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Se fosse stato da solo, Rhys avrebbe volentieri rischiato la vita per cercare di superare quei vetri rotti, ma non poteva avventurarsi oltre lasciando lì gli amici e la cagna, non certo con i Prediletti che si ammassavano fuori della torre, tenuti a bada da chissà quale forza nota solo agli dei. E nemmeno si fidava delle due Vesti Nere.

La preoccupazione principale di Rhys era Mina. In quanto divinità, avrebbe potuto percorrere distese di lame di rasoio senza farsi del male. Ma era una divinità che non sapeva di essere una divinità. Rabbrividiva per il freddo, piangeva quando era delusa e sanguinava quando le unghie le graffiavano la carne. Rhys non osava portarla con sé e non osava nemmeno lasciarla lì. “Mina”, disse Rhys, “penso che Nightshade abbia ragione. Dovremmo avviarci verso casa. Non puoi attraversare questa sabbia senza farti male. Goldmoon capirà…”.

“Io non me ne vado!” affermò stizzita Mina. Aveva smesso di piangere e adesso teneva il broncio, col labbro inferiore sporto in fuori. Rimase lì a scalciare la sabbia umida con la punta della scarpa. “Non certo senza il mio regalo.”

“Mina…”

“Non è giusto!” gridò, passandosi il dorso della mano sul naso. “Perché doveva andare così? Sono venuta fin qui…”

Si interruppe. Abbassandosi e ignorando l’avvertimento di Rhys di stare attenta, raccolse un piccolo frammento di vetro rotto. “Non doveva finire così.”

Mina scagliò in aria il frammento di vetro, che fu raggiunto da un milione di altri frammenti, scintillanti come gocce di pioggia al sole. I pezzi di vetro si fusero assieme. L’acqua marina, anziché colare via, si riversò di nuovo all’interno del globo.

Rhys all’improvviso si trovò dentro un globo di cristallo, sommerso da acqua marina verdeazzurra di varie braccia di profondità, e stava annegando.

Trattenendo il respiro, Rhys si guardò attorno freneticamente, cercando una via d’uscita. Nightshade gli era vicino, agitava le braccia e scalciava coi piedi, con le guance gonfie. Atta muoveva le zampe furiosamente, con gli occhi spalancati per il terrore. Mina, inconsapevole della loro situazione spiacevole, si stava allontanando a nuoto.

A Rhys restavano pochi attimi di vita. Atta stava già precipitando sul fondo. Rhys fendette l’acqua con le braccia, scalciando coi piedi e cercando di raggiungere Mina.

Riuscì ad afferrarle la caviglia. Mina si girò. Aveva il volto raggiante di piacere. Si stava divertendo. Il piacere svanì quando vide che i suoi amici erano nei guai. Li fissò sconcertata, apparentemente senza avere idea di che fare. A Rhys stavano scoppiando i polmoni. Vedeva stelle abbaglianti e macchie blu e gialle, e non riusciva più a sopportare il dolore. Aprì la bocca, preparato ad attendere la morte.

Inghiottì acqua salata e, sebbene la sensazione non fosse piacevole, non morì. Si dibatté, scosso nello scoprire che stava respirando acqua con altrettanta facilità di quando respirava aria. Nightshade, con la bocca spalancata e gli occhi fuori dalle orbite, era stremato. Galleggiava floscio nell’acqua.

Mina afferrò Atta, che aveva smesso di lottare. Accarezzò la cagna, la baciò e la abbracciò, e gli occhi di Atta si aprirono di scatto. La cagna si guardò attorno freneticamente, in preda al panico, finché trovò Rhys. Lui le si avvicinò a nuoto e fu raggiunto da Nightshade, che gli afferrò il braccio e cercò di parlare. Tutto ciò che uscì dalla sua bocca furono bolle ma, anche se non poté udirlo, Rhys capì che cosa volesse dire il kender, ossia: “Devi fare qualcosa! Ci farà uccidere tutti!”.

Rhys riteneva che fosse piuttosto probabile, ma non aveva idea di come fare a prevenirlo. Una bambina normale di sei anni che si comportasse male poteva essere sculacciata e mandata a letto senza cena. L’idea di sculacciare Mina, che come aveva detto Nightshade poteva far cadere loro in testa una montagna, era ridicola. E a essere sinceri Mina non si era comportata male. Non aveva cercato intenzionalmente di annegarli. Aveva commesso un piccolo errore. Poiché lei era in grado di respirare l’acqua come l’aria, aveva ritenuto che anche loro ne fossero capaci.

Mina nuotava sott’acqua quasi fosse nel suo elemento naturale, sfrecciando attorno a loro come una carpa, e li sollecitava ad affrettarsi. Rhys aveva imparato a nuotare al monastero, ma era impacciato dalla veste e dal bastone, che non voleva abbandonare, e ostacolato dalla sua preoccupazione per Nightshade.

Il kender non aveva mai imparato a nuotare. Non aveva mai voluto. A quel punto, non avendo altra scelta, agitava scompostamente e rapidamente le braccia, senza avanzare in nessuna direzione. Stava per rinunciare al nuoto, non avendo speranze, quando Atta lo superò, agitando l’acqua con le zampe anteriori. Nightshade osservò la cagna e decise di imitarla. Non avendo zampe, utilizzò le mani e le braccia per sguazzare, e presto fu in grado di tenere l’andatura degli altri.

Mina avanzava a nuoto emozionata, facendo loro segno di affrettarsi. Quando la raggiunsero, si stava librando nell’acqua, compiendo piccoli movimenti a mulinello con le mani, volteggiando sopra quello che sembrava un castello di sabbia da bambini.

Di struttura semplice, il castello era composto da quattro mura di un metro e venti centimetri di altezza e altrettanti di lunghezza, con un’alta torre su ciascun angolo. Non vi erano finestre e vi era un’unica porta, ma quella porta era una meraviglia.

Alta meno di un metro e non molto larga, la porta era fatta di miriadi di perle che luccicavano con una luminosità purpurea. Al centro brillava una singola runa intagliata in un grosso smeraldo.

Mina fece un gesto a Rhys e, quando lui le si avvicinò goffamente a nuoto, spingendo il bastone davanti a sé, Mina indicò il castello di sabbia e annuì con forza.

“La Sala del Sacrilegio”, disse col solo movimento delle labbra.

Rhys guardò fisso per lo stupore.

La famigerata Sala del Sacrilegio: un castello di sabbia da bambini. Rhys scrollò il capo. Mina lo guardò accigliata e, allungando la mano, afferrò il bastone e trascinò Rhys nell’acqua. Indicò la runa di smeraldo incastonata nella porta. Rhys si avvicinò e inspirò acqua per lo sgomento. Intagliato nella runa vi era il numero 8 disposto orizzontalmente, un simbolo senza fine e senza principio, il simbolo dell’eternità.

Rhys si spinse all’indietro. Mina lo osservò perplessa. Indicò la porta.

“Aprila!” ordinò in un turbinio di bolle.

Rhys scrollò il capo. Questo era il Solio Febalas, ricettacolo di alcuni fra i più sacri oggetti mai creati da dei e uomini, e la porta era chiusa e sbarrata. Non era previsto che lui entrasse. Non era previsto che nessun mortale entrasse. Forse non era previsto nemmeno che gli dei entrassero in questo luogo sacro.

Mina lo strattonò, sollecitandolo. Rhys scrollò il capo energicamente e si ritrasse. Avrebbe voluto spiegarsi con lei, ma non poteva. Si girò e fece per allontanarsi a nuoto.

Mina lo rincorse e lo afferrò di nuovo. Con aria infantile, era decisa a fare a modo suo. Rhys aveva la sensazione che se si fossero trovati sulla terraferma Mina avrebbe pestato i piedi.

Rhys avrebbe continuato a rifiutare, ma in quel momento la decisione gli fu strappata di mano.

Perfino in profondità sotto il mare poté udire quell’unica parola temuta su tutto Krynn da chiunque viaggiasse con un kender.

“Ops!”

“Ehi!” gridò Caele, allarmato. “Dove sono andati?”

I due maghi delle Vesti Nere, intenti a uccidersi a vicenda, stavano mormorando parole arcane e frugavano nei borsellini alla ricerca di componenti di incantesimi, quando si resero conto di essere rimasti soli. Kender, bambina, cane e monaco erano scomparsi.

“Maledetti i loro bulbi oculari!” imprecò Caele, fremendo. “Hanno trovato un modo per entrare!”

Il mezzelfo si precipitò giù per le scale, fermandosi con una scivolata quando raggiunse il fondo. I frammenti di vetro rotto erano ancora lì che spuntavano dalla sabbia. “Se tu non fossi stato tanto ansioso di tagliarmi la gola, saremmo lì dentro a fare incetta di ricchezze.” Basalt agitò il pugno in direzione del mezzelfo.