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Atta faceva scattare le mascelle, abbaiava e compiva sortite rapide contro i Prediletti, affondando i denti in ogni loro parte che le arrivasse a tiro, ma i morsi della cagna avevano su di loro meno effetto del bastone.

“Torniamo alla barca!” ansimò Rhys, sforzandosi di trattenere Mina e scacciare i Prediletti. Questi non prestavano alcuna attenzione né a lui né al kender né al cane. Cercavano disperatamente di afferrare Mina.

Il suo strillo penetrante, giusto nell’orecchio, fece sobbalzare Nightshade al punto che lasciò cadere l’emmide.

Dita scheletriche afferrarono il polso di Mina. Rhys colpì in faccia il Prediletto con una manata, spezzandogli il naso e frantumandogli gli zigomi. Mina fissò con orrore quelle dita ossute penetrarle nella carne e, urlando con voce stridula, colpì il Prediletto col pugno.

Fiamme (color ambra, incandescenti) distrussero completamente il Prediletto, senza lasciare nulla, nemmeno cenere. Il calore della vampata investì Rhys e Nightshade e poi si dissolse.

“Rhys”, disse con voce tremula Nightshade dopo un momento, “mi restano ancora le sopracciglia?”.

Rhys riuscì a lanciargli un’occhiata rassicurante, ma non ebbe il tempo di fare altro. Mina, tenendo stretta la mano di Rhys, si voltò verso i Prediletti.

Il calore della sacra furia di Mina li aveva respinti. Non cercavano più di afferrarla. Continuavano a circondarla, osservandola con lo sguardo inespressivo e ripetendo più volte il suo nome. Alcuni pronunciavano “Mina” con voce bassa, triste e supplichevole. Altri ringhiavano “Mina” disperati, incolleriti.

“Smettetela di dire così!” strillò Mina.

I Prediletti tacquero.

“Vado alla mia torre”, disse Mina con occhio torvo. “Fuori dai piedi.”

“Dovremmo tornare alla barca”, sollecitò Nightshade. “Proviamo a correre?”

“Non la raggiungeremmo mai”, disse Rhys.

I Prediletti non avrebbero lasciato allontanare Mina. La stavano aspettando qui. Forse era stato un suo ordine a spingerli su questa isola.

“La nostra vita è nelle sue mani”, disse Rhys. Muovendosi lentamente, si chinò e raccolse il bastone.

Nightshade gemette e mormorò: “Nessun pasticcio di carne può ripagare tutto questo”.

8

Mina, tirandosi dietro Rhys, avanzò. I Prediletti si ritrassero, lasciandole spazio per passare. Mina attraversò la folla di morti, osservandoli guardinga e con occhi spaventati, stringendo tanto forte la mano di Rhys da lasciargli segni rossi con la punta delle dita. Nightshade li tallonava, incespicando nelle caviglie di Rhys. Atta si teneva di fianco a Rhys; aveva il corpo che tremava, il labbro ritratto a scoprire i denti, ed emetteva un ringhio continuo.

“Dimmi di nuovo perché lo stiamo facendo”, disse Nightshade.

“Ssssh!” ammonì Rhys. Aveva visto quegli occhi vuoti spostarsi da Mina al kender, e un lampo di luce solare riflettersi sull’acciaio. I Prediletti però non attaccarono. Rhys immaginò che non l’avrebbero fatto finché loro fossero rimasti con Mina.

“Rhys”, sussurrò Nightshade, “lei non se li ricorda! E li ha creati lei!”.

Rhys annuì e continuò a camminare. I Prediletti avevano vagato senza meta sull’isola finché non avevano avvistato Mina. Dopo di che non avevano visto più nulla. Si radunavano attorno a lei, pronunciando il suo nome con tono riverente. Alcuni allungavano le mani verso di lei, ma Mina si ritraeva davanti a loro. “Andatevene!” diceva con tono aspro. “Non toccatemi.”

Uno dopo l’altro indietreggiarono.

Mina continuò a camminare verso la torre, stringendo la mano di Rhys. Quando raggiunsero l’ingresso, trovarono la porta a due battenti sbarrata.

“Tutta questa strada e ha dimenticato la chiave”, mormorò Nightshade.

“Non mi serve la chiave”, disse Mina. “Questa è la mia torre.”

Lasciando la mano di Rhys, si avvicinò alla grande porta e, premendo con tutte le sue forze, diede una spinta. Al suo tocco, i battenti massicci si aprirono lentamente.

Mina balzò dentro, guardandosi attorno con la meraviglia e la curiosità di una bambina. Rhys la seguì più lentamente. Sebbene la torre fosse fatta di cristallo, qualche magia nelle pareti escludeva la luce. Il sole mattutino non riusciva a entrare nemmeno dalla porta, ma veniva inghiottito sulla soglia. Dentro era tutto buio. Rhys si fermò subito all’ingresso.

Lentamente, a mano a mano che gli occhi si abituavano a quell’oscurità umida e fredda, Rhys si rese conto che l’interno della torre non era poi così buio come era parso inizialmente. Le pareti di cristallo diffondevano la luce solare, cosicché l’interno era illuminato da una luce pallida e fioca, che ricordava il bagliore lunare.

L’atrio era cavernoso. Una scala a chiocciola intagliata nelle pareti di cristallo serpeggiava attorno allo spazio interno, conducendo in alto, a perdita d’occhio. Globi di luce magica erano collocati a intervalli regolari lungo la scalinata, per guidare il cammino di chi la percorreva. Quasi tutti i globi tremolavano come candele gocciolanti, come se la loro magia cominciasse a svanire. Alcuni si erano spenti del tutto.

Molto tempo prima, l’atrio della Torre dell’Alta Magia di Istar doveva essere stato magnifico. Qui i maghi di Istar accoglievano i colleghi maghi e altri ospiti e dignitari. Qui dovevano avere atteso il Re-Sacerdote, per consegnargli le chiavi della loro amata torre, acconsentendo con dolore ad arrendersi piuttosto che rischiare la vita di innocenti in battaglia.

Forse il Re-Sacerdote era stato l’ultimo mortale a percorrere questo atrio, pensò Rhys. Si immaginò il Re-Sacerdote, splendido nella sua gloria mal indirizzata, mentre girava attorno vittorioso e trionfante, congratulandosi con se stesso per avere scacciato i suoi nemici, prima di chiudere e sbarrare dietro di sé la grande porta. Segnando così anche il destino di Istar.

Non rimaneva più nulla di quella gloria e di quella magnificenza. Le pareti erano umide e sudice, chiazzate di sabbia e limo. Il pavimento era ricoperto fino all’altezza delle caviglie di fanghiglia, pesci morti e alghe.

“Uh! La tua torre puzza, Mina!” gridò Nightshade. Afferrando la manica di Rhys, il kender soggiunse con voce bassa e concitata: “Stai attento! Mi sembra di avere udito dei sussurri. Lassù”. Agitò il pollice.

Rhys guardò attentamente verso le ombre nella direzione indicata da Nightshade. Non vide nulla, ma percepiva degli occhi che lo osservavano e udiva qualcuno ansimare ripetutamente, come dopo aver corso per una lunga distanza.

I Prediletti non si curavano della fatica. Chiunque stesse in agguato nell’ombra doveva essere vivo. Rhys aveva ipotizzato che la torre fosse deserta; dopo tutto, era stata trascinata su dal fondo del mare. Cominciò a pensare che la sua ipotesi fosse sbagliata. Nuitari aveva costruito la torre con la sua magia; quasi certamente avrebbe trovato un modo per renderla abitabile ai suoi maghi, anche se era adagiata sul fondo del mare.

Rhys guardò Atta, che di solito lo avvertiva dei pericoli. La cagna aveva notato qualcosa nell’ombra, perché di quando in quando girava la testa per guardare con occhio torvo in quella direzione. I Prediletti rappresentavano però per lei il pericolo maggiore, e la sua attenzione era fissa su di loro. Abbaiò emettendo un aspro avvertimento.

Rhys si girò e vide i Prediletti affollarsi attorno alla porta aperta. Non entravano, esitavano osservando Mina con quegli occhi morti. “Tienili fuori!” disse Mina a Rhys. “Non li voglio qui dentro.”

“La monella ha ragione”, ringhiò qualcuno con voce acuta e nasale proveniente dalle ombre. “Non lasciare entrare quei demoni! Ci uccideranno tutti. Chiudi la porta!”

A Rhys nulla sarebbe piaciuto di più che obbedire a quel comando, ma non aveva idea di come funzionasse quella porta. Costruita con blocchi di ossidiana, granito rosso e marmo bianco, la porta a due battenti era alta quattro volte un uomo e ciascun battente doveva pesare quanto una piccola casa.

“Ditemi come si chiudono”, urlò.