Nightshade ritornò tardi quella sera, portando con sé una serie di abiti smessi e stivali nuovi per sé e per Rhys, i cui stivali vecchi erano laceri e consunti. Venne fuori che il cliente del kender era un ciabattino, e lui aveva accettato gli stivali in pagamento. Nightshade portò anche un osso da spolpare per Atta, che lo accettò con entusiasmo e gli dimostrò la sua gratitudine stendendosi ai suoi piedi mentre lui raccontava le sue avventure.
“Tutto è cominciato ieri notte quando facevo visita al cimitero e chiacchieravo con qualche spirito quando ho notato un bambino…”
“Un bambino vero o un fantasma?” lo interruppe Mina.
“Il termine appropriato è spirito o spettro”, la corresse Nightshade. “A loro non piace essere chiamati “fantasmi”. È piuttosto offensivo. Tu credi agli spiriti, vero?”
“Io credo agli spiriti”, disse Mina. “Solo non credo che tu sia capace di parlare con loro.”
“Ebbene, ne sono capace”, disse Nightshade.
“Dimostramelo”, disse astutamente Mina. “Portami con te domani sera.”
“Non sarebbe giusto”, ribatté Nightshade. “Essendo un professionista, io considero confidenziali le comunicazioni dei miei clienti.” Era soddisfatto di avere pronunciato diverse parole difficili tutte di seguito.
“Ce ne stai parlando in questo momento”, fece notare Mina.
“È diverso”, disse Nightshade, ma per un attimo rimase confuso sul perché. “Non sto facendo nomi!”
Mina ridacchiò e Nightshade arrossì. Rhys intervenne, dicendo a Mina di smettere di provocare Nightshade, e disse a Nightshade di proseguire il suo racconto.
“Il bambino spirito”, disse Nightshade con enfasi, “era davvero infelice. Se ne stava lì seduto sulla lapide e le assestava calci coi talloni. Io gli ho domandato da quanto tempo fosse morto e lui ha risposto cinque anni. Quando è morto aveva sei anni e adesso undici. Questo mi è parso strano, perché i morti di solito non tengono il conto del tempo. Mi ha detto che sapeva quanti anni avesse perché suo padre veniva a trovarlo ogni anno il giorno del suo compleanno. La cosa sembrava rattristarlo, così per rallegrarlo un po‘“mi sono offerto di fare un gioco con lui, ma non voleva giocare. Allora gli ho domandato perché fosse ancora qui tra i vivi quando doveva essere impegnato nel viaggio della sua anima”.
“Non mi piace questa storia”, disse Mina accigliandosi.
Nightshade stava per fare un’osservazione mordace quando incrociò lo sguardo di Rhys e ci ripensò. Proseguì il suo racconto.
“Il bambino ha detto che voleva andarsene. Vedeva un luogo meraviglioso e bellissimo e voleva andarci, ma non poteva perché non voleva lasciare suo padre. Io gli ho detto che suo padre avrebbe voluto che lui proseguisse il suo viaggio e che si sarebbero incontrati di nuovo. Il bambino ha risposto che era questo il problema. Se davvero avesse incontrato di nuovo suo padre, come avrebbe fatto quest’ultimo a riconoscerlo dopo tanto tempo?”
Mina era stata irrequieta per un po’, ma adesso era calma, seduta per terra a gambe incrociate, con i gomiti sulle ginocchia, il mento fra le mani, ad ascoltare attentamente, con lo sguardo d’ambra fisso sul kender.
“Gli ho detto che suo padre l’avrebbe riconosciuto. Il bambino non mi credeva e io gli ho detto che gliel’avrei dimostrato. Sono andato dal ciabattino e gli ho detto che io sono un nightstalker, che ho parlato con suo figlio e c’era un problema. Dapprima il ciabattino è stato piuttosto sgarbato, ed è scoppiata una piccola baruffa quando ha cercato di buttarmi fuori dalla sua bottega. Ma poi gli ho descritto suo figlio, allora si è calmato e mi ha ascoltato. Ho portato il ciabattino al cimitero, e suo figlio era lì ad aspettarlo. L’uomo mi ha detto che pensava a suo figlio ogni giorno e immaginava come sarebbe stato quando fosse cresciuto, e mi ha detto che era per questo che veniva a trovarlo a ogni compleanno. Così con la mente vedeva suo figlio crescere. Quando il bambino ha sentito questa cosa, ha capito che, per quanto cambiasse, suo padre l’avrebbe sempre riconosciuto. Il bambino ha smesso di prendere a calci la lapide e ha abbracciato suo padre e poi è partito. Il padre non vedeva il figlio né lo udiva, naturalmente, ma io penso che abbia sentito l’abbraccio, perché il padre ha detto che gli ho tolto un peso dal cuore. Si sentiva in pace per la prima volta da cinque anni. Così mi ha riportato alla sua bottega e mi ha dato gli stivali e mi ha detto che io sono un…”
Rizzandosi sulla schiena, Mina disse bruscamente: “E se il bambino non fosse morto? Se fosse vissuto e cresciuto e avesse fatto cose malvagie? Molto, ma molto malvagie. Che sarebbe successo allora?”.
“Come faccio a saperlo?” disse stizzito Nightshade. “Questo non c’entra niente con la mia storia. Dov’ero rimasto? Ah, sì. Il ciabattino mi ha dato gli stivali e mi ha detto che io sono un…”
“Te lo dico io”, disse solennemente Mina. “Il bambino non deve mai crescere. In questo modo il padre continuerà ad amarlo.”
Nightshade fissò con stupore Mina. Poi, chinandosi più vicino a Rhys, si lasciò sfuggire con un rumoroso sussurro: “È per questo che lei è una…”.
“Vai avanti con la tua storia”, disse con calma Rhys. Allungò la mano e lisciò delicatamente i capelli ramati di Mina.
Mina fece un sorriso fuggevole, ma non alzò lo sguardo. Rimase seduta a fissare il fuoco.
“Oh, comunque, il ciabattino mi ha dato gli stivali”, disse Nightshade, sottomesso. Rimase seduto sembrando a disagio e poi si rammentò. “Oh, ho anche qualcos’altro!” Andò a recuperare una grossa borsa di tela e la lasciò cadere trionfante.
Rhys aveva notato la borsa, ma era stato attento a non rivolgere alcuna domanda, non essendo davvero sicuro di voler conoscere le risposte.
“È una carta geografica!” affermò Nightshade, estraendo un grande foglio arrotolato di carta oleata. “Una carta di Ansalon.”
Distese la carta geografica sul pavimento e si preparò a metterla in mostra. Purtroppo la carta continuava a riavvolgersi, e lui dovette fissarla con due boccali da birra, una scodella da minestra e la gamba di uno sgabello.
“Nightshade”, disse Rhys, “una carta del genere costa un sacco di soldi…”.
“Davvero?” Nightshade si accigliò. “Non capisco perché. A me sembra piuttosto malandata.”
“Nightshade…”
“Oh, va bene. Se insisti, domattina la riporto indietro.”
“Stanotte”, disse Rhys.
“Il capitano dei minotauri non si accorgerà della sua mancanza fino a domattina”, lo rassicurò Nightshade. “E poi non l’ho portata via. Ho chiesto al capitano se potevo prenderla a prestito. Questo subito prima che lui perdesse i sensi. Il mio minotauro è un po’ irascibile, ma io sono abbastanza sicuro che “Ash kanazi rasckana cloppf”[1] significhi: “Sì, certo che puoi, amico mio”.
“Noi due andremo a restituire la carta stanotte”, disse Rhys.
“Bè, se insisti. Ma prima non vuoi dare un’occhiata? Indica come arrivare a…”
“…a Godshome?” gridò Mina, sobbalzando per via dell’ansia.
“Bè, no, Godshome non è sulla carta. Però c’è Neraka, che è più o meno vicino a dove potrebbe essere Godshome.”
“E cioè dove?” domandò Mina, accovacciandosi accanto alla carta geografica.
Nightshade andò un po’ in cerca, poi mise il dito su una catena montuosa sul lato occidentale del continente.
“E noi dove siamo?” domandò Mina.
Nightshade mise il dito su un puntino sul lato orientale del continente.
“Non è lontano”, disse allegramente Mina.
“Non è lontano?” sbraitò Nightshade. “Sono centinaia e centinaia di chilometri.”
“Bah! Guarda qua!” Mina mise i piedi sulla carta, quasi schiacciando le dita a Nightshade. Posando i piedi l’uno in fila all’altro, si spostò tacco, punta, tacco, punta da un lato all’altro della carta. “Ecco. Vedi? Sono circa tre passi. Non è per niente lontano.”
Nightshade la guardò a bocca aperta. “Ma è…”
Nota autore: significa invece “Fuori dai piedi prima che ti sbudelli, stronzetto!”