Nightshade se ne stava con le mani in tasca, concentrandosi intensamente per tenerle ferme lì. Mai prima d’allora aveva visto tanti oggetti interessanti, curiosi e meravigliosi, tutti raccolti insieme nello stesso posto. Tutto ciò che guardava pareva gridargli di voler essere toccato, raccolto, picchiettato, scosso, annusato, slegato, aperto, sganciato, stappato, srotolato o come minimo infilato in una sacca per un esame più approfondito.
Diverse volte le mani di Nightshade cercarono di balzare fuori dalle tasche e fare tutte le cose summenzionate. Con un grande sforzo di volontà il kender riuscì a tenerle sotto controllo, ma aveva la sensazione che la sua volontà si facesse sempre più debole e le mani si facessero sempre più forti.
Sperava che Mina si sbrigasse.
Inconsapevole della lotta in atto nelle tasche del kender, Mina vagava avanti e indietro fra i due altari, entrambi nell’ombra più fitta, guardando gli oggetti accatastati lì attorno. Aveva le labbra increspate, la fronte aggrottata. A quanto pareva stava cercando di decidersi, poiché talvolta allungava la mano su un oggetto, poi la ritirava e si spostava su qualcos’altro. Nightshade soffriva. Una mano era già scivolata fuori di tasca e lui aveva usato l’altra per afferrare la prima e ricacciarla dentro. Era sul punto di gridare a Mina di decidersi quando l’abbaiare di Atta (che risuonò innaturalmente forte nel silenzio assoluto della Sala) fece quasi sobbalzare il kender da sotto il ciuffo.
“Mina!” gridò Nightshade. “E uno di quei maghi cattivi! E qui!”
“Lo so”, disse Mina alzando le spalle. “Sono qui tutti e due. L’altro si aggira furtivamente attorno all’altare di Sargonnas.” Fece un sorriso scaltro. “Il nano pensa di essere furbo. Non sa che noi possiamo vederlo.”
Inizialmente Nightshade non vide nulla, ma poi, come previsto, scorse un nano che si muoveva di soppiatto attorno a uno degli altari. Aveva messo gli occhi su un calice tempestato di gemme che aveva un basamento a forma di testa di minotauro appoggiata sulle corna.
Atta abbaiava all’altro mago che stava in agguato sulla soglia. Rhys era in ginocchio, il suo intero essere era rivolto al suo dio. Caele aveva la mano in un borsellino, e Nightshade sapeva abbastanza dei maghi per ritenere improbabile che stesse cercando una mentina.
“Mina, credo che cercherà di uccidere Rhys!” disse con sollecitudine Nightshade.
“Sì, è probabile”, concordò Mina. Stava ancora rimuginando sulle sue scelte.
“Dobbiamo fare qualcosa!” disse stizzito Nightshade. “Fermarlo!”
Mina sospirò. “Non riesco a decidere quale possa piacere alla mamma. Non voglio commettere un errore. Tu che ne pensi?”
Nightshade non pensava niente. Caele stava puntando qualcosa contro Rhys e cantilenava.
Nightshade fece per urlare un avvertimento, ma l’urlo si trasformò in un gorgoglio di stupore. Una fune fatta di canapa e intrecciata di foglie di agrifoglio, che era attorcigliata sull’altare di Chislev, sfrecciò come un serpente nell’atto di colpire e si avvolse attorno alle braccia di Caele, inchiodandogliele sui fianchi. Le parole dell’incantesimo del mezzelfo si conclusero con uno strillo. Il mago cadde a terra, rotolando e cercando di liberarsi della fune che lo stringeva.
In quel momento Basalt afferrò il calice e (con stupore di Nightshade) lo usò per colpirsi sulla testa. Basalt ululò di dolore e cercò di sbarazzarsi del calice, ma finì col colpirsi di nuovo. Continuò a picchiarsi col calice, incapace di fermarsi. Il sangue gli colava sul viso. Il nano barcollò qua e là malfermo sulle gambe, gemendo per il dolore, quindi cadde a terra privo di sensi. Soltanto allora smise di picchiarsi.
Nightshade deglutì. Le sue mani, ancora nelle tasche, se ne stavano adesso lì comode, senza esprimere alcun desiderio di toccare alcunché.
“Penso che dovremmo andarcene da questo luogo”, disse Nightshade con voce bassa e ferma.
“Prenderò questo”, disse Mina, decidendosi finalmente.
“Non toccare niente!” avvertì Nightshade, ma Mina non gli prestò attenzione. Raccolse dall’altare di Paladine un piccolo cristallo intagliato a forma di piramide e rimase lì ad ammirarlo. Non avvenne nulla.
Tenendo in mano il piccolo cristallo, Mina andò all’altare di Takhisis e, dopo un attimo di indecisione, scelse una collana dall’aspetto indefinibile, fatta di perline luccicanti.
“Credo che alla mamma piaceranno queste cose”, annunciò.
“Che cosa sono?” domandò Nightshade. “Che cosa fanno? Lo sai, almeno?”
“Certo che lo so!” disse Mina, offesa. “Non sono mica scema. Io so tutto di tutto.”
Nightshade dimenticò per un attimo che Mina era una dea e probabilmente sapeva davvero tutto di tutto. Emise un sbuffo sgarbato, che esprimeva incredulità, e la sfidò: “Che cos’è la collana, allora?”.
“Si chiama “Sedizione””, disse Mina, soddisfatta della propria conoscenza. “L’ha fabbricata Takhisis. Chi la indossa ha il potere di far diventare malvagie le persone buone.” Nightshade stava per ribattere: “Vuoi dire come te?” ma ci ripensò. Anche se Mina l’aveva quasi fatto annegare, lui non voleva urtarne i sentimenti.
“E la piccola piramide?” domandò. “Questa era sacra a Paladine.” Mina la sollevò per vedere il cristallo scintillare alla luce azzurra proveniente dall’altare di Mishakal. “Questo gioiello fa brillare la luce della verità sulle persone. È per questo che il Re-Sacerdote dovette nasconderlo. Temeva che la gente vedesse lui per quello che era realmente.”
Nightshade ebbe un’idea. “Bah, non ti credo. Lo stai inventando.”
“È la verità!” ribatté stizzita Mina.
“Allora fammelo vedere”, disse Nightshade allungando la mano per avere il cristallo.
Mina esitò. “Prometti che me lo restituisci?”
“Mi faccio la croce sul cuore e spero di morire se non mantengo la promessa”, affermò solennemente Nightshade.
Poiché lui aveva pronunciato questo terribile giuramento, sacro all’infanzia di tutto il mondo, Mina accettò. Mise il cristallo a forma di piramide in mano al kender.
“Che devo fare?” domandò, osservandolo con curiosità e con un po‘“di circospezione. Si stava chiedendo all’improvviso se l’oggetto sacro potesse offendersi per essere usato da un mistico.
“Tienilo vicino all’occhio e guarda qualcosa attraverso”, disse Mina.
“Che cosa vedrò?”
“Come faccio a saperlo?” domandò lei. “Dipende da quello che guardi, tonto.”
Nightshade sollevò il cristallo e guardò il mago nano steso a terra. Vide un mago nano steso a terra. Guardò Caele e vide Caele. Guardò Rhys e vide Rhys. Guardò Atta e vide una cagna. Pensando che fosse un oggetto sacro piuttosto scadente, Nightshade puntò il cristallo verso Mina.
Una luce bianca la illuminava e si rifletteva tutto attorno a lei, rischiarandola di dentro e di fuori. Nightshade sbatté gli occhi, poiché era mezzo accecato. Cercò di abituarsi alla luce, di fissarla per vedere più chiaramente, ma la luce si fece ancora più brillante, ancora più radiosa. Vivida e accecante, la luce aumentò, costringendo il kender a chiudere gli occhi. La luce si espanse e si intensificò; la luce di una miriade di soli, la prima luce, la luce della creazione. Nightshade urlò di dolore e lasciò cadere il cristallo e rimase lì a strofinarsi gli occhi ardenti.
Una volta, quando era un piccolo kender, aveva guardato dritto verso il sole solo perché sua madre gli aveva detto di non farlo. Per lunghi minuti non aveva visto altro che macchie scure come piccoli soli neri, ed era tutto ciò che adesso riusciva a vedere. Per un attimo breve e terrificante si domandò se in futuro non avrebbe visto altro. E dopo quello che aveva visto si domandò se forse non avrebbe voluto vedere altro.
Mina afferrò il cristallo caduto.
“Ebbene”, disse, “che cosa hai visto?”.
“Macchie”, disse Nightshade, strofinandosi gli occhi.
Mina era delusa. “Macchie? Devi avere visto qualcos’altro.”
“No!” ribatté irritato Nightshade. “Forse non funziona.”