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Forse nemmeno Mina conosceva la risposta. Forse era per questo che andava a Godshome. E Rhys avrebbe compiuto questo strano viaggio con lei, l’avrebbe difesa, guidata, protetta.

Rhys ripose nella bisaccia gli oggetti sacri, la piramide di cristallo e la collana. Se qualcuno avesse scoperto che trasportava simili tesori preziosi, lui e i suoi accompagnatori si sarebbero trovati in pericolo mortale. Pensò di dire qualcosa a Mina e a Nightshade, avvertendoli che dovevano tenere segreti gli oggetti sacri. Scartò questa idea, decidendo che meno raccomandazioni avesse fatto in proposito e meglio sarebbe stato. Si poteva sperare che tanto il kender quanto la bambina se ne dimenticassero.

Era proprio quello che Mina sembrò fare. Adesso che era libera da quel fardello, prese a stuzzicare Nightshade, chiedendogli con un risolino se gli sarebbe piaciuto andare di nuovo a nuotare. Quando lui disse ad alta voce “no!”, Mina gli rifilò un pugno sul braccio dandogli del poppante, e lui le restituì un pugno sul braccio chiamandola monella, poi corsero via, prendendosi reciprocamente a calci nelle caviglie per farsi lo sgambetto. Atta, a un gesto di Rhys, li rincorse per tenerli d’occhio.

I frammenti di vetro erano scomparsi, così come l’acqua marina, presumibilmente a un comando di Mina.

Rhys si attardò nei pressi della Sala, riluttante ad andarsene. Majere gli aveva parlato dentro il Solio Febalas, gli aveva parlato non alla testa ma al cuore. Rhys vedeva chiaramente la strada che doveva percorrere, ed era lunga. Mina aveva scelto lui come guida, come maestro. Lui non capiva perché, dato che nemmeno gli dei lo capivano. La sua posizione era difficile e pericolosa poiché lui era un tutore ma la sua pupilla era molto più forte e potente di lui. Era una guida che poteva solamente seguire, poiché Mina soltanto doveva trovare la strada da percorrere. Rhys aveva accettato la fiducia riposta in lui e sperava di esserne all’altezza.

“Signor monaco, sbrigati!” gridò impaziente Mina. “Adesso sono pronta per andare a Godshome!”

La porta del Solio Febalas si richiuse lentamente. Lo smeraldo verde brillava di una radiosità tenue. Rhys si inchinò con profonda riverenza, si girò e si affrettò per raggiungere Mina.

Nuitari stava in agguato attorno alla Sala del Sacrilegio. Il Dio della Luna Nera puntava un occhio dalla palpebra pesante verso la porta che adesso era sbarrata e sigillata e l’altro occhio verso il collega dio Chemosh, Signore delle Ossa, che pure si aggirava attorno alla Sala.

Entrambi gli dei erano stati costretti ad aspettare che Mina aprisse la porta per entrare nella torre, cosa che Nuitari aveva trovato particolarmente irritante, poiché questa torre di diritto era sua. I suoi cugini avevano accettato che la tenesse lui. Nuitari aveva rinunciato alla Torre di Wayreth e alla Torre di Nightlund per ottenere questa. E poiché il Solio Febalas era ubicato all’interno della torre, lui riteneva che anche la Sala appartenesse a lui. Dopo tutto, i tesori sommersi appartenevano a chiunque li trovasse.

Certo, la Sala del Sacrilegio non era una nave inabissatasi durante una tempesta, ma a suo parere la legge del mare si applicava anche a questo caso. Chemosh non si lasciava indurre ad accettare questa visione perfettamente logica, il che si stava rivelando una maledetta seccatura. Gli oggetti sacri erano suoi, affermava Chemosh, e li rivoleva.

Nessuno dei due dei era potuto entrare quando Mina si trovava dentro con la sua compagnia eterogenea formata dal monaco e dal kender. Quest’ultimo destava apprensione in entrambi gli dei, che si immaginavano i preziosi oggetti sacri, capaci di produrre miracoli infiniti, sparire dentro i borsellini e le tasche del kender, andare perduti lungo la strada o venire barattati con sei pigne e un grillo ammaestrato. Ognuno di loro aveva provato un profondo senso di sollievo nel vedere Mina e compagni allontanarsi a quanto pareva con soltanto due oggetti sacri, più un insetto d’oro di scarso valore.

Quando il monaco se n’era andato, la porta si era richiusa. Chemosh sospettava che l’avesse chiusa Nuitari e quest’ultimo sospettava di Chemosh. Entrambi gli dei attesero che l’altro facesse la prima mossa. Alla fine Nuitari non ce la fece più.

“Vado a dare un’occhiata dentro per accertarmi che il kender non abbia sgraffignato tutto.”

“Vengo con te”, disse subito Chemosh.

“Non serve”, disse Nuitari con tono mellifluo.

“Ma io insisto”, rispose Chemosh.

Entrambi gli dei esitarono, scrutandosi a vicenda minacciosi, poi si diressero verso la porta. Entrambi allungarono la mano per aprire con uno strattone la porta del castello fatto di sabbia.

Una voce immortale, severa e incollerita, parlò a ciascuno di loro.

“Un tempo ciascun granello di sabbia era una montagna. Così tutte le cose di apparente potenza e importanza diventano insignificanti. Tutte le cose.”

Un’onda che avanzava dall’inizio del tempo si schiantò sul Solio Febalas, lo inondò e, ritirandosi, lo trasportò nel vasto oceano dell’eternità.

Scossi fin nel profondo del loro essere immortale, gli dei crollarono sulla sabbia umida; nessuno dei due osava muoversi né guardare, per timore di attirare su di sé l’ira del Dio Supremo. Alla fine Chemosh alzò la testa e Nuitari aprì gli occhi.

La Sala del Sacrilegio non c’era più, portata via dall’onda.

Chemosh si alzò e si spazzò via la sabbia dalle maniche di pizzo, allontanandosi a lunghi passi con quel poco di dignità che gli rimaneva. Nuitari si alzò in piedi e si scrollò la veste nera. Non se ne andò, ma indugiò lì, fissando la sabbia liscia nel punto in cui prima si trovava la Sala. Aveva trascorso anni a studiare la storia degli oggetti sacri e a catalogarli uno per uno. Li conosceva tutti, era al corrente delle loro intenzioni, sapeva quanto gli altri dei avrebbero pagato caro per ottenerli. Non con oro, acciaio o gioielli, naturalmente; a Nuitari interessavano poco. Ma in altri modi. Zeboim sarebbe stata convinta a non molestare la torre. I maledetti paladini di Kiri-Jolith avrebbero smesso di infastidire le Vesti Nere. Sargonnas sarebbe stato costretto a consentire ai suoi minotauri di praticare liberamente la magia, e così via.

Ma il Dio Supremo, che non parlava mai, aveva parlato. Forse andava bene così. Gli oggetti sacri e la Sala stessa appartenevano a un’epoca e a un luogo che ormai non esistevano più da tempo. Il mondo era andato avanti. Meglio lasciarli nella polvere del passato. Comunque Nuitari non poteva fare a meno di domandarsi imbronciato perché Mina avesse avuto dal Dio Supremo il permesso di entrare nella Sala mentre a lui e agli altri era stato impedito.

Il Dio della Magia Nera si allontanò dal luogo su cui in precedenza sorgeva la Sala, ma non se ne andò. Concesse il Solio Febalas al Dio Supremo.

In cambio, Nuitari rivoleva la sua torre.

12

Mina faceva strada, poiché Rhys e Nightshade avevano perso il senso dell’orientamento. La bambina era felice e rideva, saltellando davanti a loro e voltandosi per rimproverarli della loro lentezza. La distanza dalla Sala alla torre non era lunga, e una breve camminata li ricondusse alle scale.

Mina avrebbe voluto affrettarsi immediatamente, ma Rhys le pose una mano sulla spalla per trattenerla.

“Che c’è?” domandò Mina alzando lo sguardo su di lui. Puntò il dito verso l’alto lungo le scale. “Si esce di qui.”

“È meglio essere prudenti”, disse Rhys. “Lasciami andare avanti per primo. Tu seguimi con Nightshade.”

“Ma tu sei troppo lento”, si lamentò Mina mentre cominciavano a salire la scala a chiocciola. “Ho prelevato i miei doni. Devo andare subito a Godshome.”