“di quel maiale.”

Andò al barile di carne di maiale salata che il minotauro aveva lasciato loro per cibarsene, e vi scrutò dentro. Atta lo osservava speranzoso. Il kender scrollò il capo, e gli orecchi della cagna si abbassarono.

“Oh, bè. Immagino che possiamo aspettare l’ora del pranzo, vero, ragazza?” disse Nightshade, dandole una pacca. “Dì un po’, Rhys, Zeboim ti ha detto come ha fatto Mina a trasformarsi in una bambina? Ho sentito dire di persone invecchiate di dieci anni da un giorno all’altro, ma mai del contrario. La dea c’entrava qualcosa in questo? Eh? Rhys?”

Il kender gli diede un colpetto. “Rhys, stai dormendo?”

“Come?” Rhys si svegliò di soprassalto.

“Scusa”, disse Nightshade con rimorso. “Non volevo svegliarti.”

“Non importa. Non avevo intenzione di addormentarmi. Qual era la tua domanda?” chiese con pazienza Rhys.

“Domandavo se questa è opera di Zeboim. Sembra che le piaccia rimpicciolire la gente.” Il kender era ancora risentito per quella volta che la dea lo aveva ridotto alle dimensioni di un pezzo del khas e l’aveva ficcato dentro la sacca di Rhys e poi li aveva spediti entrambi a combattere contro un cavaliere della morte.

Rhys scrollò il capo. “La Dea del Mare è rimasta sconvolta vedendo Mina bambina.”

“E allora che cosa ha detto che è successo?”

“Secondo Zeboim, Mina è una dea che non sa di essere una dea. Una dea convinta con l’inganno da Takhisis a ritenersi umana. Mina è una dea del Bene, indotta col raggiro a servire il Male.”

Nightshade scrutò Rhys stringendo gli occhi. “Hai preso di nuovo un colpo in testa?”

“Sto benissimo”, lo rassicurò Rhys.

“Mina è una dea.” Nightshade sbuffò. “Se lo chiedi a me, è tutto un ammasso di sciocchezze. Questa è opera di Zeboim. Ha trasformato Mina in una bambina e l’ha mandata da noi giusto per infastidirci.”

“Non credo”, disse con calma Rhys. “Mina si è svegliata quando tu non c’eri. Mi ha detto di essere scappata di casa e mi ha chiesto di riportarla indietro.”

Nightshade trovò incoraggiante questa notizia. “Ecco, vedi? Dove vuole andare la bambina? A Flotsam? Non è lontana, giusto più in su lungo la costa. Probabilmente è stata portata via dal mare…”

“Godshome”, disse Rhys.

Nightshade aggrottò la fronte. “Godshome? La Casa degli Dei? Non è una località. Nessuno vive a Godshome tranne gli…”

Deglutì, strabuzzò gli occhi ed emise un lieve fischio che fece contrarre gli orecchi ad Atta.

“Non credo che Zeboim le abbia suggerito di dire così”, soggiunse Rhys con un sospiro.

Nightshade guardò Mina e si morse il labbro inferiore. All’improvviso si illuminò.

“Scommetto che hai sentito male. Scommetto che ha detto “Goat’s Home, Casa della Capra”.”

“Goat’s Home?” ripeté Rhys, sorridendo. “Non ho mai sentito nominare un posto simile, amico mio.”

“Tu non sai tutto”, affermò Nightshade, “anche se sei un monaco. Ci sono tanti e tanti posti di cui non hai mai sentito parlare”.

“Io ho sentito davvero parlare di Godshome”, disse Rhys.

“Smettila di dire questa cosa!” ordinò Nightshade. “Lo sai che non ci andremo. Non è possibile.”

“E perché?” Rhys sbadigliò ancora.

“Bè, innanzitutto perché nessuno sa dove sia Godshome o se esista. In secondo luogo, se Godshome è da qualche parte, è vicino a Neraka, e questo è un posto brutto, un posto bruttissimo. In terzo luogo: se Godshome è vicino a Neraka, questo vuol dire che è lontano da qui, dall’altra parte del continente, e ci vorrebbero mesi, forse anni, per arrivarci…”

Nightshade si interruppe. “Rhys? Rhys! Stai ascoltando i miei motivi?”

Rhys non ascoltava. Stava seduto con la schiena contro la parete, la testa china in avanti, il mento appoggiato al petto. Era addormentato profondamente, tanto profondamente che la voce del kender e perfino un paio di colpetti sul braccio non riuscirono a svegliarlo.

Nightshade sospirò, poi si alzò e andò dalla bambina, accovacciandosi per fissarla attentamente. Di certo non aveva l’aspetto di una dea. Pareva un topolino annegato. Il kender percepì di nuovo quella tristezza opprimente che aveva provato quando aveva visto Mina, la Mina adulta. Non gli piacque, cosicché si asciugò gli occhi e il naso sulla manica e quindi tornò a dare un’occhiata furtiva a Rhys.

Il suo amico era ancora addormentato e probabilmente avrebbe dormito a lungo. Abbastanza a lungo perché Nightshade potesse fare una chiacchierata con questa bambina (chiunque fosse) e dirle che il posto dove realmente voleva andare era la fiorente metropoli di Goat’s Home e che ci sarebbe dovuta andare da sola, e che sarebbe dovuta partire subito in silenzio, per non disturbare Rhys.

“Ehi, bambina”, sibilò Nightshade, allungando la mano per scuoterla in modo da svegliarla.

La mano rimase ferma, sospesa a mezz’aria. Le dita presero a tremargli leggermente al pensiero di toccarla davvero, e il kender ritrasse la mano con uno strattone. Continuò a restare lì accovacciato, scrutando Mina e mordendosi il labbro.

Che cosa vedeva quando la guardava? Che cosa la rendeva diversa ai suoi occhi dagli altri mortali? Che cosa la rendeva diversa dai morti che lui vedeva e con cui parlava? Che cosa la rendeva diversa dai morti viventi? Nightshade guardò attentamente la bambina, e di nuovo le lacrime gli sgorgarono agli occhi. Vedeva bellezza, una bellezza inimmaginabile. Una bellezza che eclissava il tramonto più radioso e splendido e al confronto faceva sembrare pallide e banali le stelle. La sua bellezza gli faceva ammutolire per lo sgomento l’anima, per timore che il sussurro più lieve potesse fargli svanire quella visione meravigliosa. Ma non era la bellezza a stringergli il cuore e a rigargli le guance di lacrime.

La sua bellezza era rivestita di bruttezza. Mina era macchiata di sangue, avvolta nel sudario della morte e della distruzione. Malefico, terrificante e orribile, vi era su di lei un drappo funebre.

“È davvero una dea”, disse con un sussurro. “Una dea della luce che ha fatto cose veramente orribili. Io l’ho sempre saputo. Solo che non sapevo di saperlo. Per questo mi sentivo tutto piagnucoloso dentro.”

Nightshade non pensava di poterlo spiegare a Rhys, perché non era sicuro di poterlo spiegare a se stesso. Decise di discuterne con Atta. Aveva scoperto che dire le cose a un cane era molto più facile che parlare con gli esseri umani, principalmente perché Atta non faceva mai domande.